Una città n. 285

ché non è pensabile che una cosa del genere non fosse nota ai governi che si erano succeduti, non fosse nota al capo dello Stato, ai servizi… Quindi eravamo di fronte a un grande inganno che andava avanti da vent’anni. Così ho cominciato a interessarmi della vicenda in termini generali. Ho scritto diversi articoli con un po’ di notizie e un po’ di attenzione su questo tema l’avevo ricevuta. Sono stato chiamato a testimoniare in commissione antimafia da Rosi Bindi, e poi dall’ultima istituzione che ha seguito questa vicenda, che è la commissione antimafia della Regione siciliana, presieduta da Claudio Fava, che mi ha chiamato ufficialmente come consulente. Da tutte queste esperienze è nato questo secondo libro. Nel libro, una delle figure centrali è il commissario Arnaldo La Barbera, che fu il primo grande depistatore, un personaggio a dir poco inquietante... La presunta ansia da prestazione è verosimile? Ma no, non ci fu alcuna ansia di prestazione! La Barbera, per il fatto di aver scoperto l’assassino e aver risolto il caso, fece una carriera strepitosa. Già è una bella stranezza che fossero stati dati pieni poteri nelle indagini a un capo della Squadra mobile, già da allora associato ai Servizi, che tra l’altro aveva fatto tutta la sua carriera a Venezia, dove ne aveva combinate di tutti i colori con la banda di Felice Maniero, coi confidenti, compiendo illegalità di ogni genere, ma poi diviene responsabile della sicurezza di Falcone e Borsellino e ambedue vengono uccisi; è nominato capo delle indagini di via d’Amelio, annuncia di aver risolto il caso ed era tutto falso, diopodiché, forte del presunto successo, è nominato questore di Palermo, poi questore di Napoli, poi capo dell’Ucigos, cioè di tutto l’antiterrorismo: insomma, una carriera formidabile. Infine ottiene la vicedirezione del G8 di Genova come capo dell’antiterrorismo ed è lui a entrare materialmente alla Diaz e poi a costruire le falsità, ma per questo non ha avuto nemmeno un’incriminazione, anzi venne nominato vice-capo dei servizi segreti italiani. Dopodiché, per un tumore al cervello dal decorso rapidissimo, morì nel 2002 e, praticamente, ebbe dei funerali di Stato: ci andarono tutti, magistrati, politici, senatori, insomma, tutta l’Italia ufficiale, l’antimafia, e tutti lì a sperticarsi in lodi, pur sapendo tutti di quale specie fosse il personaggio. Impressionante! Ma perché è successo tutto questo? Chi volevano proteggere? Beh, questa è stata la chiave di partenza per il libro. La vera essenza di quello che è successo sta nel fatto che in quel periodo l’Italia si era trasformata praticamente, in Sicilia e in Calabria, in un narcostato. Il traffico di eroina, poi di cocaina, era diventato il principale asset dell’economia italiana e non sto esagerando, quindi dobbiamo immaginare un volume d’affari finanziari, economici e politici enorme, che pertanto non poteva essere rivelato. Lì ci fu proprio un patto, sottoscritto da tutti i grandi del cemento, in cui ognuno aveva il proprio interesse. C’era la Calcestruzzi, c’era Gardini, che all’epoca era il primo o il secondo industriale italiano, c’erano le cooperative come la Cmc di Ravenna, la Confindustria Sicilia, la Regione... D’altra parte è anche logico, se uno ci pensa, che un industriale edile del nord che ha bisogno di soldi per lavorare possa incontrarsi con chi detiene una quantità di liquidi enorme da investire e riciclare. Pensa solo a cosa vuol dire costruire Milano 2, quanti soldi servono, e di che enormità di finanziamenti hai bisogno per realizzare una televisione commerciale su scala nazionale. Ecco, in quel periodo gli unici ad avere i liquidi sono loro, i mafiosi. D’altra parte non c’è solo lo “stalliere” Mangano a testimoniare di questi rapporti, sono gli stessi fratelli Graviano a dire di aver prestato i soldi a Berlusconi e che, fra l’altro, “non li ha mai restituiti”… Quando poi le elezioni del ’94 le vinse a sorpresa Berlusconi, diventava assolutamente irrealistico che la magistratura si mettesse a perseguire il Presidente del consiglio. E quindi si inventarono un’altra pista, un’altra soluzione per far contenti tutti. Ecco, i due fratelli, i Graviano, del tutto sconosciuti al grande pubblico sembrano al centro di tutto... Questa è l’altra cosa impressionante, che, cioè, allo snodo di tutta questa vicenda, dal lato criminale, ci siano questi due fratelli Graviano. Sono loro i capi di questo Spatuzza e si arriva a loro tramite lui. È lui che dice: “Sono loro”. E questo è l’altro aspetto incredibile di tutti quegli anni, perché, come hai visto nel libro, erano sulla piazza da sempre e nessuno se n’era accorto. Se ne stavano al nord… Se ne stavano latitanti al nord, a Omegna, allora provincia di Novara, e da lì hanno gestito tutto. E poi evidentemente dovevano essere andati un po’ fuori dalle righe, perché quando vengono arrestati tutto l’impianto militare di Cosa Nostra finisce. Se ci facciamo caso, loro vengono arrestati il 27 gennaio del ’94, a Milano, tra l’altro mentre stavano preparando un grande attentato allo Stadio olimpico, dopodiché sono passati ben ventotto anni e non è più successo niente, nessuno è stato più ammazzato, nè un poliziotto, nè un carabiniere, nè un giudice, nè un uomo politico. Solo in Calabria ci fu l’omicidio di Fortugno, ma è un’eccezione, la realtà è che queste regioni sono praticamente pacificate, ma con il potere della mafia praticamente intatto. Ma Falcone e Borsellino cos’erano? Due persone del tutto incompatibili con l’Italia di quel tempo… Incompatibili. Falcone è molto intelligente, molto preparato e ha importanti contatti internazionali, aspetto decisivo vista la dimensione internazionale, soprattutto americana, del fenomeno, e quindi, come nel film, “L’uomo che sapeva troppo”, si trova nella situazione tragica di uno che capisce tutto, capisce l’entità della cosa e si rende conto che la cosa sarebbe andata a finire male. Se ne rende conto con il caso Sindona, perché lui è il primo a capire che cosa era successo. D’altra parte la vicenda Sindona è assolutamente fantastica. Quest’uomo -nel libro lo descrivo a lungo- che nasce proprio con lo sbarco americano, viene associato alla mafia e così comincia a fare grandi affari internazionali su queuna città 4 storia italiana nominato capo delle indagini, La Barbera annuncia di aver risolto il caso Borsellino ed era tutto falso l’unica possibilità che aveva di venire a capo di questa cosa era quella di fondare finalmente l’Fbi italiana

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==