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Adopt è il nome di un gruppo di giovani di
Srebrenica, di diversa nazionalità, che ha
preso forma gradatamente a partire dal
2005, su impulso della Fondazione Alexan-
der Langer e di Tuzlanska Amica, la Ong
fondata, insieme ad altre donne di Tuzla,
dalla psichiatra originaria di Srebrenica Ir-
fanka Pasagic, premiata quell’anno per
l’assistenza offerta fin dall’inizio della guer-
ra bosniaca alle donne e ai bambini vittime
di violenze.
Rispetto alla fisionomia dei nostri premiati
precedenti, Adopt fa in parte storia a sé.
Molti di loro hanno agito sotto la spinta di
un’urgenza -catastrofi naturali, guerre civi-
li, emergenze sanitarie esplose in luoghi di-
versi del mondo. Condividevano lo spirito di
Alex e grazie a questa affinità sono stati in-
dividuati, ma non ne avevano conoscenza
diretta.
Adopt nasce invece “in casa”, dal cuore del-
la Fondazione, è figlia dell’esperienza di
Alex, sceglie di misurarsi con la crisi ende-
mica di una città dove la ricostruzione del
tessuto sociale ed economico è ancora lon-
tana, e tanti vivono divisi fra rabbia, diffi-
denza, rassegnazione.
Per contribuire ad alleviare questa crisi,
Adopt si muove su più livelli e con due fina-
lità. La prima è
parlare di
Srebrenica. È ve-
ro che il suo nome ricorre spesso come sim-
bolo spendibile nei discorsi del “mai più”, è
vero che il Parlamento Europeo ha dichia-
rato l’11 luglio “Giornata della memoria del
genocidio”; ma dopo le commemorazioni, la
città ricade ogni volta in un isolamento e in
una marginalità uniche persino in un paese
come la Bosnia, che l’Europa ha inondato di
denaro e abbandonato a se stesso. La secon-
da finalità è
operare con
Srebrenica, giaci-
mento e groviglio di dolore che si ha paura
anche solo di sfiorare, ma in cui bisogna
inoltrarsi se si spera di fare da ponte fra
memorie amaramente contrastanti.
Per saggezza e buona sorte, quella di Adopt
non è stata una scelta “ingenua”, frutto del-
l’impulso irresistibile a “fare qualcosa”. È
un passo meditato, in cui è decisiva la fer-
mezza con cui fin dagli esordi i promotori si
sono posti come embrione di un gruppo mi-
sto, l’ambito che Alex, nel suo “Tentativo di
decalogo per la convivenza interetnica”, de-
finiva “il terreno più avanzato di sperimen-
tazione”. È decisivo il legame con la Fonda-
zione Langer e con Irfanka, che ha condivi-
so la sua conoscenza dei luoghi con gli atti-
visti e li ha introdotti al primo contatto con
la città. Ed è decisiva, in una terra devasta-
ta dalla ferocia degli esseri umani, la capa-
cità di praticare una gestione nonviolenta
dei conflitti.
A 10 anni di distanza, il bilancio è beneau-
gurante. Adopt ha creato un Centro di do-
cumentazione per la raccolta di materiali di
ogni tipo, storie e immagini, libri, audio, vi-
deo, e ha sollecitato le narrazioni orali delle
persone presenti nelle fonti scritte e visive,
così che si sappia cos’era la vita quotidiana
di Srebrenica prima della guerra, e si in-
stauri un legame con la storia e con il terri-
torio. Per sostenere i rapporti con la diaspo-
ra ha organizzato corsi di lingue e avviato
un servizio Skype gratuito per i residenti di
Srebrenica e per i parenti/amici lontani.
Operare con
Srebrenica ha significato sfor-
zarsi di sostituire al rituale “mai più” la co-
noscenza micrologica e il documentato sma-
scheramento dei meccanismi che hanno av-
velenato le vite.
Dal 2007 Adopt organizza ogni estate la
Settimana Internazionale della Memoria,
con workshop, laboratori teatrali, conferen-
ze, proiezioni, concerti, rivolte sia alla po-
polazione locale sia ai diretti partecipanti.
Dopo questa esperienza, i corsisti del Ma-
ster per Operatori di Pace e Mediatori in-
ternazionali, realizzato dalla Formazione
Professionale di Bolzano e dall’Università
di Bologna, hanno fatto di Srebrenica e del-
la Bosnia-Erzegovina un loro caso di studio.
Nelle Settimane della Memoria, parlare di
Srebrenica e operare con Srebrenica fanno
tutt’uno, come in un arco di altre attività:
dalla promozione di viaggi di studio e cono-
scenza in Bosnia-Erzegovina, alle partner-
ship avviate con amministrazioni pubbli-
che, scuole, associazioni di volontariato,
centri di ricerca locali e internazionali; dal-
la partecipazione alla Cerimonia di comme-
morazione e seppellimento delle vittime, al
coinvolgimento di altre città in Bosnia-Er-
zegovina, Serbia e Croazia, reso possibile,
anche, dalla stretta collaborazione con Tu-
zlanska Amica. Oggi Adopt può con pieno
diritto candidarsi a interlocutrice locale e
internazionale della rete di gruppi e asso-
ciazioni che lavorano per la convivenza “in-
teretnica”.
Quella di Adopt è una presenza fondata
non sulla promozione economica, anche se
ha visto nascere una catena di preziose pic-
cole azienda interetniche, ma su un lavoro
di tessitura, aggiustamento, incremento
delle relazioni, su una pratica di ascolto,
sulla ricerca di un linguaggio che prefiguri
un domani di pace. È una presenza politica,
se si dà a “politica” il suo senso originario
di cura della casa comune. Ma è anche
un’impresa difficile, faticosa, mai garantita
una volta per tutte.
Come spiega uno dei protagonisti, Adopt è
infatti stata (ed è) non un progetto ma un
processo: lento, delicato, profondo (il
len-
tius, suavius, profundius
coniato da Alex),
che non si è mai lasciato incalzare dal-
l’esterno in nome dell’efficienza o della visi-
bilità, miseri criteri di fronte alla tragica
serietà dei compiti. Perché fare memoria,
documentazione, divulgazione, non può non
portare con sé i lutti del passato e le soffe-
renze del presente, che entrambi incrociano
il nodo dell’identità. E non c’è niente di più
insidioso di questo fardello-risorsa-prigione
in una società ancora inconciliata, dove il
cosiddetto “fattore etnico” ha segmentato
una popolazione prima identificabile solo
Motivazioni
Premio Langer 2015
all’associazione Adopt, Srebrenica
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