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Intervento di Irfanka Pasagic
Quando Edi Rabini, nel corso di una con-
versazione informale, mi chiese come
avrebbero potuto aiutare, non ricordo esat-
tamente quello che dissi, però so qual era il
messaggio: bisogna venire ed esserci, a Sre-
brenica. È una frase che ripeto spesso, ma
ero sicura che lui mi stava sentendo. E ca-
pendo. Srebrenica, un tempo bellissima cit-
tadina turistica della Bosnia nord-orienta-
le, famosa per la sua acqua termale unica
in Europa, descritta dal noto scrittore di
viaggi Evlija Celebija come spugna inzup-
pata di acque curative, è stata uccisa, isola-
ta per più di tre anni di completa mancanza
di volontà di aiutarla, e poi ha subìto il col-
po finale nel luglio del 1995, in diretta tele-
visiva, davanti agli occhi di tutto il mondo.
Srebrenica: i giorni della vergogna
, è il tito-
lo di un libro scritto da Luca Leone. Miglia-
ia di morti e migliaia di dispersi. E ancora
molti di più quelli che continuano a vivere
con profonde ferite nel cuore, ferite che fa-
ticano a ricucirsi. E dopo tutto non abbiamo
il diritto di dire che non sapevamo.
Per la ripresa di qualcosa che è stato così
sistematicamente distrutto, come è stata
distrutta Srebrenica e tutto quello che rap-
presentava la vita, c’è bisogno di tempo. E
di tanti amici, tanto sostegno, tanta com-
prensione. Parecchio tempo fa ho imparato
che le ferite provocate dalla cattiveria uma-
na possono essere curate solo con la bontà
umana.
Le ferite provocate
dalla cattiveria umana
Il modo migliore per aiutarli è guardare an-
che per un istante nei loro cuori pieni di ri-
cordi. Sia ricordi belli, sia ricordi di quell’al-
tro tipo. Tuzlanska Amica ha progettato
tutte le sue attività ascoltando e ricordan-
dosi tutto quello che i feriti di guerra ci di-
cevano, cercando insieme a loro di fare il
meglio.
Grazie all’enorme comprensione e all’ami-
cizia di numerose organizzazioni, prima di
tutto italiane (alcune delle quali nate dopo
aver conosciuto noi e il nostro lavoro), sia-
mo riusciti a far sì che le tracce della nostra
presenza fossero diffuse dappertutto, a vol-
te nascoste nei cuori di coloro che stavamo
aiutando, a volte ben visibili.
La nostra fortuna è stata aver conosciuto
persone buone nei tempi in cui avevamo bi-
sogno di parole calde, aiuto e sostegno. Con
la Fondazione Alexander Langer, sono con
noi da anni Spazio Pubblico di donne di Bo-
logna, Cral Telecom Emilia Romagna e
Cral Telecom Liguria, la Regione Emilia
Romagna, l’associazione culturale Macondo
di Bagnolo in Piano, l’associazione Macondo
Tre di La Spezia, l’associazione Adottando
di Bologna, la rivista “Una città”, l’associa-
zione Solidarietà 1991 di Villa di Serio, l’as-
sociazione Banca Aiuti di Rimini, e molti
altri.
Anziché scrivere i nomi delle organizzazio-
ni preferirei scrivere quelli delle persone,
perché le organizzazioni con le quali colla-
boriamo sono fatte di persone buone. Ma
l’elenco sarebbe troppo lungo. Abbiamo ini-
ziato come gruppo informale, durante i pri-
mi giorni della guerra, quando anche noi
stessi eravamo persi, ma pieni di desiderio
di aiutare le colonne di donne, bambini, an-
ziani che arrivavano a Tuzla dai campi di
concentramento.
Solo dopo mi sono resa conto che si trattava
di coraggio e di un’esperienza unica -anche
nei giorni in cui la morte era dappertutto in-
torno a noi e quando noi stessi avevamo fa-
me ed eravamo spaventati, abbiamo cercato
di alleviare la sofferenza psicologica. Da an-
ni ci troviamo di fronte a storie su Srebreni-
ca raccontate da coloro che non l’hanno mai
visitata, di fronte a innumerevoli progetti
che costano troppo e che non portano risul-
tati tangibili, nati negli uffici, lontani dalla
realtà e dai bisogni di questa cittadina spe-
ciale.
