Giovanni Mottura, nato a Torino nel 1937, è stato un militante politico ed un intellettuale ben conosciuto nella sinistra italiana. Impegnatosi già da studente nell’Unione socialista indipendente di Cucchi e Magnani, aderì più tardi al movimento giovanile socialista
Leggi di piùIn memoria di Giovanni Mottura
Giovanni Mottura, nato a Torino nel 1937, è stato un militante politico ed un intellettuale ben conosciuto nella sinistra italiana.
Impegnatosi già da studente nell’Unione socialista indipendente di Cucchi e Magnani, aderì più tardi al movimento giovanile socialista. Giunto nel 1956 in Sicilia per lavorare con Danilo Dolci, Mottura, assieme a un gruppo di coetanei (tra cui Goffredo Fofi, Vittorio Rieser, Emilio Soave, Guido Neppi Modona), partecipò alle lotte di Dolci, tra cui il famoso “sciopero a rovescio” (che lo condusse per un mese nel carcere all’Ucciardone), l’inchiesta fra i disoccupati all’ufficio di collocamento, lo sciopero della fame e l’attività in quartieri palermitani come Cortile Scalilla e fra i contadini nel paese di Bisacquino. Quell’esperienza lo convinse della centralità del lavoro di inchiesta, che in qualche modo è stato poi la “stella polare” di tutto il suo lavoro politico (e anche di quello accademico) non solo come strumento di conoscenza della realtà, ma soprattutto come metodo di lavoro politico con la gente. Rientrato a Torino, continuò in anni successivi l’esperienza siciliana dell’inchiesta realizzando, con altri giovani e su impulso di Giovanni Carocci, una grande ricerca sulle discriminazioni politiche alla Fiat, pubblicata prima in “Nuovi Argomenti” e successivamente come volume. Cruciale fu pochi anni dopo l’incontro con Raniero Panzieri, da cui nacque la sua partecipazione alla fondazione dei “Quaderni Rossi”, sicuramente l’esperienza più significativa della sinistra non comunista di quegli anni. Il gruppo di giovani che si riuniva attorno a Panzieri e ai “Quaderni” comprese l’esigenza di dare una risposta politica, al tempo stesso teorica e pratica, alla nuova situazione venutasi a determinare nella classe operaia torinese e, più in generale, nelle classi subalterne del Paese. Attraverso il metodo dell’inchiesta, il gruppo intese accedere alla conoscenza delle nuove condizioni di vita e di lavoro in fabbrica che, nel quadro del cosiddetto “neocapitalismo”, stava vivendo la classe operaia, consapevole che questa pratica costituiva anche una forma di mobilitazione ed organizzazione di classe. Panzieri e il suo gruppo proporranno, con i “Quaderni” e con le attività di inchiesta realizzate in alcune fabbriche dell’area torinese (inizialmente anche con l’appoggio della Cgil torinese), una nuova immagine della classe operaia e del sistema che la governava e sfruttava, affermando una lettura innovativa di Marx, basata anche su testi poco conosciuti come il “Frammento sulle macchine”, per meglio analizzare e confrontarsi con la fase nuova del capitalismo italiano. A questo sforzo teorico e pratico Mottura contribuì anche con alcuni articoli importanti, che estendevano lo sguardo anche al di fuori del proletariato di fabbrica, in particolare nella direzione di un’analisi dei rapporti sociali in agricoltura. Convertitosi al protestantesimo, Mottura aderì alla chiesa valdese, proponendo anche in quella sede il tema del cambiamento sociale e della rivoluzione come questione teologica, scandalizzando i confratelli benpensanti con quello che sarebbe divenuto uno slogan famoso fra i giovani evangelici di fine anni Sessanta: “Ci confessiamo cristiani, ma ci dichiariamo marxisti”, un modo netto di stabilire l’alterità tra il piano della confessione di fede e quello dell’opzione politica. Tra i giovani valdesi, anche con la sua costante partecipazione ai campi estivi che si tenevano presso la Comunità di Agape, acquistò così un prestigio crescente e divenne un riferimento non solo in campo teologico, ma anche politico. A partire dal 1967 si trasferì a Napoli, chiamato da Manlio Rossi Doria a lavorare al Centro di Ricerche Economico-Agrarie per il Mezzogiorno di Portici. Fu l’occasione di tornare a leggere sul campo la questione meridionale, come diceva Rossi Doria, “sporcandosi le scarpe”, cioè facendo inchiesta e studiando il mutamento delle classi popolari meridionali, come ricercatore ma soprattutto in una prospettiva, rafforzata dall’esperienza dei “Quaderni Rossi”, di intervento politico nel Meridione. Una possibilità concretizzatasi con la creazione, assieme a Fabrizia Ramondino, Enrico Pugliese e tanti altri, del Centro di Coordinamento Campano, organizzazione della “extra-sinistra” impegnata sia nei quartieri popolari di Napoli che nei paesi e nelle campagne dell’hinterland partenopeo, attenta al confronto con tutte le declinazioni concrete del proletariato locale. Da qui alcuni degli aspetti più originali del Centro, come l’attenzione al nascente movimento dei disoccupati organizzati o alle giovanissime lavoranti a domicilio del settore del fashion, riconosciuti nella loro natura di proletariato marginale. In questo fu fondamentale il contributo del metodo dell’inchiesta promosso da Mottura, che in quegli stessi anni era anche molto attivo nel diffondere le idee che venivano dalla Cina. La forte impronta di socialismo libertario di Giovanni, talvolta venata di anarchismo, lo portò infatti a condividere le prospettive del Mao che voleva “sparare sul quartier generale” e diceva “chi non ha fatto l’inchiesta non ha diritto di parola”. Nei primi anni Settanta divenne docente di sociologia nella facoltà di economia di Modena, un professore molto amato dai suoi studenti, che gli riconoscevano una grande capacità di ascolto, un’attenzione e una non consueta volontà di collaborazione scientifica con i discenti. Pur continuando gli studi su Mezzogiorno, agricoltura e proletariato marginale, estese in seguito i propri interessi al fenomeno dell’immigrazione, di cui colse la funzione nelle nuove dinamiche del mercato del lavoro. Gli immigrati hanno occupato una parte molto estesa della riflessione di Mottura degli ultimi trent’anni e lo hanno condotto anche ad impegni istituzionali, quali la presidenza dell’Istituto servizi immigrazione del Comune di Bologna, impegnandolo in attività di promozione dei diritti di cittadinanza, di mediazione e di supporto volte a restituire dignità sociale e abitativa agli immigrati residenti. Un’esperienza esemplare di una modalità attivamente inclusiva del rapporto tra popolazione immigrata e città, che ne rese la figura molto popolare ed apprezzata tra gli immigrati bolognesi.
Stefano Boffo
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