Una città n. 285

st’asse Sicilia-Stati Uniti, capisce che lì non basta fare affari, bisogna dominare la grande finanza, e lui ci riesce! Diventa uno dei più grandi banchieri americani e uno dei più grandi banchieri italiani e tutti a far finta di prenderlo sottogamba, anche dopo che aveva dato la scalata ai più grandi centri finanziari italiani, da Mediobanca alla Bastogi ed essere diventato il banchiere del Vaticano. Godeva dell’appoggio di Andreotti, della massoneria, da quel giro lì, ma era certamente un genio della finanza, che sapeva raccogliere denaro e poi usarlo su tutte le piazze possibili. Certo, era un gioco delle tre carte e a un certo punto questa cosa gli è andata male. Falcone aveva capito il giro, aveva capito cosa ci stava sotto. Poi glielo conferma Buscetta, siamo a metà degli anni Ottanta, glielo confermano gli americani, quindi lui si va a trovare in una situazione molto pericolosa, in cui tutti lo odiano, i suoi colleghi, i politici, tutti. Credo che l’unica persona con cui alla fine si sia confidato sia stato Borsellino. Camminava sul filo del rasoio e l’unica possibilità che aveva di venirne a capo sarebbe stata quella di fondare finalmente la Procura nazionale antimafia, per centralizzare le indagini, avere cioè un corpo di polizia giudiziario assolutamente autonomo, una Fbi italiana. Si trattava di dichiarare uno stato di emergenza nazionale con le dovute conseguenze. Ovviamente questo non piaceva alla mafia e neppure a tutta la parte di politica e di economia che a quel mondo è legata. E quindi la sua fine, a mio avviso, è segnata dall’inizio. E ci sono sicuramente molti indizi che lo dicono. Borsellino era a parte delle inchieste di Falcone. Ci sono altre persone, che erano a parte delle inchieste, che hanno cercato di salvarlo, però insomma, alla fine è stato tutto insabbiato. Questa è la storia. Dell’omicidio di Cassarà, un altro protagonista della lotta alla mafia, fai una descrizione veramente impressionante… In quegli anni, lì a Palermo, sembra di essere nel Far West. La guerra di mafia è provocata essenzialmente dal fatto che i denari del traffico di eroina sono troppi e le varie famiglie non sono abituate a gestire una tale mole di denaro, non hanno dei buoni consiglieri, perdono la testa e si odiano tra di loro. Ricordiamolo, è una guerra che provoca migliaia di morti. Ebbene, lì alla procura, alla squadra mobile di Palermo e anche nell’Arma dei Carabinieri, c’è un piccolo gruppo che fa riferimento a Falcone, alle sue indagini, poi al servizio centrale di Polizia, che piglia a cuore la cosa. È il tempo della preparazione del maxiprocesso. Fra questi c’è Cassarà, che è giovane, intelligente, politicamente è di sinistra, ha voglia di fare e usa pure metodi spicci. Non solo seguiva gli ordini di Falcone che gli chiedeva riscontri sulle dichiarazioni di Buscetta e di Contorno, soprattutto di Contorno, ma aveva messo le mani su un altro grandissimo e sconosciuto giro di traffico di eroina, quello del clan Cuntrera-Caruana, una famiglia tuttora poco valutata, poco trattata, di broker di eroina, sia negli Stati Uniti che, soprattutto, in Canada. Il loro rappresentante più importante era questo Francesco Di Carlo, morto poco tempo fa di Covid. Anche di lui si è sempre sottaciuta l’importanza, mentre è stato l’artefice di tutto questo sistema di brokeraggio che partiva dalle raffinerie italiane e andava in Canada e negli Stati Uniti. Ed era, questo lo dice lui, un membro sia di Cosa Nostra che del Sisde, in amicizia intima sia con Miceli che con Maletti e Santovito, i capi del Sisde e del Sismi negli anni Settanta, uno quindicoperto, protetto. Cassarà aveva intuito tutto questo. A un certo punto Di Carlo viene arrestato a Londra, dove era una potenza, gestiva un traffico di eroina nascosto in mobili d’antiquariato, e però l’accusa regge e non regge e quindi la giustizia inglese chiede agli italiani di venire a dare una testimonianza su chi sia questo Di Carlo. E gli italiani mandano Cassarà. Lì c’è una scena molto drammatica perché Cassarà spiega loro che Di Carlo è un delinquente, ricercato dalla polizia, un grande boss mafioso, eccetera, e Di Carlo, presente lì, nella gabbia dell’aula, lo minaccia di persona, dicendo che lo uccideranno. Cassarà capisce che a causa di quel viaggio a Londra la sua fine è segnata, e così è. E lo uccidono nel modo più spettacolare, con più di una decina di killer, appostati su tre piani del palazzo prospiciente a quello dove abita, con 250 proiettili di kalashnikov sparati… Lì, con Cassarà morirà l’agente Antiochia. Bisogna tener conto, per capire l’importanza di questo omicidio, di che tempi stiamo parlando. Temo che la gente si dimentichi abbastanza presto di quel che è successo in quegli anni. Quelli sono i tempi in cui Calvi, il capo della più grande banca privata italiana, viene ucciso a Londra. Calvi era il Banco Ambrosiano, una banca cattolica, la banca della borghesia milanese più conservatrice, più tradizionalista, che lì, insomma, ha i suoi depositi, le sue cassette di sicurezza e Calvi è quello che si mette in società con la mafia, con Gelli, con Ortolani, con tutta questa banda di delinquenti che gli spolpano la banca, fino a quando lui si trova nella situazione di dover restituire soldi che non ha più, e cerca l’ultima avventura a Londra dove viene ucciso dalla mafia medesima. Se uno pensa di fare quel mestiere, il banchiere soprattutto, deve essere una persona che non parla e purtroppo per lui Calvi non aveva più questa reputazione. Avevano paura che parlasse e che raccontasse tutto. Quindi lo uccidono. E chi lo uccide? Di Carlo. Lo strangola personalmente. una città 5 storia italiana Di Carlo è lì presente, in aula, davanti a lui, nella gabbia, e lo minaccia di persona, dicendo che lo uccideranno...

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