Nella lettera (11 ottobre 1955) che qui pubblichiamo, depositata presso il fondo Nicola Chiaromonte alla Beinecke Library dell’Università di Yale, Nicola Chiaromonte dialoga con Ignazio Silone circa la linea editoriale della rivista «Tempo presente», cui i due intellettuali si accingevano a dare vita. Essa infatti sarebbe nata l’anno successivo, nel 1956, e avrebbe fatto parte del network di riviste del Congresso per la libertà della Cultura. Aperta al mondo e critica delle ideologie correnti, fino al 1968, anno in cui cesserà le pubblicazioni, con il suo genuino antitotalitarismo «Tempo presente» rappresenterà una voce originale nella cultura italiana. Quell’esperienza, consumatasi in due anni “indimenticabili”, fra la rivoluzione antitotalitaria ungherese e la primavera di Praga, rappresenterà nella vita di Nicola Chiaromonte la realizzazione di un’aspirazione risalente agli anni dell’esilio parigino: quella di dar vita a un cenacolo intellettuale che in difesa del “tempo presente” riaffermasse in politica il primato dell’etica di contro alle imposture delle ideologie.

11 ottobre 1955
Caro Ignazio,
“Informazioni di prima mano sui fatti più grossi che dominano la vita degli uomini d’oggi, e discutere, criticare le teorie che danno di quei fatti un’immagine o giudizio errati, e solo per questo riguardo”.
Siamo d’accordo. Con più parole, io non pensavo di aver detto cosa fondamentalmente diversa da questa. Sebbene, certo, io personalmente, per mia inclinazione, sono portato a mettere l’accento sugli aspetti generali delle questioni. Se dunque si tratta di correggere nel senso della stringatezza quello che io ho scritto come appunto per l’editore eventuale, correggiamo senz’altro. Per conto mio, io ridurrei volentieri tutto il programma alla tua succitata formula. Dunque, per quanto riguarda l’accordo obiettivo sugli scopi della rivista, non mi pare che ci siano malintesi. Per ben marcare questo fatto, qui mi fermo, e metto tre belli asterischi.
Metto gli asterischi perché voglio continuare un poco la conversazione con te.
Di un “riesame generale”,  in una rivista mensile del tipo di quella che possiamo fare noi, in questo momento, non può minimamente essere questione. Bisogna al contrario specificare e elencare più che si può gli argomenti. Io avevo dimenticato Giolitti e Gramsci. Sono argomenti importantissimi. La questione del liberalismo italico si chiarisce bene, credo, a partire da una critica del giolittismo e meglio ancora della “Infatuazione giolittiana”, che è una tipica idea di legittisti-restauratori di un (presunto) ideale Stato liberale italiano, e di una Terza Italia che non esiste più. Così per Gramsci e per la mentalità degli intellettuali comunisti nostrani. Noto tuttavia che, in una critica del giolittismo sarà difficile evitare, in Italia, la critica delle più o meno chiare idee in proposito, le quali si ricollegano, fra l’altro, anche alla crociana “religione della libertà”. Questo è un fatto che sarebbe errore dimenticare, perché fa parte dell’attualità: fa parte, in ogni caso, della storia recente, se si pensa ai molti giovani intellettuali italiani che, avendo bisogno, contro il fascismo, di una qualche ideologia, la presero da Croce. Donde tanta parte dell’azionismo, e donde anche il versamento di taluni intellettuali azionisti, per insoddisfazione, nel comunismo.
Gramsci, poi, propone assai più problemi ideologici che non Giolitti. Spero, però, con questo, di non darti l’impressione di voler iniziare un dibattito su Croce e Marx in generale. Sarebbe sbagliatissimo trasformare una questione “attuale” in questione accademica, e non discutere i fatti. Rimane che, tra i fatti, ci sono anche le idee nutrite a proposito dei fatti.
Puramente accademico, certo, sarebbe scrivere un saggio economico sociale sulla teoria del plus valore. Però, ad esempio, a proposito di movimento operaio oggi, come evitare, in una rivista culturale e non sindacale in senso tecnico, la discussione di idee? Vedo, putacaso, il libro di Ferrarotti sulla Protesta operaia: lì, se si vuol discutere seriamente, mi sembra interamente riaperta la questione dei principi di un sindacalismo moderno (anche se il libro è giudicato superficiale).
Insomma, le questioni di idee non vanno esaminate in astratto, d’accordo. Però, a proposito dei fatti, sorgono naturalmente, ed è artificio fare come se non sorgano. Aggiungerei che, in una rivista di cultura, ciò sarebbe impensabile. Il bisogno del concreto è una cosa, il positivismo di antico stampo un’altra. Il “problemismo” salveminiano è una bella e giusta idea di intellettuale e di moralista che aveva la nausea delle chiacchere politiche: non è neppure, come ben purtroppo sappiamo, un’idea di “politico”, ma proprio di maestro del metodo storico e del costume. Io, però, ammiro troppo Salvemini per non pensare che un certo “problemismo” è sano principio anche sul terreno delle idee generali: è sempre e soltanto in funzione di un fenomeno concreto che si devono sollevare le questioni di idee.
Per quanto riguarda la parola “liberalismo”, certo hai ragione. Evitiamola. Rimane che in questo dopoguerra quelli che come noi han fatto il giro delle ideologie, e in particolare delle ideologie socialiste, si son ritrovati a difendere con certezza le libertà concrete, il rifiuto in ogni caso e a ogni costo del “totalitarismo” e delle ideologie che vi conducono. La sostanza delle quali, a guardar bene, è il primato morale della politica su ogni altra attività umana. Contro questa perversione, ci ritroviamo pure a difendere il principio liberale (non crociano: il liberalismo di Croce è un’anguilla inafferrabile, e non esclude affatto l’autoritarismo). Ne dubitiamo, non sappiamo bene che conseguenze trarne, sappiamo che comporta problemi nuovi e non risolti, ma insomma la invochiamo. In questo senso il problema non già, ammettiamo pure, del “liberalismo” in genere, ma di come rappresentare e sostenere, di fronte a uno stato che dovunque tende a diventare collettivista e organizzatore di masse, il principio della libertà della persona è problema attuale. Non è solo questione di habeas corpus, come tu ben sai, che hai sollevato la questione dell’habeas animam.
Questa è una conversazione privata. Se la volessi riportare ai suoi termini “concreti” e al problema di fare la rivista, potrei domandarti: articoli come quelli di Aron, o come quelli di Rougement sulla scienza e la tecnica moderna (coi quali ultimi, io personalmente non sono d’accordo, e non li trovo nemmeno profondi, ma suggestivi sì), li pubblicheresti o no? Tanto per fare un esempio. Chiudo la chiacchierata, ma non voglio dimenticare di dirti che hai molta ragione di voler allargare ben oltre le quattro riviste a catena le nostre eventuali fonti.