Una città n. 283

Lui amava molto Bloch, soprattutto per il suo impegno politico così forte, un impegno che gli fece rischiare la vita, portandolo infine alla morte, e che era del tutto unito al suo impegno di storico del medioevo. Per mio padre l’impegno civile doveva essere legato all’impegno sul passato. Della guerra non ha mai parlato né a noi né alla mamma, ma per le poche cose che ho saputo credo che lui abbia messo in pratica quel rigore e quell’impegno civile che tanto ammirava in Bloch. Mio padre morì nel ’70 in un terribile incidente d’auto in cui perse la vita anche mio fratello. Io avevo 30 anni. Da allora mi è rimasto uno sguardo dal basso verso mio padre, sempre un po’ come una ragazzina e questa per me è una grande tristezza. Fra l’altro dopo l’università io ero andata via di casa. Quello che avrebbe potuto essere un colloquio, non dico fra pari, ma fra due persone ormai adulte, non sarebbe più potuto avvenire. Ci sono state delle difficoltà che ho vinto solo con fatica; ho dovuto anche riacquistare la sicurezza in me stessa perché per molto tempo mi ero sentita più fondata in mio padre. Ho dovuto consumare uno strappo, vincere il panico di non avere più una persona che, pur essendo terribilmente condizionante, era anche un punto di riferimento sicuro. Pensavo di nuovo di non essere capace e mi sentivo schiacciata di fronte a tutte le cose che non sapevo, non capivo. Non osavo neanche prendere in mano i libri del babbo perché avevo l’impressione di non capire niente. Oggi posso dire che mio padre, attraverso i ricordi che avevo di lui e i suoi libri, che ho letto più tardi, è stato il mio maestro interno, un maestro silenzioso. Cosa avrebbe detto del mio libro su san Francesco? Avrebbe detto che non gli piaceva per niente. Sicuramente. Una delle cose che mi diceva sempre quando facevo la tesi era che scrivevo solo delle “lungagnate”. Lui sosteneva che nella vita non bisognerebbe scrivere più di mille pagine, che mille pagine è la misura massima che uno si può permettere e in effetti lui ha scritto poco, ma perché scriveva in maniera molto particolare, ironica, allusiva, molto densa. In realtà spero che il mio libro gli sarebbe piaciuto, però penso che mi avrebbe detto che c’erano molte sciocchezze e che era una “lungagnata”. una città 34 in memoria La regola che non passò Perché le pareti della Basilica superiore rimasero bianche per quasi cinquant’anni? La sofferta vicenda della Regola francescana e la scoperta che i dipinti non si rifanno solo alla “Legenda Maior” di Bonaventura, ma anche alle conferenze parigine, dalle quali si può capire, ad esempio, perché nelle scene Francesco è scalzo e con la barba, mentre i suoi frati sono rasati, hanno i sandali e apparentemente non stanno affatto seguendo la Regola. (Una Città 226/2015) In lambretta col babbo Nei ricordi d’infanzia del paese delle vacanze estive, dove la grande povertà conviveva con l’agiatezza dei pochi, l’amicizia coi figli dei mezzadri della nonna e il legame con un padre severissimo, che odiava i soldi e non voleva possedere neanche i libri che leggeva, ma che educava all’onestà intellettuale, alla curiosità, al culto del dettaglio. (Una Città 211/2014) L’elemosina e la giustizia L’idea di giustizia di Francesco secondo cui l’elemosina è parziale restituzione del dovuto ai poveri; la proprietà e la ricchezza che inibiscono la libertà interiore; la dignità del corpo che va difesa; la maggior fiducia che Chiara aveva nelle consorelle; il calvario di Francesco al ritorno dall’Egitto. (Una Città 195/2012) Se i raggi sono bianchi o rossi L’incapacità di apprezzare un’opera senza saper leggere la grande quantità di simboli, convenzioni, gesti codificati, alcuni dei quali, fra l’altro, tuttora in uso; il luogo comune che nel Medioevo non si leggesse; una cultura religiosa, oggi del tutto persa, tramandata per secoli durante le veglie nelle stalle. (Una Città 174/2010) Il grandissimo privilegio La caparbietà di Chiara, la “pianticella di Francesco”, a pretendere per sé il privilegio della povertà assoluta, per vivere nell’incertezza quotidiana del povero. Lo scontro durissimo con il papato che per le donne prevedeva solo una clausura strettissima e quindi una vita “di rendita”. Chiara più democratica e fiduciosa di Francesco che, invece, il grande successo ottenuto rese disperato. (Una Città 148/2007) Gioia, molto poca Il racconto della vita quotidiana di un paesino del nord, rimasta uguale dal medioevo agli anni cinquanta, quando poi tutto cambiò. Le condizioni terribili, che oggi consideremmo disumane, dei contadini poveri di montagna. L’alimentazione era a base di polenta, il letto faceva la brina, l’acqua era per le bestie, per i neonati non c’era dottore ed era il prete ad autorizzare l’uso del solfato di rame contro la peronospera. (Una Città 118/2004) Le chiavi di Pietro La partita doppia delle pene e delle opere buone, il mercato delle indulgenze, la nuova idea del purgatorio, non potevano che affermarsi in una società ormai pienamente mercantile. L’idea di un Giubileo che non avesse precedenti per la generosità dell’indulgenza elargita, che restaurasse la potenza anche politica della Chiesa, a Bonifacio VIII la diede il predecessore Celestino. (Una Città 91/2001) Cosa intendi dire? Il rapporto difficile e controverso con un padre severo, molto esigente, grande professore della Normale e storico importantissimo, scomparso prematuramente e divenuto così, per la figlia, un “maestro silenzioso”. (Una Città 78/1999) Quei lumini Un brulicare di attività all’aperto, le donne che vanno al mercato e a prendere l’acqua o il fuoco, gli artigiani che aprono bottega, i bambini che giocano, il banditore che dà le ultime notizie. Ma anche case anguste, senza vetri, dove ci si ammassa per dormire, quando, al tramonto, la città sprofonda in un buio pesto. Il successo strabiliante dei frati predicatori. Una giornata in una città del Trecento. Intervista a Chiara Frugoni. (Una Città 65/1998) La punta del cappuccio Francesco misurò nel successo il fallimento del suo progetto rivoluzionario, pensato forse per pochi. La Verna fu il suo Monte degli Ulivi. La divinizzazione di Francesco attraverso il miracolo delle stimmate lo rese inimitabile. L’idea forse venne a Elia di fronte a un cadavere piagato dalla lebbra. Bonaventura e Giotto fecero il resto. Le lotte feroci combattute sui campi di battaglia delle immagini. La sua cristologia fondata sul Natale. L’idea falsissima di un santo sempliciotto amante della natura. Intervista a Chiara Frugoni. (Una Città 34/1994) LE INTERVISTE A CHIARA FRUGONI

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