Una città n. 285

una città 22 internazionalismo democratico meno sopravvivere. Hanno trovato l’acqua, nella nostra zona c’è una fonte. Ogni mattina bisogna fare una fila lunga; in alcune case è stato ripristinato il servizio dell’acquedotto. Di elettricità e gas non se ne parla, perché tutte le infrastrutture sono state distrutte. In inverno ci saranno dei problemi, perché nella nostra casa il riscaldamento è a gas. Mio padre e mia sorella invece ora abitano insieme nella casa di mia sorella, che è rimasta in piedi. A casa sua per fortuna hanno una stufa a legna. Adesso la città è sotto controllo russo? Qual è la situazione? La città è sotto il controllo russo. La situazione è brutta, perché i russi limitano gli spostamenti anche all’interno e sono sempre alla ricerca di nemici. Cercano persone in qualche modo legate al battaglione Azov, oppure qualcuno del municipio, o qualcuno che aveva una posizione filoucraina; sottopongono queste persone a degli interrogatori, le chiamano interviste o colloqui, ma in realtà le domande sono tutte volte a scovare i filo-ucraini. Per spostarti devi avere un foglio, che i russi rilasciano dopo questi interrogatori; solo con questo lasciapassare puoi andare da una zona all’altra. La popolazione russofona come sta vivendo questa situazione? Mariupol è una città storicamente russofona e tuttavia negli ultimi anni, con le riforme del governo ucraino, sempre più persone parlavano in ucraino. Dopo il 2014 anche nella nostra famiglia abbiamo iniziato a parlare l’ucraino. Questo conflitto ha spinto le persone a identificarsi e noi abbiamo voluto al 100% essere ucraini. Negli ultimi anni c’è stata una rinnovata partecipazione alle nostre ricorrenze, alla giornata di Vyshyvanka, la festa nazionale della camicia ricamata tradizionale, così come il Giorno della bandiera nazionale e altre feste ucraine. Nonostante la città sia stata russofona, la cultura ucraina era molto sentita. Noi parliamo il russo, ma rispettiamo le tradizioni ucraine e siamo ucraini. Prima di questa guerra la lingua non aveva un valore… A Mariupol c’è stata molta resistenza all’invasione russa… Sì, perché nessuno desiderava questo cambiamento di potere, né di veder stravolgere le proprie vite; noi tutti eravamo molto felici a Mariupol, soprattutto dopo questi cambiamenti, e sotto il controllo ucraino la nostra città, il nostro territorio si sviluppava … Non conosco esempi di tensioni tra amici, colleghi... So che in alcune famiglie di Donetsk ci sono state tensioni, anche divorzi, perché le persone non riuscivano a convivere, ma tra i miei amici e le persone che conosco non mi è mai capitato di sentire o vedere questi problemi. Dicevi che il 15 marzo siete scappati, dove siete andati? Siamo scappati verso il territorio russo, perché l’unica strada aperta portava verso i territori occupati. Non c’erano corridoi. Non si poteva raggiungere il territorio ucraino libero. Alcuni ci provavano, ma voleva dire stare praticamente sotto i bombardamenti, aspettando il permesso di andare avanti. Oppure attendere in queste file interminabili per prendere un autobus, ma parliamo di attese di giorni, settimane. Noi prima siamo andati in un villaggio turistico vicino a Mariupol, non volevamo allontanarci perché ancora non sapevamo nulla dei nostri genitori. Un giorno mio figlio si è ammalato, gli è venuta la febbre alta. Io non avevo niente con me per aiutarlo, era un villaggio molto piccolo davanti al mare e non c’era nessuno. Eravamo preoccupatissimi, per cui abbiamo deciso di spostarci in una città più grande, a Berdyansk, che rimane ancora sotto il controllo russo. Siamo rimasti lì per un po’, nell’appartamento di una mia amica, e poi abbiamo deciso di partire, sempre per cercare di raggiungere il territorio ucraino. Al primo checkpoint, i soldati russi ci hanno