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La Fondazione Benetton ha assegnato il suo
premio Carlo Scarpa 2014 ai villaggi di
Osmace e Brezani, mettendo a disposizione
un ampio e ben documentato dossier in lin-
gua bosniaca, italiana, inglese, sul lavoro
avviato insieme da Muhamed Advic e Veli-
bor Rankic.
I villaggi di Brezani e Osmace si trovano
nella Bosnia orientale, all’interno del Co-
mune di Srebrenica, a un’altitudine di circa
1.000 metri sul livello del mare. La topo-
grafia, il clima, la qualità
̀
del terreno e la
posizione geografica hanno fatto si
̀
che que-
sta zona fosse popolata fin dall’antichità. Si
sa che un’antica strada romana attraversa-
va il villaggio, collegando Skelani e Argen-
taria, così
̀
si chiamava Srebrenica che al-
l’epoca era un grosso insediamento.
Una delle testimonianze esistenti sono gli
“stecci”, le pietre sepolcrali medievali, che
attestano la diffusione della corrente cri-
stiana dei bogomili, il cui significato e
̀
rima-
sto ignoto agli abitanti della zona per molto
tempo, quasi fino a oggi. A Skelani ci sono
mosaici antichissimi e a Brezani si trova il
cimitero romano di Mramorje.
Anche se questi due villaggi -Osmace e Bre-
zani- fanno parte di un’unica comunità
̀
lo-
cale, prima della guerra erano, anche presi
singolarmente, molto piu
̀
grandi e molto
piu
̀
popolati di altre comunità
̀
locali. Nono-
stante questo non si sono mai divisi in due
unita
̀
amministrative distinte: hanno sem-
pre fatto parte della stessa, fino a oggi. La
spiegazione sta innanzitutto nel rapporto
che gli abitanti avevano tra di loro. Molto
semplicemente: la mentalità
̀
era tale per
cui, in quanto vicini, le persone si tenevano
reciprocamente in considerazione. Accade-
va che gli abitanti di Brezani o quelli di
Osmace avessero dei contrasti tra loro, ma
mai come una comunità
̀
contro l’altra. Ac-
cadeva anche che i giochi tra ragazzi si tra-
sformassero in litigi, ma la cosa non e
̀
mai
andata oltre le beghe tra ragazzini. So, ad
esempio, che una volta l’unico negozio si
trovava a Osmace, e tutti gli abitanti di
Brezani si rifornivano in quello stesso ne-
gozio. Credo che la configurazione del ter-
reno, il clima e la distanza che ci divide da
tutti gli altri villaggi abbiano influito sulla
particolarità
̀
degli abitanti di Brezani e di
Osmace. Quando andavano al mercato, era-
no sempre i migliori a ballare il
kolo
, ballo
tradizionale in cerchio, quando partecipa-
vano ai tornei di calcio tutti li temevano, e
da qui sono usciti vari professori, dottori,
accademici, ministri... Nessuno e
̀
tanto or-
goglioso del proprio villaggio quanto lo sia-
mo noi. Nessuno si fa bello delle proprie ori-
gini come noi e, di solito, quando qualcuno
si trasferisce dal villaggio in città
̀
, allora da
quel momento diventa uno di Srebrenica.
Questa da noi e
̀
l’unica eccezione. Per quan-
to mi riguarda, anche se sono nato a Sre-
brenica come i miei genitori, quando mi
presento dico che sono di Brezani. Da que-
sto la gente capisce chi sono. Le nostre pa-
tate, i nostri agnelli, i nostri artigiani erano
i migliori da queste parti. E non serviva di-
mostrarlo, si sapeva. Probabilmente e
̀
an-
che per questo che non avevamo complessi
nei confronti degli altri; sapevamo chi e co-
sa eravamo, e quindi anche i nostri rapporti
erano normali e amichevoli. Anche l’appar-
tenere a due religioni diverse non era un
problema. Per noi era normale che, quando
c’erano da fare dei lavori, fossimo in prima
fila, quelli che si facevano carico delle atti-
vità
̀
piu
̀
impegnative.
Io non ricordo molto di prima della guerra,
ero piccolo, avevo appena un anno, ma dai
racconti dei piu
̀
vecchi ho appreso molte co-
se... Quando abbiamo ottenuto la democra-
zia l’abbiamo fraintesa. Quando ci e
̀
arriva-
ta l’abbiamo usata per offendere liberamen-
te, per comportarci liberamente in modo
violento... purtroppo e
̀
proprio questo che e
̀
successo.
Tutto e
̀
diventato piu
̀
difficile, invece che di-
ventare migliore e piu
̀
semplice. La gente
non vuole vivere in un villaggio, anche se il
villaggio e
̀
a soli 10-15 chilometri dal centro
della città
̀
, anche se nel villaggio ci sono le
strade asfaltate, la corrente elettrica, inter-
net... e
̀
di moda andarsene in città
̀
, ma la
cosa piu
̀
triste e
̀
che le attività
̀
industriali
sono state cancellate e quindi in città
̀
non ci
sono abbastanza posti di lavoro per tutti.
Percio
̀
ora, anziché
́
tornare al villaggio, che
rappresenta il nostro piu
̀
grande potenziale
anche solo per la produzione alimentare -
perché
́
per fortuna la natura e
̀
incontami-
nata- ci troviamo invece con una generazio-
ne che non ha nulla da fare in città
̀
, una ge-
nerazione a cui la guerra ha distrutto la
giovinezza e che dopo la guerra ha seguito
modi sbagliati decisi da altri.
Per i genitori non è facile cercare di trovare
stimoli per un bambino in questa situazio-
ne e dimostrargli che quello che hanno scel-
to di fare e
̀
giusto. Ma ci sono riusciti e sono
contento che ci siano riusciti. Ora i bambini
non vedono l’ora di venire a Brezani. Nei
mesi estivi abbiamo quaranta-cinquanta
ragazzi, oltre che da Srebrenica e altri posti
qui intorno vengono anche da molte città
̀
della Serbia, dal Canada... e passano l’esta-
te giocando, stando assieme e, naturalmen-
te, lavorando. Siamo quasi riusciti a mette-
re insieme quel che serve per giocare a cal-
cio, a basket, a tennis, abbiamo perfino una
piscina, ma la cosa piu
̀
importante e
̀
che
questi bambini apprendano fin da piccoli
l’abitudine al lavoro, così
̀
non avremo il
pensiero che un giorno dovranno fare la fa-
me se non lavoreranno. Sono, in generale,
apprendisti fantastici, consci del fatto che
nulla piove dal cielo e che il lavoro vince
sempre; loro non chiederanno mai la carita
̀
perché
́
il loro orgoglio non glielo permette-
rebbe, non diventeranno mai ladri perché
́
sono abituati a lavorare. Ed ecco qual e
̀
quel risultato finale che non si può
̀
misura-
re in denaro ma ha un valore inestimabile.
Ora e
̀
molto piu
̀
semplice: la nuova via per
le generazioni future e
̀
stata aperta, ma
senza il sostegno degli altri sarebbe abba-
stanza difficile, molto difficile. Mi ha fatto
piacere che il Premio Carlo Scarpa si sia ac-
corto di un progetto così
̀
, perché
́
questa e
̀
la
nostra occasione per fare un salto di quali-
tà
̀
; il commercio di cibo sano e biologico ha
un grande potenziale ma non ne abbiamo
sfruttato neanche l’uno per cento.
Intanto chi era tornato aveva qualche capo
di bestiame e un piccolo orto per la propria
sussistenza. Mio padre aveva ideato un
Intervento di Velibor Rankic
Perché torniamo nei nostri villaggi