Detto questo, mi sembra giusto che il problema del rapporto tra badanti e loro pubblico meriti di essere affrontato anche (sia pure solo con poche veloci osservazioni) dal punto di vista di chi a una badante si rivolga con aspettative particolari.
Va da sé che il primo compito della (o del) badante è quello di proteggere, di trattenere una persona che appaia sull’orlo di un pericolo, e anche qui si può vedere molto facilmente come non ci sia una differenza di fondo fra l’assistenza o la custodia dei vecchi e l’aiuto che può essere invece dedicato ai giovani e giovanissimi, anche nelle forme di baby-sitting, sostegno scolastico o esperienze pedagogiche particolari.
Ma quando si tocca, o anche solo si sfiora un rapporto fra persone, i problemi si allargano sempre. E, in particolare, la volontà (ma starei per dire la necessità di proteggere) è costretta a trovare un accordo tra una chiusura che tende a vietare -non è difficile che su questa strada ci si incontri con i vecchi sistemi del comando- e un’altra che sia invece consapevole che il rapporto tra due persone va visto in movimento, parte di un processo di autogestione e di coinvolgimento in attività che non possono e non devono essere frustrate e mortificate. È giusto, per esempio, che un anziano, ma anche un giovane come quelli che prima si nominavano, senta attorno a sé la tranquilla pressione di chi ha per suo primo compito quello di difenderlo. Tuttavia, le cose non possono fermarsi qui. Un atteggiamento essenzialmente fondato sui divieti comporta quasi certamente il rischio di non favorire la semplicità e la facilità di un rapporto, quanto di porre le basi di una difficoltà comunicativa spesso destinata ad aumentare. C’è in più un altro elemento.
Una popolazione, per piccola o grande che sia, che venga affidata temporaneamente alle attività di una o più persone che si occupano di assistenza, si accontenterebbe di troppo poco se si vedesse restituire ai propri familiari e parenti senza aver avuto l’occasione di una crescita, sia pure parziale. Per poter parlare di una forma di successo in un esperimento psico-socio-pedagogico bisogna almeno aver tentato, all’interno del rapporto di cui si è appena parlato fra assistente e assistito come di un rapporto in movimento, di un processo nel corso del quale non vengano trascurate le abilità precedentemente conquistate dall’anziano o da altre categorie, e che sarebbe certamente un errore trascurare o abbandonare al caso. Una persona che sappia di essere affidata a un responsabile esperto di questi temi uscirà molto probabilmente frustrata o mortificata da una scarsa attenzione a salvare tutto ciò che è contenuto in un patrimonio, piccolo o grande, ma comunque importante, nella vita quotidiana di ognuno. Un patrimonio che non va perduto, sia quando riguarda le molte abilità necessarie per far funzionare oggetti e tecniche, sia anche idee della vita quotidiana di ognuno, abitudini di cui qualcuno tende a volte a diminuire l’importanza, come il saper contare i punti alla fine di una partita di carte o il seguire le azioni di una partita di calcio.
Bisogna, a mio parere, tener sempre conto del fatto che in buona parte delle occasioni pedagogiche che si presentano, le richieste del paziente-cliente sono decisamente più elevate di quanto si pensi. Sono anche occasioni di crescita, e di salutare compiacimento.
Ma oltre a essere esigenti circa il lavoro che viene loro fornito, le categorie di cui stiamo parlando, che vanno da giovanissimi ad anziani, sono molto sensibili nei confronti di chi ne accompagna le gior ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!