“Rafle”, in lingua francese, evoca le proditorie operazioni della polizia a Vichy e anche in seguito: i rastrellamenti antipartigiani o la “rafle du Vel d’Hiv” degli ebrei parigini, la caccia agli algerini negli anni Sessanta. La retata del 28 aprile, l’operazione Ombre Rosse, ha coinvolto alcuni rifugiati italiani in Francia, con tragitti politici tra loro distantissimi, condannati per reati diversi (non tutti per terrorismo), tutti definiti però terroristi. In Italia la retata ha eccitato un clamore mediatico vistosissimo quanto rivelatore di un pauroso vuoto di coscienza storica, oltralpe si è impigliata -come giusto- nella verifica della legittimità delle estradizioni. Agli atti rimane il chiasso giornalistico e politico che “riempie la bocca di parole di cui ciascuna appare addirittura indecente” (Wittgenstein), proclamando il “dovere di fare i conti con la storia” e di “chiudere il Novecento”. Con pari indecenza, da molti giornali il più lungo e importante conflitto sociale della storia repubblicana, il conflitto anche violento del decennio del lungo Sessantotto, è stato identificato con “gli anni di piombo” o, brutalmente, il “terrorismo”. Ma se è vero che molte eredità del Novecento ancora permangono -il dualismo Sud-Nord, la disoccupazione giovanile, i poteri criminali dei mondi di sotto di sopra e di mezzo, il razzismo postcoloniale- l’Italia odierna appare invece lontanissima da quell’epoca, perché senza un serio e sano conflitto sociale e senza lotte politiche autentiche, senza memoria e cultura politica. Mentre media e politica moltiplicano anche in questa occasione cinguettii proclami ed esibizioni da gradasso, evapora ogni facoltà di riflettere seriamente sulla storia nazionale.
Il 9 maggio, Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, il Presidente Mattarella ha chiesto ai condannati “piena verità”, e si è limitato ad alludere a “trame oscure” e deviazioni nelle condotte degli apparati dello Stato di quel tempo. Di oscuro in verità poco però rimane: storicamente accertate sono le autentiche responsabilità di apparati dello Stato e del suo sottosuolo, generati, sin dalle origini della Repubblica, dalla continuità di funzionari, sistemi operativi, cultura, norme, istituti dello Stato di epoca fascista. E la cultura della repressione del conflitto sociale propria di tali apparati, sempre e solo visto come “eversione”, spiega le centinaia di contadini, operai e studenti vittime delle forze di polizia dal dopoguerra al Sessantotto. Fondato nel 1948 con personale, documentazione spionistica e strategie operative dell’Ovra fascista, l’Ufficio Affari Riservati è stato per decenni al centro di una rete informativa e repressiva tra Viminale, comitato di sicurezza Nato, servizi europei (“il Club Di Berna”) e con proprie sezioni distaccate prive di controllo. L’Uar aveva infiltrato dal 1966 una struttura illegale di collegamento tra militari e fascisti (operativa soprattutto nel Nord ma distinta da Gladio, con cui le inchieste la confusero) e in quel contesto Ordine Nuovo veneto organizzò la strage del 12 dicembre 1969 nella Banca dell’Agricoltura a Milano: sentenza definitiva, 2005, della Corte di Cassazione. Subito dopo, sin dalla notte del 12, una squadra dell’Uar di 14 funzionari occupò la Questura di Milano, diresse le inchieste, cancellò le prove ( tra cui le notizie sulle borse usate per le bombe) che riconducevano ai fascisti, deviò le indagini sugli anarchici: tutti fatti accertati nei documenti dell’archivio Uar (rinvenuto nel 1996), nelle successive inchieste dei magistrati, negli studi storici (del capo effettivo dell’Uar Federico Umberto D’Amato si indagano le responsabilità anche per la strage della stazione di Bologna del 1980).
Il Giorno della Memoria del 9 maggio è fissato alla data dell’uccisione di Aldo Moro, ma avrebbe quindi potuto esserlo al 12 dicembre, che è la data della prima strage operata dal terrorismo fascista e dell’avvio conseguente di un tragitto che condusse alcuni militanti della opposizione extraparlamentare di sinistra alla scelta nefasta, omicida e politicamente suicida di rispondervi con la lotta armata. Il presupposto della coscienza storica di quella crisi è perciò la chiarezza sulla sua genealogia, su questo inizio. Ma il nostro è un tempo senza storia -avverte Adriano Prosperi. Nell’ Ottocento, epoca della costruzione degli Stati nazionali, alla storiografia si credette di affidare la formazione della coscienza nazionale; poi ci ...[continua]

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