Mi ricordo di un giovane di Srebrenica che
disse: “Se continua così, saremo solo un
museo di figure di cera, verranno a vederci,
ci guarderanno e se ne andranno. Daranno
qualche soldo come biglietto d’ingresso per
il circo”.
Quando pensavo a come si poteva aiutare,
volevo che, oltre a quelli che vengono una
sola volta, scrivono un libro e pensano di
sapere cosa e come si deve fare; oltre a
quelli che pensano che con il denaro può es-
sere lavata l’inoperosità nei tempi del male,
venissero anche quelli che lo vogliono vera-
mente, quelli che ascolteranno, sosterran-
no, criticheranno quando necessario, quelli
a cui interessa anche quello che è successo
e quello che ci vuole per un domani diverso.
Le persone che incontrerete
Sapevo che a Srebrenica ci sono giovani che
non si rassegnano di fronte alla situazione
di divisione del proprio popolo. Giovani
pronti a confrontarsi con i terribili tempi di
guerra e di crimini, pronti anche a risve-
gliare la speranza che il futuro possa essere
costruito insieme e senza odio, in quella che
un tempo è stata Srebrenica. Giovani co-
raggiosi che vogliono rimanere nella pro-
pria città, il cui nome è scritto in lettere ne-
re nella storia dell’Europa. E lottare per
qualcosa di diverso. Srebrenica oggi è qual-
cosa di completamente diverso rispetto a
quello che è stata un tempo. L’unica cosa
bella e positiva sono le persone che incon-
trerete.
Così come tutto il resto in Bosnia-Erzegovi-
na, anche la memoria di Srebrenica è divisa
in due parti: il prima della guerra e il dopo.
Le tracce del prima sono invisibili, però so-
pravvivono nei cuori dei sopravvissuti. Ed
è proprio questo ricordo che deve essere
conservato per le generazioni future che
stanno crescendo e per quelle che verranno.
Sapevo che conservare i racconti di Srebre-
nica “prima” significava credere che il male
non può trionfare e che un nuovo futuro
può essere costruito su quello che di buono
c’era e che non può e non deve essere di-
strutto e dimenticato. Per questo ho parlato
della necessità di venire a Srebrenica. Per
questo ho parlato della necessità di scrivere
del passato, scrivere bei racconti, attraver-
so la creazione di un centro di documenta-
zione.
Per questo ho voluto che un gruppo di gio-
vani avesse a disposizione uno spazio per
stare insieme, uno spazio dove poter parla-
re di quello che è stato e di quello che vor-
rebbero che fosse.
Da qui l’idea della Settimana Internaziona-
Sapevo che a Srebrenica ci sono giovani
che non si rassegnano
se continua così, saremo un museo
di figure di cera, verranno a vederci,
ci guarderanno e se ne andranno
Tuzla mala sirena
Sopra i blindati dell’Onu
sulle toyota con targhe straniere
sopra i tetti bruciati
sopra le cime dei minareti
la vita rinasce
sulle tue cicatrici
tuzla, mala sirena
tuzla, mala sirena
riprendi la tua libertà
sopra le luci dei piccoli chioschi
sulle parabole arrugginite
sopra gli sguardi persi nel vuoto
nelle baracche dei rifugiati
la vita rinasce
sulle tue cicatrici
tuzla, mala sirena
tuzla, mala sirena
riprendi la tua libertà
avrai acqua bollente per lavare via
gl’incubi
avrai luce la notte e vetri puliti
avrai la benzina e il carbone
e carne e farina e zucchero e miele
alla sera i vecchi fumeranno le pipe
seduti davanti ai caffè
e i giovani un giorno riusciranno a
riempire
il buco nero in fondo al cuore
la vita rinasce
sulle tue cicatrici
tuzla, mala sirena
tuzla, mala sirena
riprendi la tua libertà
Mala Sirena
dall’album “Dopo il lungo inverno”, 2006
dei Modena City Ramblers