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Presentazione di Irfanka Pasagic
Già dall’inizio della guerra a Tuzla avevano
cominciato ad arrivare colonne di profughi.
Nonostante fosse territorio libero, morire
per le granate era la quotidianità. La fame
prendeva il suo tributo giorno dopo giorno.
Un gran numero di bambini profughi era
sistemato nelle aule scolastiche, spesso con
centinaia di materassi o letti a castello con
grigie coperte militari. Senza un giocattolo,
un quaderno, dei colori.
La guerra ci ha colti di sorpresa. Il nostro
sapere sui traumi e sulle reazioni post-
traumatiche si riduceva a qualche pagina
di testi di psichiatria. Anche noi, spaventati
da quella sventura che ci era capitata, lavo-
rando con bambini e adulti, eravamo co-
stretti a imparare da soli ciò che riguarda-
va il trauma. Il cosiddetto Ptsd (Post trau-
matic stress disorder). E come aiutare que-
ste persone.
Nei libri non c’era tutto l’orrore che gli in-
cubi notturni portano con sé, né la paura di
addormentarsi e riviverli di nuovo. Nem-
meno potevamo sapere che il flashback nei
bambini potesse essere così potente e farli
soffrire così tanto da portarli spesso a com-
portamenti strani. Non potevamo sapere
quanto i pensieri coatti potessero influen-
zare la loro vita e il loro rendimento scola-
stico. Lo abbiamo imparato nell’incontro
con le vittime. Le lezioni più difficili le ab-
biamo apprese nell’incontro con i bambini,
ai quali gli altri, volontariamente, avevano
inflitto una sofferenza inimmaginabile.
Sapevamo di dover fare qualcosa. Un grup-
po di volontari, psichiatri, psicologici, assi-
stenti sociali, pedagogisti, si sono trovati
nei centri collettivi, nei campi profughi, nel-
le scuole.
Spesso anche noi, affamati e spaventati,
tentavamo, nella follia che ci circondava, di
portare almeno un barlume di luce e colori
nelle loro vite. E li ascoltavamo, i bambini.
Sapevamo che nel contesto in cui vivevano,
tra centinaia di feriti come loro, spesso non
avevano nemmeno la possibilità di dire una
parola sulla loro sofferenza.
Ljubica ha sempre saputo ascoltarli. E rea-
gire nel modo giusto. Però io so che, dopo,
anche lei soffriva molto. So che proprio in
quei momenti di sofferenza sono stati scrit-
ti questi racconti. E non era facile. Anch’io,
dopo aver lavorato per ore con i bambini
traumatizzati, mi trovavo a estraniarmi da-
gli altri e a fissare lo sguardo nel vuoto.
L’orrore che i bambini testimoniavano tal-
volta era insopportabile. In quei momenti
sembrava impossibile andare avanti, cerca-
re di essere dei “veri professionisti”, in quei
momenti potevamo essere solo persone e
soffrire. Insieme a loro.
È incredibile la forza con cui i bambini cer-
cano di combattere l’orrore in cui si sono
trovati per volontà di gente malvagia.
Ricordo la colonna di bambini giunta all’ae-
roporto di Dubrave, vicino a Tuzla, dopo la
presa di Srebrenica. Erano arrivati senza
alcun parente maschio che avesse più di 14-
15 anni. Spesso erano stati brutalmente se-
parati dai loro padri, fratelli, cugini, davan-
ti agli occhi dei contingenti delle Nazioni
Unite, sistemati sotto le tende, sempre sot-
to il controllo degli uomini delle Nazioni
Unite, senza acqua e cibo sufficienti, dopo
anni trascorsi a Srebrenica, nell’assedio to-
tale, dove la morte e la fame erano un modo
di vivere.
Abbiamo offerto loro carta e colori. Li han-
no presi, e in questo grigiore delle tende e
in una tragedia mai vista, è nata una mo-
stra piena di colori. Però su questi disegni
non c’erano persone né animali. C’erano
tanti camini sulle case, però non usciva il
fumo. Quel fumo che da noi indica che qual-
cuno vive in quella casa.
Devo ammettere che tutti noi siamo rimasti
colpiti da una delle prime domande che i
bambini ci avevano fatto: “Quando inizierà
la scuola?”. Era il mese di luglio, il mese in
cui tutti i bambini del mondo si godono le
vacanze scolastiche. E questi bambini sof-
ferenti che per giorni avevano vissuto la più
grande tragedia sotto gli occhi di tutto il
mondo, traditi dalle persone in cui credeva-
no, chiedevano di andare a scuola. Abbiamo
così compreso che la scuola, con la sua
struttura familiare, avrebbe potuto aiutarli
a conservare il controllo e l’integrità di
fronte all’orrore di cui erano stati testimo-
ni. E siamo intervenuti in fretta.
Grazie all’aiuto del direttore della scuola di
Dubrave, abbiamo aperto le porte della
scuola che si trovava a qualche chilometro
dal villaggio di tende. Così, colonne di bam-
bini si sono formate di fronte alle aule sco-
lastiche. La maggior parte di loro non ave-
va nemmeno le scarpe. In fuga dalla soffe-
renza che li circondava nel luogo sconosciu-
to, nel ghetto in cui erano stati sistemati
dopo essere stati cacciati da Srebrenica, al-
meno per poco potevano stare in un am-
biente a loro noto che non li spaventava,
che dava loro un senso di sicurezza.
Spesso diciamo che i bambini sono il nostro
futuro. Io dico che siamo noi il loro futuro.
Se centinaia di migliaia di bambini della
Bosnia-Erzegovina cresceranno nella con-
vinzione che i criminali possono restare im-
puniti e che la sofferenza che hanno subìto
non meriti una condanna, distruggeremo il
loro futuro.
I bambini ricordano. Il male che è stato loro
inflitto non deve rimanere impunito. Loro
meritano la verità. E la giustizia, Per poter
andare avanti e perché il loro futuro possa
essere diverso. E con il loro quello del mon-
do. Questa è la nostra responsabilità.
Grazie a Ljubica per aver consegnato alla
storia i ricordi dei bambini. Nella speranza
che mai e per nessuno si ripeta.
Tratto dal libro di Ljubica Itebejac
Djeca pamte-
I bambini ricordano.
Testi a fronte bosniaco/ita-
liano. Introduzioni di Irfanka Pasagic e Chiara
Riboldi. Traduzione di Liliana Radmanovic.
Pubblicato nel 2005 da Tuzlanska Amica, Zene
Srebrenice di Tuzla, Fondazione Alexander Lan-
ger Stiftung, Una Città.
Ljubica Itebejac, pedagogista, nata in Vojvodina
nel 1947, ha trascritto racconti di bambini du-
rante il lavoro con gruppi di allievi delle scuole
elementari e medie e nei campi profughi di Tuzla
e del Nordest della Bosnia, dal 1995 al 2005.
Quando inizierà la scuola?