Quanti sono i migranti irregolari in Europa? Impossibile rispondere con precisione, e difficile è anche farlo con accettabile approssimazione. Le difficoltà cominciano con la definizione di irregolarità -ce ne sono svariate, per la verità- che la Iom (International Organization for Migration) definisce “come quei movimenti [di persone] che avvengono fuori dalle normative dei paesi di origine, transito o destinazione”. Definizione alquanto ambigua, per la verità, che include in questa categoria quelle persone che entrano in un paese senza documenti, o con documenti non validi o falsi e comunque senza passare attraverso un punto di frontiera. Tra gli irregolari rientra chi dimora in un paese senza essere autorizzato, o che pur arrivato regolarmente si è trattenuto oltre i limiti concessi dal visto. In questa categoria viene incluso anche chi ha perduto il diritto di risiedere regolarmente perché, per esempio, ha perduto il lavoro cui era legato il permesso di residenza. Infine viene definito irregolare anche chi, pur essendo arrivato e risiedendo regolarmente, è vittima di un cambio della normativa del paese che lo ospita. È da sperare che questo non accada per i tanti europei che vivono e lavorano nel Regno Unito, ora che la Brexit è fatto compiuto.

Stranieri, migranti, irregolari
Il discorso sull’irregolarità è reso ancor più difficile dal fatto che è sfuggente anche la definizione di migrante. In genere si fa riferimento al numero degli stranieri, definendo come “straniero” chiunque sia nato all’estero: potrebbe dunque risultare straniero un cittadino croato nato nella confinante Slovenia (che al momento della nascita era parte della Iugoslavia come la Croazia). Potrebbe risultare straniero anche un adulto, arrivato nel paese nell’infanzia e che ne ha preso la cittadinanza e la cultura, dimenticando le sue origini. Con tutti questi limiti, nell’Europa comunitaria (Eu-28, prima della Brexit), c’erano, nel 2018, circa 38 milioni di persone nate fuori, ma viventi in uno stato europeo; altri 22 milioni erano nati in un paese della Eu-28 diverso da quello di residenza. Se invece del luogo di nascita si considera la nazionalità di appartenenza (quale risulta da un passaporto o altro documento), alla stessa data c’erano oltre 22 milioni di persone con nazionalità di un paese fuori dell’Eu-28, e quasi 18 milioni con passaporto di uno stato Eu-28 diverso da quello di residenza (cioè un migrante comunitario, o un migrante “interno” della comunità).
Le due definizioni, per quanto riguarda i migranti extra Ue, danno valori assai diversi: 38 e 22 milioni rispettivamente; la differenza è data (oltre che dai diversi criteri di raccolta dei dati) da coloro che, pur nati fuori d’Europa, hanno nel tempo preso la cittadinanza di un paese europeo. Considerando il criterio più ristretto, quanti sono gli irregolari tra questi 22 milioni, o in aggiunta a questi 22 milioni (gran parte degli irregolari sfuggono, ovviamente, alle rilevazioni)?
Una seria indagine condotta più di dieci anni fa, sulla base di una pluralità di fonti informative, stimava che il numero degli irregolari si collocasse, nel 2007, tra 1,9 e 3,8 milioni (l’ampiezza della forchetta dà un’idea dell’incertezza informativa), cioè tra quattro e otto decimi di punto percentuale del mezzo miliardo di europei e una percentuale relativamente modesta dell’intero stock migratorio. Eppure due, tre o quattro milioni di irregolari sono tanti; quasi ovunque sono una minoranza vulnerabile; hanno risorse magre e precarie; spesso sono sprovvisti di sostegni familiari; sono esclusi ed emarginati dalla normale vita sociale. E quanti sono adesso? Dal 2007 ne è passato di tempo. C’è stata la grande crisi economica, le primavere arabe, la guerra civile in Siria, l’instabilità dell’Afghanistan e di vaste zone dell’Africa sub-sahariana. Nel frattempo l’Europa ha messo in campo politiche migratorie sempre più restrittive, le frontiere sono diventate meno permeabili, le opinioni pubbliche più inquiete nei confronti dei flussi migratori.

Gli irregolari hanno smesso di crescere?
Una recente ricerca dell’autorevole Pew Research Center, confermata da altri indizi, sembra indicare che il numero degli irregolari in Europa abbia smesso di crescere. L’indagine, che usa una pluralità di fonti nazionali, riguarda i quattro anni dal 2014 al 2017, e calcola il numero degli irregolari (“unauthorized”) nei paesi della Ue-28 e in quattro paesi dell’Efta (Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein). Essenzialmente la stima riguarda coloro che sono entrati nel paese illegalmente, o che sono entrati legalmente, ma non sono ripartiti allo scadere del visto (overstayers), o ancora coloro che pur vivendo regolarmente nel paese, hanno perso il diritto di risiedervi (perdita del lavoro, reati commessi). Nella categoria degli irregolari sono inclusi anche i richiedenti asilo, in attesa di un eventuale riconoscimento dello status di rifugiato o di una protezione internazionale, l’unica componente per la quale si ha contezza esatta del numero. La ricerca utilizza dati di natura amministrativa, non finalizzati alla ricerca, con tutte le limitazioni che questi presentano, inclusa la difformità dei criteri di rilevazione nei vari paesi. Per ogni paese viene presentata una stima di minimo e una di massimo.
Il numero degli irregolari, stimato in 3/3,7 milioni nel 2014, è salito rapidamente a 3,3/4,9 nel 2015 e a 4,1/5,3 nel 2016, per poi scendere a 3,9/4,8 milioni nel 2017. L’ascesa del 2015 e del 2016 è ovviamente dovuta all’ondata di profughi siriani, in parte poi regolarizzati dalla Germania.
Anche assumendo il valore massimo della stima, si tratterebbe di meno dell’1% della popolazione di riferimento. Escludendo il milione circa di richiedenti asilo dal novero degli irregolari, questi risulterebbero appena lo 0,7% della popolazione dei 31 paesi considerati. Queste percentuali sono piccole se si tiene conto che lo stesso Pew Center stima che gli irregolari negli Stati Uniti superino il 3% (10/11 milioni). Oltre due terzi degli irregolari, a fine 2017, vivevano in Germania (0,8/1,2 milioni), Gran Bretagna (0,8/1,0), Italia (0,5/0,7) e Francia (0,3/0,4), paesi che peraltro contengono poco più della metà della popolazione considerata. Sempre dalla stessa indagine risulta una prevalenza di maschi (54%) sulle femmine; una durata della dimora in Europa relativamente breve -meno di cinque anni- per il 56%; una provenienza dall’Asia per il 30%, dagli altri paesi europei per il 23%, dal Nord Africa e Medio Oriente per il 21%, dall’Africa Sub-sahariana per il 17% e dall’America per l’8%.