David Calef, esperto di emergenze umanitarie, è stato in missione in Ucraina in aprile-novembre 2023 per conto di un’organizzazione internazionale. Qui una parte dei suoi appunti.
L’apprendistato di chiunque visiti l’Ucraina comincia sempre nello stesso modo: appena possibile bisogna scaricare una App sul proprio telefonino. L’App è Air Alert, concepita per avvertire gli ucraini di imminenti attacchi aerei. L’allarme di Air Alert inizia con il suono acuto di una sirena seguito da una voce maschile che in inglese avverte, per due volte: “Attention! Air raid alert. Proceed to the nearest shelter. Don’t be careless; your over-confidence is your weakness”.
Una volta che l’allarme è cessato, la stessa voce dice, sempre due volte; “Attention: The air alert is over. May the force be with you”. Che la Forza sia con te.
Dopo un paio di allarmi, si capisce il senso dell’ironia di chi ha inventato l’App. La voce è quella di Mark Hammill, l’attore che impersonava Luke Skywalker in Guerre Stellari.
Quando suona l’allarme bisogna prendere rapidamente una decisione: andare al rifugio sì o no? Se si abita in un albergo il rifugio è a portata di ascensore e si è arrivati -tutti gli alberghi ne hanno uno negli scantinati. In una casa privata il rifugio, a meno che non si sia ospiti di un’oligarca, e a me non è capitato, bisogna uscire di casa e andare nel rifugio più vicino che a Kyiv, dove ho passato quattro mesi, di solito è la fermata della metropolitana. Le fermate sono i luoghi più sicuri della città perché scendono fino a cento metri sotto il livello stradale. Durante gli attacchi aerei di giorno sono gremite di gente. Altrimenti bisogna imparare a leggere la parola Укриття, rifugio in ucraino, e sperare che ce ne sia uno vicino e soprattutto che sia aperto.
Andare al rifugio è l’opzione più sicura, ma non necessariamente quella più utilizzata, soprattutto di notte, e gli attacchi arrivano soprattutto dopo cena. L’alternativa al rifugio è seguire la regola dei due muri: rifugiarsi in una camera separata da almeno due mura dall’esterno. Il primo muro attutisce l’esplosione e il secondo protegge da schegge e frammenti. Il risultato è che se si vuole stare sicuri si deve andare spesso in bagno. Altrimenti, si sta svegli e si fa affidamento sulla contraerea che a Kyiv è piuttosto efficace. Sia di giorno che di notte ho visto la contraerea intercettare i missili. Come quando nel mese di maggio dell’anno scorso Kyiv è stata bombardata due notti su tre; più di una volta ero troppo esausto per uscire dalla camera e sono rimasto in uno stato di semi-veglia: il rumore delle esplosioni mi tenevano sveglio o comunque sul chi vive, ma di vestirmi e scendere nel bunker non ne avevo nessuna voglia perché sapevo che mi sarei ridestato del tutto e poi il giorno dopo avrei fatto più fatica a restare sveglio al lavoro….
Il secondo passo dell’apprendistato è leggere le istruzioni su un canale dell’App di messagistica Signal, che prima dell’attacco informa sulla natura di quest’ultimo: quali aerei -MIG 31, bombardieri Tupolev Tu-95...- sono in volo dalla Federazione Russa, dal Mar Nero, dalla Crimea, dalla regione di Belgorod, e che ordigni stanno per sganciare -missili Iskander, Kaliber, Khinzal- e talvolta a che ora. Insomma, dopo un po’ si familiarizza con l’arsenale della Federazione Russa. A maggio le notti in bianco sono state parecchie. Più in là mi sono abituato e ho corso il rischio fidandomi della contraerea ucraina e mirando a recuperare il sonno perduto.
Contare sulla contraerea a Kyiv non è consigliato, ma è possibile. Non lo è affatto a Kharkiv, il cui centro dista una quarantina di chilometri dal confine con la Russia. A Kharkiv se senti l’Alert devi essere già in un rifugio perché il preavviso di allarme aereo arriva poche decine di secondi prima. Ci sono stato alla fine di ottobre e la città sembrava già semi-deserta, molti negozi su Sumska, una delle strade principali, sono chiusi, con le vetrine e le porte sbarrate da travi di legno spesso carbonizzato, memoria di un recente bombardamento. Sulla strada parallela Myronosystka camminavo la sera per andare a cenare o a comprare un pezzo di pane in un piccolo forno accanto a scheletri di palazzi che mi facevano venire in mente i palazzi distrutti di Gaza City dove la guerra era cominciata un paio di settimane prima.