detto che non era più possibile. In realtà era una bugia. Allora abbiamo deciso di andare dai parenti di mio marito in Russia, in attesa di capire cosa fare. Siamo entrati in Crimea e siamo andati ad Astrakhan. In Russia abbiamo incontrato un atteggiamento molto ostile. I poliziotti ci fermavano continuamente e facevano questi interrogatori a mio marito, e queste procedure potevano durare da una a cinque ore. Il viaggio verso Astrakhan è stato molto pesante: il piccolo piangeva, voleva mangiare, e noi bloccati in attesa della fine di queste procedure; tutto perché nel cellulare di mio marito i russi avevano trovato un contatto. Abbiamo presto capito che stare in Russia era troppo pericoloso per noi. Siamo rimasti dai suoi parenti per poco tempo. Tra l’altro, essendo partiti con solo due zaini quando ancora era inverno, ci servivano dei vestiti perché stava arrivando la primavera. I familiari di mio marito hanno comprato le scarpe per me, per mio marito e per mio figlio. Abbiamo presto deciso di lasciare la Russia. I nostri parenti erano gentili con noi nel senso umano, ma dal punto di vista politico non c’era verso di capirci. Loro trovavano sempre una giustificazione per questa guerra e per tutte le azioni dei russi, anche per i bombardamenti. Loro restano convinti che la Russia ricostruirà Mariupol eccetera. Alla fine io non ne potevo più; ero stremata per questo mio continuo tentativo di spiegare il nostro punto di vista: noi siamo un paese indipendente, con quale diritto qualcuno decide del nostro futuro e se non siamo d’accordo ci ammazza!? Quello che è accaduto a Mariupol si avvicina a un genocidio. Loro si sono mossi senza responsabilità, senza alcuna umanità: sparavano e bombardavano le case dei civili, le scuole…Ma perché, se non per uccidere noi, le persone normali? Tra l’altro appena i russi sono entrati a Mariupol hanno iniziato a rubare tutto: le macchine, gli oggetti; entravano negli appartamenti, controllavano le persone, i documenti, gli scaffali, e poi giravano per ogni stanza, per ogni casa, per ogni palazzo… dicevano di farlo per trovare i nazisti, quelli di Azov. Comunque dalla Russia ci siamo infine spostati in Georgia, da alcune amiche, sempre nella speranza di poter tornare presto nel nostro paese… Dopo due settimane in Georgia, ci siamo infine resi conto che la nostra Mariupol non c’era più, che tutto era andato distrutto, che non saremmo tornati... I nostri genitori, i nostri familiari sono ancora là, non vogliono partire. Da un lato li capisco, perché hanno lavorato tutta la vita per costruire una casa, un appartamento, per creare un ambiente accogliente dove trascorrere la loro vita, fare progetti per il futuro... Mia sorella mi dice: “Perché dovrei partire? Non ho un posto dove andare, non ho un’altra abitazione, non ho amici che mi possano aiutare e ospitare altrove... Finché la mia casa è in piedi, rimango qui”. E così dicono i genitori di mio marito. La mamma di mio marito coltivava i fiori per venderli; le serre che ha costruito sono nel suo cuore, così come i suoi fiori... Dice: “Non so come faremo questo inverno, magari partiremo in autunno, ma poi ritorneremo”. Nel frattempo hanno iniziato a ricostruire la loro casa, quella bombardata quando è stato ucciso il fratello di mio marito. Mio marito e io abbiamo infine capito che dovevamo metterci nell’ottica di dover ricostruire la nostra vita: abbiamo iniziato a cercare delle soluzioni, almeno temporanee; ho scritto ai miei amici all’estero; mio marito ha scritto ai colleghi con cui aveva i nostri genitori sono ancora là, non vogliono partire: hanno lavorato tutta la vita per realizzare i loro desideri... mia sorella mi dice: “Perché dovrei partire? Non ho dove andare, non ho amici che mi possano ospitare altrove...

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