Una città n. 283

una città 12 Putin aveva fatto un discorso importante al Parlamento tedesco, omaggiando la democrazia e auspicando la fine della Guerra fredda. Mauro Martini, già ai tempi del Caucaso, poneva come cruciale la questione di dove va la Russia, verso l’Europa o verso l’Asia? È un processo contraddittorio, tutt’altro che lineare. Quando Putin arriva al potere, nel 2000, c’è inizialmente un riavvicinamento con l’Europa. Vengono siglati diversi accordi di carattere commerciale e politico. Fatico a intravedere una vera e propria inversione di marcia dal punto di vista delle relazioni. Vedo più una serie di cesure, anche interne, soprattutto a partire dal 2005-2007. Il 2007-2008 è una tornata elettorale molto importante, in quell’occasione i programmi elettorali del partito di maggioranza Russia Unita sono già molto definiti sulla questione della democrazia russa, di cosa significhi e di come si sia aperta questa nuova strada, una via peculiare verso la democrazia. In questi discorsi si insiste molto sulla nozione di democrazia, che però assume una fisionomia inedita, che si richiama a un’esperienza secolare, interna, del tutto originale, autonoma da qualsiasi altra strada seguita all’esterno, soprattutto in Occidente. Comunque è vero, per tutti gli anni Duemila ci sono buone relazioni con l’Europa. Forse il primo vero momento di incrinatura risale alla guerra in Georgia, quindi al 2008, ma alcune tensioni si colgono già nel 2004, l’anno della rivoluzione arancione in Ucraina. Facendo una riflessione a posteriori, già in quel periodo si vedono i segni di questo atteggiamento difensivo rispetto a un paese, l’Ucraina, che inizia a guardare all’Europa, e che per questo viene avvertito come una pericolo incombente. Esiste ancora una dissidenza in Russia e quale può essere il suo ruolo? Devo dire che sono un po’ pessimista per il prossimo periodo, nel senso che c’è una dissidenza, un pensiero non allineato, molto potente dal punto di vista critico e dell’elaborazione e però è silenziato. Fin dal primo giorno di guerra, seguo la stampa non governativa, nei limiti del possibile perché hanno iniziato a chiudere tutti i giornali più importanti. Quello che seguo quotidianamente, Meduza (meduza.io/en) è collocato in Lituania e quindi riesce ancora a lavorare. Però non viene letto in Russia. La democrazia sovrana prevede anche un “internet sovrano”, per cui è stato creato un sistema che punta al controllo totale sulla rete. Un controllo che con qualche accorgimento si può aggirare, ma bisogna essere utenti esperti, serve una vpn, ecc. Quello che è successo al mondo della comunicazione negli ultimi quindici anni è una forma di graduale assoggettamento di tutti i media: si sono sostituiti i direttori dei giornali, e quelli che non accettavano l’avvicendamento sono stati chiusi. È stato chiuso il giornale di Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace, “Novaya Gazeta” (il nuovo quotidiano), un giornale bellissimo, con interventi e contributi davvero strabilianti. Per fortuna è da poco attivo in rete “Novaja Gazeta Europa”. Come ricorderete, ad aprile Muratov è stato aggredito con della vernice rossa e dell’acetone, mentre era in treno in viaggio da Mosca a Samara. Questo è un paese dove l’assassinio politico contro gli oppositori è stato frequentissimo in passato. Basti citare Anna Politkovskaja, ma sono tantissimi gli assassini politici; Navalny è in carcere e probabilmente non ne uscirà. Quindi da anni vige una repressione violenta: non si rischia solo di andare in galera, ma si può anche incorrere in minacce fisiche e avvelenamenti. Questo per dire che il mondo della dissidenza è totalmente minoritario e destinato ad assottigliarsi perché chi può sta emigrando. Ovviamente parliamo dei ceti più colti, gli intellettuali, gli oppositori; c’è un significativo flusso di uscita dalla Russia, così come dalla Bielorussia d’altra parte... Pertanto non vedo nell’immediato moltissime