Una città n. 285

Hanna Tryfonova, direttrice del Dipartimento di lingue straniere dell’Università di Mariupol, è stata costretta a lasciare l’Ucraina per sfuggire alla guerra; attualmente vive a Potenza con la famiglia. Puoi raccontarci della tua città? Com’era Mariupol prima della guerra? Mariupol in questi ultimi anni era molto cambiata: erano stati costruiti nuovi palazzi, nuove scuole, asili, tanti parchi, spiagge… Il nuovo sindaco ha portato una nuova visione della città, soprattutto ha lavorato per costruire delle condizioni favorevoli ai giovani, per motivarli a rimanere in città. Gli effetti della guerra scoppiata nel 2014 fortunatamente sono stati limitati, perché subito sono arrivati i militari ucraini a proteggere la città; ovviamente ci sono stati combattimenti, ma non così feroci; Mariupol, rispetto a Donetsk e ad altre città che poi sono state occupate, era stata risparmiata dalle azioni militari più violente. Ma quali erano i rapporti tra i cittadini, tra i vicini, tra russi, russofoni, ucraini? Mariupol è sempre stata una città multiculturale, multinazionale: qui vivono greci, bulgari, russi, ucraini, polacchi, ebrei, ecc. si conviveva senza problemi. A Mariupol c’erano le scuole greche, c’erano tante comunità e questo non comportava particolari difficoltà. Neanche dopo il 2014 erano sorti problemi da questo punto di vista. Potrei citare la mia famiglia: io sono ucraina, mio marito è di nazionalità russa, i suoi genitori sono russi; per quanto riguarda i miei genitori, mio padre è ucraino, mia madre è russa. Ebbene, nella nostra famiglia non abbiamo mai avuto problemi, neanche con la lingua. Mia nonna mi parlava in ucraino, io parlo sia l’ucraino che il russo, liberamente... All’università che lingua parlavate? Le lezioni sono in ucraino, ma tra colleghi parliamo a volte il russo, a volte l’ucraino, dipende; non abbiamo mai prestato tanta attenzione alla lingua che parliamo. Alle riunioni, agli incontri ufficiali, alle lezioni usiamo l’ucraino; tra di noi usiamo entrambe le lingue. A febbraio eri a casa, a Mariupol... Il 24 febbraio eravamo tutti a casa. La nostra abitazione è stata colpita già il primo giorno. Alle 4.20 è caduta una bomba proprio vicino al nostro quartiere e la nostra casa è rimasta senza una finestra e con alcuni buchi nella porta, nel recinto e danni a un muro. Il giorno dopo siamo andati a casa di nostri amici. Noi vivevamo nel cosiddetto quartiere orientale, ci siamo spostati in quello occidentale, dall’altra parte della città. L’idea era di aspettare e vedere.... Pensavamo che la situazione sarebbe rientrata come nel 2014: alcuni bombardamenti e poi un ritorno alla normalità. Nessuno si aspettava una situazione così grave, con tanti danni, vittime, bombardamenti, senza gas, elettricità, acqua, senza farmaci, medici… I primi giorni non avevamo capito... Quando avete deciso di partire? Siamo stati per un po’ a casa di questi amici. A un certo punto è iniziata a mancare l’acqua, l’elettricità; si poteva ancora vivere, ma quando è venuto meno il gas, avendo dei bambini, siamo stati costretti a spostarci e siamo andati in una zona dove potevamo cucinare all’aperto, col fuoco, e dove c’era un sotterraneo, perché ogni giorno la situazione peggiorava. Nei giorni successivi abbiamo saputo che molte persone stavano lasciando la città in auto; avevamo una radio con cui riuscivamo a intercettare il segnale e ascoltare le notizie. Intanto trascorrevamo la notte nel sotterraneo, mentre i bombardamenti si facevano sempre più pesanti: gli aerei arrivavano ogni quarto d’ora e bombardavano palazzi, scuole, ospedali… Per fortuna ci eravamo rifugiati in una casa privata in una zona poco popolata. Un giorno è arrivato un nostro amico con la macchina e ci ha detto di andare in centro: il vecchio teatro era diventato un punto di riferimento e scambio informazioni. In direzione del centro abbiamo incontrato un uomo che ci ha detto che c’erano delle macchine all’uscita dalla città. Così le abbiamo raggiunte e siamo usciti da Mariupol. Non si trattava di un vero corridoio umanitario, tutti siamo partiti a nostro rischio e pericolo. Non era un’evacuazione organizzata ma una fuga. D’altra parte non era più possibile stare a Mariupol, ormai scarseggiava anche il cibo... Siamo partiti il 15 marzo. Per fortuna non abbiamo assistito alle conseguenze dei bombardamenti. Sappiamo dai racconti, dalle storie dei nostri amici, che la situazione era terribile: case distrutte, corpi sulle strade, mancanza di acqua, nessuna assistenza sanitaria, un disastro. Siamo stati molto fortunati a poter scappare nelle prime settimane grazie ai nostri amici. Io ormai avevo paura a uscire dal nostro sotterraneo, perché la vibrazione che arrivava dopo le bombe era terrorizzante: tremavo sempre. Il resto della tua famiglia cos’ha fatto? Come si è organizzato? Quando è andata via la connessione, ci siamo persi, non sapevamo nulla dei nostri genitori. Io ho solo mio padre e una sorella; mia madre è morta l’anno scorso. Fino a che c’è stato internet riuscivamo a parlare ogni giorno, poi, dopo il 2 marzo, ho perso i contatti sia con mio padre che con mia sorella. I genitori di mio marito sono rimasti a Mariupol. Dopo alcune settimane, abbiamo saputo che il fratello di mio marito era stato ucciso. Ci hanno inviato un video, raccontandoci questa bruttissima storia. Loro si sono trasferiti nella nostra casa, anche se mancano alcune finestre, ma almeno è rimasta in piedi, c’è un tetto, ci sono i muri, diciamo che si può viverci o aluna città 21 internazionalismo democratico la nostra abitazione è stata colpita il primo giorno, alle 4.20 è caduta una bomba lì vicino... QUELLO CHE E’ ACCADUTO A MARIUPOL SI AVVICINA A UN GENOCIDIO Una città, Mariupol, che negli ultimi anni stava rifiorendo con tanti progetti e iniziative rivolte soprattutto ai giovani e poi l’arrivo, del tutto inatteso, della guerra, la propria casa che viene colpita laprimanotte, la fuga, il lungoviaggio traCrimea, Russia, Georgia, la speranzadi poter tornare che inizia a vacillare, la preoccupazione per i parenti rimasti e il dolore per i morti; un odio, quello maturato per i russi, che sarà difficile estirpare. Intervista a Hanna Tryfonova.

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