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del confronto accade l’imprevedibile. Uno
dei cavalieri si pente e rinuncia al suo pote-
re. Poi, via via, anche gli altri mettono in
questione la propria missione e cercano
nuove relazioni con i propri servi di prima.
Non è la storia di una rivoluzione, di un ri-
baltamento. L’iniziativa del cambiamento
dipende tanto dai deboli quanto dai forti.
L’effetto è spiazzante. Lo è stato sugli attori
nel corso del loro lavoro di preparazione. Lo
è per il pubblico, numerosissimo e plauden-
te: colpito oltre tutto da uno spettacolo re-
citato in due lingue, quella del luogo e l’ita-
liano. Un segno di apertura, un buon segno.
Tuzla, 5 luglio
Il convegno prosegue; la mattinata è dedi-
cata ai giovani. Del resto il gruppo di Adopt
è formato proprio da giovani che, come i lo-
ro coetanei bosniaci, non hanno certo vita
facile. La percentuale dei disoccupati è al-
tissima e finisce per produrre, fra le nume-
rose conseguenze, forme di dipendenza
dall’estero a dir poco clamorose: ad esem-
pio, in Germania c’è forte domanda di infer-
mieri, ed ecco che il governo bosniaco si
premura di creare nuove scuole per infer-
mieri. Ma se il lavoro manca, c’è viceversa
un sovrappiù di odio, quello prodotto dalla
guerra e destinato a incancrenirsi in un do-
poguerra che non è mai realmente comin-
ciato. La società nel suo insieme -dicono al-
cuni- è tuttora fortemente traumatizzata;
lo sono i genitori, gli insegnanti, i politici,
tanto che il clima in cui i ragazzi fanno le
loro prime prove è per forza di cose molto
difficile.
Qui, per semplicità, può essere utile richia-
mare solo tre dei molti interventi succedu-
tisi nella discussione. Il primo è di Branko
Todorovic, del Comitato Helsinki per i dirit-
ti umani di Bijelina. Racconta che nei ma-
nuali di storia c’è il vuoto sulla guerra: a
mala pena si dice quando è iniziata e quan-
do è finita. Questo produce un vuoto ancora
più grave nella testa dei ragazzi, che viene
riempito in modo improvvisato e fazioso dai
singoli insegnanti o dai genitori. Quel vuoto
lascia spazio a pericolose manipolazioni che
bisogna saper contrastare nel merito. Non
si può lasciare i giovani senza passato, né
tanto meno il passato può essere nascosto.
Devono sapere che ognuno ha avuto espe-
rienze diverse, perché solo così potranno
imparare a rispettare le posizioni degli al-
tri. E devono dunque conoscere direttamen-
te quelle esperienze, incontrando i protago-
nisti della storia recente.
Il Comitato si rivolge a giovani di età diver-
se. Organizza campi di una trentina di ra-
gazzi. Dopo una preparazione di due o tre
giorni li pone in contatto con esperienze vis-
sute. Todorovic cita fra le altre quella del
bimbo che è rientrato in casa a prendere le
ciabatte e fuori tutti gli altri membri della
famiglia sono stati uccisi. I genitori sono in
genere disponibili o non si oppongono, an-
che perché i ragazzi mostrano quasi sempre
un forte interesse.
A volte si parte in pullman verso località
non vicinissime per ascoltare racconti di
prima mano dalla voce dei protagonisti.
Spesso è presente uno psicologo. Viceversa,
il Ministero dell’istruzione non manifesta
alcuna apertura. Solo il Cantone di Tuzla
ha accettato la pubblicazione di un piccolo
libro di storie. In Repubblica Srpska molte
scuole rifiutano le proposte del Comitato,
anche se oggi la situazione è in parte mi-
gliorata, perché da parte sua il Comitato ha
imparato a evitare gli atteggiamenti troppo
radicali di qualche tempo fa. Ora i suoi
membri non esitano a parlare con tutti, a
riconoscere chiunque sia disposto ad aiuta-
re, a prendere atto che gli atteggiamenti
possono mutare, che anche fra i criminali
c’è chi è disposto a pentirsi.
È poi la volta del generale Divjak, in guerra
a capo della difesa di Sarajevo assediata,
dedicatosi poi all’associazione L’educazione
costruisce la Bosnia, che ha attribuito sino-
ra 5.000 borse di studio. Propone i risultati
di un’indagine sui giovani dalla quale risal-
tano alcuni dati interessanti: prevarrebbe-
se il lavoro manca c’è un sovrappiù di
odio prodotto dalla guerra, destinato
a incancrenirsi nel dopoguerra
Bosnia vent’anni dopo
Un testo poetico, scritto da Sandro Ottoni e
musicato da Mauro Franceschi, che ripercorre
un viaggio in Bosnia orientale svolto in occa-
sione della “Settimana internazionale della
memoria” 2014, di cui riproduciamo qui alcu-
ni brevi estratti. Le poesie richiamano luoghi
e momenti dell’itinerario, anche nei ricordi
dell’autore che viveva in quegli anni in ex-Ju-
goslavia e partecipò a vari eventi della guerra
come cronista e attivista politico. La narrazio-
ne è scandita da momenti riflessivi su temi del
percorso.
Truismo di guerra 1:
Europa / vergogne
Bosnia preterita rodendo l’osso
seppellito del rimosso, tritato
nell’europeo west globale.
Ci han messo vent’anni, che fatica
a dire: fu “genocidio” a Srebrenica
L’impotenza internazionale è una
specie di disturbo libidinale?
sarà curabile?
Intanto la corte mondiale
condannate alcune teste:
capi e aguzzini rinomati
molti della truppa ha liberati
così la vittima continua
incontra il suo carnefice
a passeggio
La vittima non deve vergognarsi
mai, eppure lo fa lo stesso
ché dire i colpevoli, denunciare
testimoniare per chi ha subito
più spesso è una vergogna - la vergogna
della vittima - la paura del segno
la macchia, poi l’angoscia di evocare
il trauma, di pensarci, di tornarci
e la paura di non essere creduta
di subire ancora,
e poi ... shhhh ...
Srebrenica
(da srebro = argento)
Tra l’altro sarebbe meglio
raggiungere Srebrenica
col buio e non vedere troppo
di quello che ti aspetti
di villaggi serbi
coi loro cimiteri
e memoriali rivali e tarocchi
per guerre di numeri e uccisi
e degli accordi per il nulla osta
all’hotel degli stupri “Fontana”
che intravedi appena nel buio
restaurato rosa: rosa!
Srebrenica di notte
è un paesino fra le montagne
ha la luna e i cani che l’abbaiano
e poi il silenzio che dura
anche di giorno c’è poco traffico
dei negozi aperti e altri chiusi
gente che sta al caffè
a ogni ora come se fosse niente
Di mattina al Memoriale
ottomila tombe intorno
nella moschea aperta, sotto la volta
all’ombra di un sole ben servito
le ragazze della comitiva
con rispettoso velo sulla testa
sedute sul tappeto ascoltano
Andrea che traduce Azir che narra
bianche steli, mille intorno stoppie
e la pace della valle a Potocari.
Dietro si vede la strada statale
e la base olandese, i recinti del male
Infatti erano lì lungo la strada
in fila, mentre li separavano
poi nel bosco - li sparavano
adesso di qua, identificati col dna
nuovi stecci nel granitico circa:
8372 «che non è definitivo»
Don Quijote nelle strade di Tuzla. Realizzato da Teatro Zappa Theater di Merano e Festival ArTz di Tuzla