200.000 bambini hanno seguito i propri genitori nel viaggio dalle campagne alla capitale. Il sistema scolastico della città di Pechino non ha saputo assorbirli; d’altro canto, le famiglie non possono far fronte ai costi aggiuntivi imposti ai non residenti dalla scuola pubblica. I contadini cinesi, attratti nei grandi centri urbani dalla prospettiva di una vita migliore, si collocano ai margini della società e debbono misurarsi con le difficoltà generalmente affrontare da chi emigra illegalmente in un altro paese. Il sistema cinese dell’hukou, che denota l’origine geografica di ciascun cittadino, limita la libertà di movimento della popolazione. Chi è privo di una hukou pechinese -di fatto un permesso che consente di risiedere legalmente nella città- non può lavorare legalmente, non ha tutele contro la disoccupazione e gli infortuni sul lavoro ed è costretto a pagare per istruire i propri figli. Sono persone intraprendenti come Li Sumei ad aver creato fra le 200 e le 300 scuole -le stime sono della stessa Li Sumei- per soddisfare la domanda d’istruzione dei figli degli emigranti. Tuttavia, ironicamente, le scuole non sono riconosciute dalle autorità né ricevono alcun sussidio. Ora che il governo si è finalmente deciso a riconoscerle, molte rischiano la chiusura.
Li Sumei ci ha incontrati nel suo ufficio raccontandoci della sciagura che si è già abbattuta su 6 delle sue scuole e delle difficoltà incombenti sulle restanti 4. Le scuole per i figli degli emigranti, di fatto illegali, sono state tollerate di buon grado dal governo in quanto soddisfavano una domanda di cui lo Stato non poteva o non voleva farsi carico. Più di 5 anni fa, il Ministero dell’Istruzione decise di concedere a queste scuole un periodo di prova, con termine previsto nel giugno 2003, poi prorogato indefinitamente, a detta di Li Sumei, a causa dell’epidemia di Sars. Il Ministero dell’Istruzione dovrà infine approvare quegli istituti che si conformano alle regole stabilite dal governo, disponendo invece la chiusura delle scuole che non soddisfano i requisiti.
Il governo locale del distretto di Fengtai, nella parte sud-ovest di Pechino, non ha atteso la decisione del Ministero ed ha ordinato la chiusura di 4 scuole Xinzhi stabilite entro la propria giurisdizione. Pare quasi che le autorità distrettuali dimentichino che il servizio educativo è reso a studenti cui il distretto non offrirebbe alcuna opportunità d’istruzione. Altre due scuole sono state abbattute per lasciare spazio ad un nuovo cantiere edile. Le rimanenti 4 scuole sono situate nel distretto settentrionale di Haidian, ove le autorità, spiega Yi Benyao, il marito di Li Sumei, sembrano afferrare meglio il significato e la funzione assolta da queste scuole.
Un visitatore originario della città di Wuhan, nella provincia dell’Hubei, è venuto a Pechino per discutere insieme a Li Sumei delle rispettive esperienze e parlare del futuro delle scuole con lei e Yi Benyao. “Le autorità di Wuhan sono di gran lunga più tolleranti. A Pechino la mentalità dei funzionari è più conservatrice”, afferma Chen Ying. Chen Ying ha fondato a Wuhan una scuola per i figli dei lavoratori migranti nel lontano 1995, ottenendo l’approvazione governativa dopo appena due anni. Chen Ying sfoglia un opuscolo sulla sua scuola, un moderno palazzone a 4 piani. C’è una bella differenza rispetto alla scuola visibile oltre l’ufficio di Li Sumei, fatta di aule gelide e fatiscenti e, in mezzo, un cortile fangoso. Nemmeno la scuola di Wuhan beneficia di sovvenzioni da parte del governo ma, in quanto da questo riconosciuta, ha ricevuto fin ...[continua]
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