Filosofo ebreo-americano, è considerato uno dei più importanti pensatori politici contemporanei, ha scritto su un’ampia varietà di argomenti di teoria politica e filosofia morale: guerra giusta e ingiusta, nazionalismo ed etnicità, giustizia distributiva e welfare state, democrazia e pluralismo. Dal 1980 al 2007 è stato professore presso l’Institute of Advanced Study del New Jersey. Per trent’anni, fino al 2014, è stato condirettore di "Dissent”, la rivista politica nata a New York nel 1954 per contrastare sia il maccartismo sia il totalitarismo sovietico. Quella che segue è la relazione da lui tenuta sabato 7 ottobre a Forlì nel corso del 900fest.

Libertà e ugualianza sono due tra i concetti più dibattuti del pensiero politico. Ma la relazione tra i due non viene, a mio modo di vedere, sufficientemente discussa. È opinione abbastanza comune che libertà e uguaglianza siano in conflitto o che, perlomeno, vi sia tra i due una tensione tale che ogni società umana deve essere o più libera o più egualitaria. La spiegazione che sta dietro un conflitto di tale natura ha due varianti, una di sinistra e una di destra, e ciascuna è in parte corretta ma principalmente sbagliata. Voglio cominciare dalla versione di sinistra, che è stata enunciata molto, troppo spesso, nella storia delle politiche rivoluzionarie. È particolarmente importante, per il progetto politico che sostengo, convincervi che la versione di sinistra secondo cui libertà ed eguaglianza sono incompatibili è davvero sbagliata.
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Prendo spunto da una frase di Albert Camus, che credo sia tratta da L’uomo in rivolta: "Il grande avvenimento del Ventesimo secolo è stato l’abbandono da parte dei movimenti rivoluzionari dei valori della libertà”. Una frase potente. Aggiungerei: non soltanto del Ventesimo secolo, poiché i Giacobini del Diciottesimo secolo sono stati il primo movimento rivoluzionario ad abbandonare i valori della libertà. I movimenti rivoluzionari hanno prodotto, e l’hanno fatto in continuazione, regimi tirannici, e li hanno sostenuti con la brutalità e il terrore. Com’è possibile questo, dato il significato che noi (a sinistra) diamo alla parola "rivoluzione”? Ci aspetteremmo una rinascita della libertà, così come la creazione di una società di eguali.
Ma la difesa della tirannia da parte dei rivoluzionari inizia con la convinzione che queste due aspettative non vadano assieme. Conosciamo tutti questa argomentazione; alcuni di noi, ne sono certo, l’hanno espressa una volta o l’altra, perché ci sono sempre stati molti difensori, o apologeti, di varianti di sinistra della tirannia e del terrore. Il potere costituito, che si è trincerato, la forza delle strutture gerarchiche, la lunga storia di deferenza da un lato e  arroganza dall’altro; tutto ciò può essere sfidato solamente -così vuole questa argomentazione- schierando l’ariete di uno stato forte, in pratica di uno stato tirannico. Parliamo di uno stato che travolge tutti i vincoli legali e costituzionali del vecchio regime, che rimanda l’adempimento delle promesse della rivoluzione, che ritira la chiamata alle urne o consente a un solo partito di esprimere candidati, e che poi incarcera i compagni che denunciano quanto sta accadendo -tutto questo sulla strada per raggiungere l’uguaglianza. Al contrario -così prosegue il ragionamento- gli uomini e le donne preoccupati per la tirannia, i progressisti che non alzano la voce e i timidi socialdemocratici non riusciranno mai a creare una società di uguali. Manca loro quella rozza energia e la necessaria brutalità. Non faranno che scendere a compromessi, all’infinito, e non riusciranno mai a raggiungere la trasformazione radicale che fingono di auspicare. Servirà un’avanguardia determinata, un Lider Maximo, per distruggere il vecchio ordine sociale.
In questa accezione, l’eguaglianza richiede la sospensione (che sempre si vorrebbe temporanea) delle "libertà borghesi”, quali la libertà di parola, di assemblea e il diritto di opposizione. Una volta che la rivoluzione ha inizio, la regola diventa: ogni opposizione è controrivoluzionaria. Un visitatore di Cuba nel 1960, poco dopo la rivoluzione, illustrò così questa regola: "Le carceri sono state riempite di prigionieri politici, e il governo insiste che il popolo dev’essere ‘limpido’, e cioè al 100% favorevole a tutto ciò che esso fa”. L’insistenza su questo tipo di "limpidezza” è un luogo comune rivoluzionario.
Un altro argomento si collega a questo, e forse ne è il fondamen ...[continua]

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