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Non si sa esattamente chi sia stato il primo
ad assaggiare l’acqua della fonte “Guber” di
Srebrenica e nemmeno se nei tempi antichi
ci fossero state persone così coraggiose da
provare questo elisir naturale dal profumo
particolare, che cambia il colore del sasso
da cui ha origine.
È certo che il territorio di Srebrenica era un
luogo attraente per tutti i suoi conquistato-
ri -e ce ne sono stati tanti-, per via delle sue
ricchezze minerarie, più precisamente per
l’argento. Proprio a Srebrenica, durante il
periodo dello stato bosniaco medievale, si
trovava una delle due zecche dello stato.
Già molto tempo fa, i primi abitanti dei
Balcani, gli Illiri, scavavano per estrarre
questo metallo prezioso. Dopo di loro ven-
nero i Romani, che dettero i primi due nomi
a Srebrenica: Domavija e, in seguito, Ar-
gentaria (dal latino
argentum
-argento).
Successivamente, il nome Argentaria fu
tradotto in
Srebrenica
e tale è rimasto.
Grazie alla ricchezza mineraria del suolo e
alla specifica composizione del terreno, a
Srebrenica esistono 48 fonti di acqua mine-
rale, 16 delle quali sono state scientifica-
mente analizzate.
Ad alcune fonti sono stati dati dei nomi po-
polari. Sono quelle più riconoscibili e sulle
quali, per via delle loro proprietà curative,
si fondava tutto il turismo termale del Co-
mune di Srebrenica. Esse sono:
Voda za li-
jecenje koznih bolesti
(l’acqua per la cura
delle malattie della pelle),
Mali guber
(Pic-
colo Guber),
Sinusna voda
(l’acqua per la
cura della sinusite),
Ljepotica
(acqua di bel-
lezza),
Crni
(Veliki),
Guber
(il Guber nero,
grande), e
Ocna voda
(l’acqua per la cura
degli occhi).
Con l’annessione della Bosnia-Erzegovina
da parte degli austroungarici nel 1878 e
con il loro arrivo a Srebrenica, iniziarono
anche le prime ricerche scientifiche. Il pri-
mo a porre l’attenzione sulle proprietà cu-
Centro di documentazione: Bekir Halilovic
Terme Guber: il cuore di Srebrenica
Dopo il genocidio, oltre al danno diretto del-
l’uccisione di persone, abbiamo capito che
la cosa più terribile per il futuro è il fatto
che, insieme alle persone, sono stati cancel-
lati i ricordi, le memorie. Sono state voluta-
mente annientate circa tre generazioni di
persone, la possibilità di trasmettere i ri-
cordi e i racconti. Le case, quando vengono
distrutte o incendiate, si possono ricostrui-
re. Alle persone scomparse o morte, nono-
stante la complessità della questione, può
essere restituita (nella maggioranza dei ca-
si) la loro identità. Quello che non puoi fare
è recuperare le memorie di queste persone.
Quindi, se non facciamo questo tipo di lavo-
ro, il genocidio ha funzionato. È difficile
spiegare cosa significa trovare una fotogra-
fia se non hai vissuto una cosa di questo ti-
po. Purtroppo i ricordi svaniscono, si affie-
voliscono. Capita che ci siano delle persone
che con la guerra hanno perso tutta la do-
cumentazione familiare. Per esempio, oggi
ci sono ragazzi che erano bambini piccoli
quando è iniziata la guerra o quando hanno
perso i loro genitori e quando chiedono
com’era il loro padre, se c’è qualcuno che è
sopravvissuto glielo può spiegare, ma senza
foto non se lo possono immaginare. E la foto
non c’è. Personalmente mi è capitato qual-
che volta di trovare questo tipo di materiale
e di vedere la reazione di chi, per la prima
volta, vedeva il suo papà. A me è capitato di
trovare materiale registrato, con la voce del
mio papà. Quando siamo stati separati fisi-
camente avevo undici anni. Me lo ricordo
visivamente, ma la sua voce non me la ri-
cordavo. Nel primo momento, quando ho
messo questo cd, non ho riconosciuto la sua
voce, ci ho messo un po’. Me lo avevano det-
to che era lui, però ho dovuto ascoltarlo tre,
quattro volte. Dopo ce l’ho fatta... e poi mi
sono ricordato tante cose che lui mi diceva.
Riascoltando questa voce, cercavo i ricordi
nella mia mente, e pian piano ho iniziato
quasi a sentire i suoni, per esempio come
mi chiamava, e riconoscevo la voce. Potete
capire l’importanza di riuscire a recuperare
questo tipo di materiale, ma anche di avere
un posto, un centro di riferimento. Con i
mezzi a disposizione cercheremo di partire
pian pianino. È importante comunicare alla
gente che stiamo facendo questo lavoro. Co-
sì la gente può anche portare del materiale;
troveremo un sistema per copiarlo e per ca-
talogare i materiali e le interviste che fare-
mo. Allora chi non ha niente sa che qui po-
trà trovare qualcosa di particolare valore…
Attraverso il racconto del materiale foto-
grafico, potremmo non solo ricostruire le
storie, ma anche “la Storia”. Il materiale
precedente la guerra riguarda soprattutto i
momenti collettivi. Nella vecchia Jugosla-
via c’erano parecchie occasioni in cui si fe-
steggiava collettivamente, indifferentemen-
te dall’appartenenza etnico-religiosa.
Questi momenti collettivi furono documen-
tati. Questa documentazione esiste, ma è
difficile da trovare per vari motivi. Attra-
verso i racconti delle persone tuttora in vita
e che possono parlare di questi eventi col-
lettivi -cosa si festeggiava, come, ecc.- si
può recuperare un capitolo importante del-
la storia. Partendo da queste testimonianze
c’è la possibilità di porre degli interrogativi
che sono centrali in un processo di confron-
to su quello che è successo qui durante la
guerra. Prima della guerra le persone di
gruppi diversi lavoravano insieme, viveva-
no insieme, si sposavano, bevevano la stes-
sa acqua, facevano insieme il servizio mili-
tare... c’era un alto livello di convivenza, ap-
punto, ci si sposava tra persone di religioni
diverse. Sapere questo ci serve per cercare
di capire cosa ci è stato tolto, cosa abbiamo
perso per via delle diverse politiche che sono
state fatte e per via della guerra. Soprattut-
to per le nuove generazioni sarà importante
capire quali sono stati i meccanismi che
hanno mobilitato l’odio reciproco. Loro non
hanno vissuto questo periodo del pre-guerra
e non hanno nessuno che gliene parli. Oggi,
questo tipo di conoscenza reciproca e questo
livello di convivenza non ci sono più. Abbia-
mo bisogno di questo per il futuro.
Da questo progetto forse uscirà un libro con
testimonianze e foto, ancora non sappiamo.
Forse è solo un primo passo. Si potrebbe
continuare il lavoro e parlare del periodo
della guerra, e anche delle esperienze posi-
tive durante la guerra, perché anche queste
memorie esistono.
Perché un centro di documentazione
a Srebrenica
Intervento di Muhamed Advic