possibilità. Occorrerà monitorare continuamente la situazione e dare tutto il sostegno possibile a questi soggetti perché l’opera di repressione è stata davvero imponente, soprattutto negli ultimi dieci anni. La legge sugli agenti stranieri purtroppo ha funzionato a tutti i livelli, dalle grandi realtà come Memorial e altri istituti, quale ad esempio il centro Levada, il grande istituto di sondaggi non governativo, ai vari organi di stampa non governativi che, dopo il secondo avviso da parte dell’organo della censura, vengono chiusi immediatamente. “Novaya Gazeta” ha fatto una cosa intelligente, dopo il secondo avviso si è fermata autonomamente; questo ha consentito di preservare l’agibilità del sito e quindi di salvaguardare l’archivio. Non so se siano riusciti a salvare anche l’Eco di Mosca, una radio importante. Io da tempo, per sicurezza, ho iniziato a scaricare tutto... Prima hai parlato della cittadinanza che viene data ai “nuovi” russi. La cittadinanza però viene anche tolta... Le leggi che citavo sono tese a favorire la ricomposizione della diaspora, chiamiamola così, o comunque dei concittadini che sono fuori. Sono forme di tutela e ricostruzione della comunità, di una comunità il più possibile ampia. La grande contraddizione è data dal fatto che, da un lato, si opera sulla cittadinanza avendo come obiettivo la salvaguardia del mondo russo, del Russkij Mir, dall’altro lato però si toglie la cittadinanza ad altri, ai dissidenti, alle persone mandate al confino o in carcere, privandoli sostanzialmente dei diritti civili. Qualche settimana fa leggevo un articolo proprio sulla necessità di ripensare completamente la parola cittadinanza alla luce dei diversi obiettivi di carattere demografico, economico, culturale, spirituale, come pure in quelli opposti di estromissione. Dunque c’è questa enorme contraddizione. Da questo punto di vista potremmo forse anche considerarlo un laboratorio interessante. Oggi questo termine, cittadinanza, che cosa significa? Noi siamo stati abituati a pensarlo e a declinarlo in modo tradizionale, storico, mentre oggi assistiamo a interpretazioni ed evoluzioni del concetto del tutto nuove. La questione della cittadinanza era già stata al centro di un gioco di risposte reciproche tra Russia e Ucraina negli anni passati, nel senso che la legge ucraina non prevede la doppia cittadinanza, quindi coloro che ad esempio nel Donbass ottenevano la cittadinanza russa se la vedevano automaticamente togliere dall’Ucraina. Anche questo è stato oggetto di grandi discussioni e ha esacerbato la conflittualità. Voglio citare un ultimo aspetto, che interseca movimenti migratori e sanzioni economiche. Anche qui è un articolo russo che mi ha fatto riflettere. Si tratta di una delle conseguenze sulle quali temo non abbiamo ben riflettuto. Premetto che io sono favorevole alle sanzioni economiche; in questo momento mi sembrano uno dei pochi strumenti a disposizione per cercare di contenere quelli che potrebbero essere degli esiti ancora più catastrofici del conflitto perché la Russia è aggressiva in modo estremo. Tuttavia forse non ne abbiamo considerato bene gli effetti. Per esempio, se in seguito alle sanzioni e alle mancate esportazioni, chiuderanno grandi comparti economici, una quota della popolazione migrante verrà espulsa. Questo è un problema che riguarda in particolare l’Asia centrale: ci saranno milioni di persone che dovranno tornare in Kirghizistan, in Kazakistan, che sono i grandi serbatoi di questa popolazione che lavorava in Russia e mandava a casa le proprie rimesse, i propri salari. Questo creerà nuova instabilità in paesi già di loro fortemente instabili, con conseguenze anche sul piano internazionale che è difficile stimare. (a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa) intanto si toglie la cittadinanza ad altri, ai dissidenti, alle persone mandate al confino o in carcere cosa sta succedendo

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