Sono stato a Kharviv. All’alba ci alzavano presto per andare nella zona di Izyum, la cittadina riconquistata dall’esercito ucraino a settembre del 2022, un periodo di grande ottimismo in Ucraina che ho sperimentato perché ero andato a Odessa apposta per vederla e per invaghirmene perdutamente.
Le giornate lavorative sono intense anche perché in alcuni periodi (maggio, agosto) sono interrotte molto frequentemente dagli allarmi. In ufficio è obbligatorio andare al rifugio: si scende al piano terra, si esce dall’edificio e si va in quello accanto dove c’è il bunker con acqua e biscotti (scaduti).
Attendo il fine settimana con impazienza. Per rilassarmi vado a passeggiare o a correre nei parchi cittadini, tutti molti belli e curati.
Libri e librerie
Le librerie sono una meta a cui sono affezionato. Cerco di visitarne quante più possibile. Non per comprare libri perché la mia padronanza dell’ucraino è troppo scarsa per cimentarmi nella lettura di un libro. Vado in libreria spinto dalla curiosità di sapere cosa leggono gli ucraini e per fare esercizio: leggo i titoli dei romanzi stranieri, cerco di capire che cosa significano per risalire al titolo originale: на західному фронті без змiн, Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale di E.M. Remarque. Oppure ловець у житі, Il Cacciatore nella segale, traduzione di The Catcher in the Rye di J.D. Salinger. Ho finalmente memorizzato nove decifrando дев'ять оповідань, Nove Racconti sempre di Salinger.
Appena arrivato ero curioso di sapere se c’erano in vendita libri italiani. Quasi nulla. Elena Ferrante, Donato Carrisi, Dante, Macchiavelli e Umberto Eco. E poi, a sorpresa Літаючі камені (Le Pietre Volanti) di Luigi Malerba.
Non resistevo mai a chiedere: “Ce l’avete Italo Calvino?”. No. Nessun libro di Calvino. Se una notte d’inverno un viaggiatore è stato tradotto ma è esaurito da anni. Dopo qualche settimana di visite in una decina di librerie ho capito. Romanzi europei pochissimi. Qualche classico francese, tedesco, ma in generale i romanzi stranieri tradotti in ucraino solo quelli della letteratura anglosassone, soprattutto di quella statunitense. Indagando un po’ credo di aver capito perché. Non ci sono traduttori dall’italiano, dal francese e dal tedesco. E non ci sono i fondi per le traduzioni. Poi c’è un problema più generale che riguarda il prezzo dei libri. Un libro con la copertina rigida (i libri in versione tascabile sono un’eccezione) costa circa 400-600 grivne (9-14 euro), una cifra spropositata per un ucraino non abbiente. Un professore all’università è difficile che guadagni più di 6.000-8.000 euro all’anno.
Comunque, dopo tre mesi a Kyiv mi ero scioccamente messo in testa che gli ucraini non leggono molto. In un giorno -il 25 giugno- ho cambiato idea. Sono andato alla Fiera del libro di Kyiv. Un evento che si tiene una volta l’anno all’ex Arsenale della città, un gigantesco edificio nel quartiere di Pecherska.
Mai vista una folla di gente di tutte l’età, ma soprattutto ventenni, trentenni così entusiasta. La gente acquistava libri, riempendo borsoni come se non ci fosse un domani, e partecipava attentamente alle tavole rotonde organizzate durante i quattro giorni della manifestazione. Il 25 giugno sono andato per ascoltare una tavola rotonda sui crimini di guerra commessi dalla Russia durante la guerra in corso. Tra i relatori mi avevano colpito tre nomi, il romanziere americano naturalizzato francese Jonathan Littell (Le Benevole), lo scrittore inglese, ma nato a Kyiv, Peter Pomerantsev e Victoria Amelina, una poetessa ucraina giovane ma piuttosto conosciuta nel paese. Ne valeva la pena, soprattutto l’intervento di Littell sul tasso di violenza che è ormai endemico nella società russa. Alla fine, vado a salutare Pomerantsev (Questa non è propaganda, Bompiani) a cui volevo chiedere un’opinione sullo stato dell’antisemitismo nell’Ucraina di oggi. Mentre aspetto che si liberi -era assediato da una folla di giovani fan che gli chiedevano di firmare il suo ultimo saggio- mi passa accanto Victoria Amelina. Ne approfitto e le dico che la tavola rotonda è stata molto interessante. Lei, forse intenerita dal mio ucraino stentato, si ferma, mi chiede chi sono, mi sorride e mi ringrazia.
