Neodemos segue, giorno per giorno, l’evoluzione dell’epidemia-pandemia di Covid-19. Pur non essendo un sito specializzato in epidemiologia, Neodemos intende arricchire ciò che viene ampiamente divulgato circa la natura del virus, le sue conseguenze sulla salute, la letalità, le politiche sanitarie per debellarlo o contenerlo. Scriviamo questo pezzo dopo la conferenza stampa delle 18 del 9 Marzo del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, e sulla scorta degli ultimi dati annunciati. Fino a quell’ora risultavano in Italia 9.172 casi accertati (includendo deceduti e guariti) e 463 decessi; il secondo paese al mondo (dopo la Cina) per numerosità sia dei primi che dei secondi.

Prima l’Italia, seconda la Cina
Tuttavia, se i dati sono rapportati alla popolazione, l’Italia sta in testa alla classifica, perché la Cina, con una popolazione di ventitré volte più numerosa della nostra, ha contato un numero di casi “appena” nove volte superiore, e un numero di decessi di “appena” sette volte maggiore. L’andamento dei casi continua con una progressione esponenziale, moltiplicandosi, ogni giorno, per un fattore pari a 1,3. Questo andamento è tipico di molti fenomeni epidemici che disegnano nel tempo una curva a “campana”, con una ripida salita iniziale, seguita da un rallentamento fino ad un culmine, raggiunto il quale comincia una discesa con andamento speculare rispetto all’ascesa. La fase di rallentamento è iniziata in Cina, dove l’epidemia è partita, e si sta verificando in Corea del Sud, dove è iniziata più tardi. In Italia siamo ancora nella fase iniziale ad andamento esponenziale, ma è inevitabile che (prima o poi) la frenata si verifichi anche da noi. Quanto prima, o quanto poi, è impossibile a dirsi, e dipenderà dal vigore delle politiche volte a diluire i contatti tra le persone (zone rosse o arancioni, contenimento della mobilità, chiusure dei luoghi di assembramento). In altri paesi europei, dove il Covid-19 ha attecchito più tardi, è probabile che si verifichi un andamento non dissimile da quello in atto in Italia, con giorni o settimane di ritardo.

Emergenza e politica
Cosa ci si attende dalle politiche messe in atto con grande e militaresca efficienza in Cina, con fatica e incertezza in una società aperta come la nostra, nella quale il conflitto tra interesse pubblico e interesse privato è sempre aperto e spesso si risolve a favore del secondo? Ci si attende che l’intervento pubblico e il mutamento dei comportamenti privati agiscano sull’andamento dell’epidemia. Lasciandole briglia sciolta, si arriva ad un picco molto alto di casi e a un numero totale di casi maggiore. Adeguati, vigorosi e costosi interventi possono appiattire la curva, ridurre il picco massimo, e diminuire i casi di contagio, con ovvi vantaggi. Il maggiore di questi consiste nel ritardo e nell’abbassamento del picco, dando più tempo per organizzare le difese sociali e sanitarie e attenuando la grande pressione che si genera sulle strutture ospedaliere e nei reparti di terapia intensiva, come sta avvenendo in Lombardia e in molte province del nord del Paese. Una pressione, tra l’altro, che genera gravi problemi anche per i malati con altre patologie, che richiedono quelle cure che in fase di emergenza è assai più difficile erogare. Inoltre si “guadagna tempo” prezioso nella corsa per sviluppare farmaci adatti a combattere il virus e, eventualmente, un vaccino. Vedremo presto i risultati dell’estensione a tutto il paese della dura quarantena disposta dal Governo a partire dal 10 Marzo.

Un profilo dell’epidemia
Le prime analisi approfondite dei dati hanno fornito molti elementi per comprendere l’epidemiologia del Coronavirus. Non conosciamo l’incidenza della malattia (cioè quante siano le persone positive al virus in rapporto alla popolazione) perché passa inosservato un numero sconosciuto di persone infette ma asintomatiche, o che hanno sviluppato sintomi leggeri. Persone che, pur “inosservate”, possono trasmettere il contagio, e che sono probabilmente un alto multiplo dei casi accertati. Tra le persone con infezione accertata la mortalità è dell’ordine del 2%, ma un calcolo preciso sarà possibile al termine dell’epidemia. Sappiamo però che come per altre patologie respiratorie la letalità è fortemente crescente con l’età: in Cina, secondo un’analisi di oltre 70.000 casi, la percentuale dei decessi è stata pari allo 0,5% tra gli ammalati con meno di 50 anni, all’1,3% tra quelli di 50-60, via via crescendo a 3,6% tra i 60 e 70; 8% tra i 70 e gli 80; e 14,8% oltre gli 80 anni. La mortalità è stata più alta tra gli uomini che tra le donne; ed è stata sensibilmente più alta della media per coloro che presentavano altre patologie (ammalati di tumore, diabetici, cardiopatici)¹.
Sanità sotto stress e struttura per età
della popolazione
Il Covid-19 non è l’Angelo Sterminatore. In Italia il numero dei decessi, a tutt’oggi, è stato pari a 463, ma nel 2017 (ultimo dato disponibile) i decessi per influenza e polmonite furono 14.035. Nell’80% dei casi c’è una rapida guarigione come per una comune influenza, nel 5% dei casi si richiede una terapia intensiva. Ma sarebbe una criminale imprudenza trarre da qui un motivo per sottovalutare il virus. Questo si diffonde molto rapidamente e secondo modelli di studiosi seri un’alta quota della popolazione sarebbe destinata a contrarla. Se i contagiati fossero un milione, ben 50.000 persone dovrebbero trovar posto in terapia intensiva (che oggi dispone di 5.000 letti). Non ci sono, per ora, farmaci specifici per combattere il virus (si raccomandano il riposo e la reidratazione, come i medici della scuola salernitana, e i febbrifughi, che esistono da secoli). Un vaccino deve essere ancora sviluppato.
Infine, una nota da demografo. Lo sforzo del sistema sanitario di fronte all’emergenza coronavirus (una volta tanto la parola emergenza è appropriata) è, e sarà, tanto più intenso quanto più invecchiata è la struttura per età della popolazione. L’Italia, dopo il Giappone, è il paese più “vecchio” al mondo: nel 2020 il 7,5% della popolazione ha più di 80 anni (9% in Giappone, 5% nella media dei paesi più sviluppati). A livello regionale, le differenze sono molto forti: gli ultraottantenni sono il 5% in Campania (regione meno vecchia) e il 12,2% in Liguria (regione più vecchia). A parità del grado di diffusione del virus, fatto uguale a 100 lo “sforzo sanitario” dell’Italia², la Campania farebbe uno sforzo pari a 77, la Liguria uno pari a 134. Facendo lo stesso confronto, lo sforzo richiesto agli Stati Uniti, fatto uguale a 100 quello dell’Italia, sarebbe pari a 75. Ecco un altro costo -la maggiore vulnerabilità nei confronti di un’emergenza sanitaria- del forte invecchiamento del nostro paese.


Note
¹ Zunyou Wu e J.M. McGoogan, Characteristics and important lessons from the Coronavirus Disease 2019 (Covid-19) outbreak in China, JAMA, “Journal of the American Medical Association”, 24 Febbraio 2020
² Lo “sforzo” è calcolato ponderando la popolazione in ciascuna classe di età con i rispettivi tassi di mortalità per influenza e polmonite calcolati con riferimento al 2017. I tassi di mortalità sono considerati proxy dello sforzo medico-sanitario esercitato.