Due giorni più tardi, durante un bombardamento a Kramatorsk, nella regione di Donetsk, un missile Iskander centra la pizzeria in cui stava cenando insieme a un gruppo di scrittori colombiani. Non sopravvive alle ferite e muore qualche giorno dopo. La tredicesima vittima assassinata da quel missile.
Quando torno a Roma in vacanza a settembre l’associazione Ucraina CreAttiva organizza, in una minuscola galleria d’arte, uno scantinato, proprio accanto al mio portone, una serata di poesia e musica in onore di Victoria, delle sue poesie e della sue battaglie per documentare i crimini di guerra russi nell’est del paese.
L’altro motivo per cui mi sono ricreduto sul rapporto che gli ucraini, o almeno i kyiviti, hanno con i libri è che in città continuano a inaugurare nuove librerie. Grandi, scintillanti e affollate da giovani sotto ai trent’anni. A settembre (2023) ha aperto ReadEat, dove si legge, si mangia e si incontra gente. Da quando sono tornato in Italia, su Khreshchatyk, il grande boulevard che attraversa piazza Maidan, ha aperto Cенс (Senso), tre volte più grande di ReadEat, che era la diventata la libreria più grande in città. Forse in questa passione per i libri ci leggo troppo, forse non ne so abbastanza per dirlo, eppure mi sembra che leggere tra un allarme aereo e l’altro sia una manifestazione della tenacia degli ucraini, della loro resistenza all’aggressione russa. Del resto cosa leggono i giovani ucraini? Libri sul conflitto di scrittori che la guerra l’hanno vissuta in prima persona: Serhy Zhadan, Andry Kurkov, Tamara Duda...
Perché sono andato in Ucraina
Ad aprile 2023 sono andato in Ucraina per lavoro. C’ero stato già nel 2019 per cercare tracce di mio nonno materno, nato in un villaggio a sud di Lviv (Leopoli) alla fine del XX secolo. All’epoca, Lviv e dintorni pullulavano di ebrei. Ma tra il 1918 e il 1921, i pogrom anti-ebraici scossero una volta per tutte il senso di sicurezza degli ebrei galiziani. Mio nonno emigrò a Vienna, ma questa è un’altra storia. La mia ricerca è stata infruttuosa. Nel villaggio è rimasta una sinagoga diroccata piena di graffiti e a poca distanza un piccolo memoriale costituito da tre tombe che non sono neanche originali. Durante quel viaggio pensavo di andare anche a Odessa, ma non ne ho avuto il tempo. Mi è rimasta la voglia e ci sono andato nel settembre del 2022.
Ad aprile del 2023 sono ritornato in Ucraina per conto della divisione emergenze umanitarie di un’organizzazione internazionale. Il mio compito per quattro mesi e mezzo è stato dirigere una squadra che si occupava di fornire assistenza ai contadini rimasti nelle regioni del fronte a est (Sumska, Kharkivska, Mykolaivska e Odeska) e agli sfollati rifugiati nelle regioni a ovest.
L’organizzazione fornisce assistenza sotto forma di trasferimenti monetari (cash) o voucher. Questo è possibile perché in tutta l’Ucraina i mercati funzionano ed è possibile comprare beni di prima necessità e non solo. L’obiettivo di questi programmi è di aiutare famiglie colpite direttamente dalla guerra a soddisfare i bisogni primari di cibo, affitto, istruzione e assistenza sanitaria.
In particolare, uno dei programmi di voucher si rivolge ai contadini i cui capannoni per conigli e galline e, più raramente, mucche e maiali sono stati distrutti dai bombardamenti russi. I contadini destinatari di questo programma praticano un’agricoltura di sussistenza. Sono spesso coppie di anziani o donne sole che hanno perso il marito. Gli anziani ricevono una pensione dal governo ucraino (3.300 grivne -95 euro) insufficiente ad acquistare beni di prima necessità.
Con il voucher, i contadini si recano in un emporio specializzato nella vendita di materiali da costruzione e comprano quello che gli serve per la ricostruzione. Nel caso non siano in grado di riparare o ricostruire l’infrastruttura distrutta, l’organizzazione si occupa anche dei lavori e della mano d’opera necessaria.
Uno dei programmi più ambiziosi è quello che aiuta i contadini i cui campi sono stati bombardati o minati. Il programma ha tre componenti collegati a tre obiettivi. Quello primario è bonificare i terreni agricoli contaminati da mine lasciate dall’esercito russo e da altri residuati bellici (missili inesplosi) consentendo ai contadini di produrre colture in sicurezza. La mia agenzia collabora con altre e con un’organizzazione non governativa specializzata nello sminamento.
Il governo ucraino stima che l’area contaminate da mine e ordigni inesplosi è circa 170.000 chilometri quadrati. Si tratta forse di una sovrastima, ma è chiaro che lo sforzo per bonificare un territorio esteso quanto la metà dell’Italia è immane. Per dare un’idea di che cosa è necessario per completare questo lavoro: si stima che servano circa 60.000 immagini di un drone, a una risoluzione sufficiente, per coprire un chilometro quadro e che ci vogliano tre minuti a un esperto per analizzare ogni singola immagine ripresa dal drone e verificare che ci sia o meno un ordigno. Quindi è probabile, o direi certo, che senza l’intelligenza artificiale non se ne verrà mai a capo.
La seconda attività consiste nell’assistere i contadini spesso affittuari di piccoli terreni attraverso contanti e voucher a seconda dei loro bisogni. Questo tipo di assistenza è necessaria e urgente perché senza i contadini perderebbero le terre e la produzione di mais, olio di girasole, ecc.
La terza componente consiste nell’analizzare la qualità dei suoli agricoli contaminati da bombe e missili e da metalli tossici quali piombo e cadmio.
La logica originale del programma prevedeva di bonificare, analizzare i suoli e fornire assistenza umanitaria attraverso denaro e voucher. Ma il ritmo dello sminamento è troppo lento e l’organizzazione ha iniziato a sborsare denaro e a distribuire vouchers.
Nella fase iniziale, sono andato nel distretto di Izyum, occupato dall’esercito russo fino alla controffensiva ucraina nel settembre 2022. La città di Izyum è semidistrutta e i villaggi intorno, in direzione di Kramatorsk, sono minati, quindi non ci si allontana mai dalla strada. Nel villaggio di Kamyanka, 160 chilometri a sud-est di Kharkiv, i russi si sono accaniti con l’acribia che gli è nota e che gli ha permesso di commettere innumerevoli crimini di guerra. Durante le prime settimane di guerra, hanno bombardato il villaggio con tutto l’arsenale di cui disponevano. Poi l’hanno occupato uccidendo abitanti e animali e saccheggiando tutto ciò che potevano. Infine hanno lasciato un enorme assortimento di mine nei campi, nei giardini e ai bordi delle strade. A fine ottobre 2023, una squadra di sminatori era all’opera in diverse aree del villaggio.
Nonostante le mine siano dappertutto e nonostante manchi la luce elettrica, l’acqua e il gas, nel villaggio sono rimaste quattro o cinque famiglie. Difficile immaginare come riusciranno ad affrontare l’inverno.
Nel distretto di Izyum ci sono stato qualche giorno per incontrare vari gruppi di contadini, per cercare di capire quali fossero le necessità più urgenti e quali quelle che il progetto è in grado di soddisfare. Da queste parti si tocca con mano quanto la guerra abbia colpito in modo molto diverso le regioni sulla linea del fronte rispetto al resto del paese.
Intanto, rispetto alle città, il tenore di vita di queste parti è molto più basso che a Kyiv, Dnipro e Lviv. Qui non ci sono librerie, ristoranti internazionali e bellissimi giardini urbani. Soprattutto qui non c’è la contraerea che tenga. Siamo troppo vicini al fronte (l’oblast di Luhansk occupato dai Russi).
Oltre un anno e mezzo dopo l’inizio dell’invasione ciò che è stato distrutto resta lì in forma di cumuli di macerie. Una buona parte della popolazione si è rifugiata a ovest o chi poteva permetterselo è immigrata in un paese dell’Europa occidentale. Anche Kharkiv sembra lontana nonostante oggi, nel 2024, la devastazione dei bombardamenti la faccia assomigliare più a Khan Yunis che alla città che era prima del febbraio 2022.
(foto di David Calef)
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