Singolare figura di intellettuale e di scrittore, quella di Nicola Chiaromonte (1905-1972). Tanto singolare e anomala da essere stata ignorata quasi del tutto nella cultura italiana sia politica che letteraria del Novecento, e proprio nei decenni, dal 1930 al 1970, nei quali la lettura dei suoi articoli e saggi sarebbe stata più utile e necessaria. Del resto Chiaromonte non visse molto in Italia. Emigrò nel 1934 a Parigi, dove conobbe Albert Camus, di cui restò amico, e dove fu in contatto con i fratelli Rosselli e il loro gruppo di Giustizia e Libertà. Conobbe presto Andrea Caffi, che considerò suo maestro. Durante la guerra civile spagnola del 1936-’39 combatté nella squadriglia aerea organizzata da André Malraux. Nel 1941, a Casablanca, incontrò Garosci e Valiani. Partì poco dopo per gli Stati Uniti, dove frequentò Gaetano Salvemini e collaborò con Dwight Macdonald e le sue riviste “Partisan Review” e “politics”, per le quali scrivevano anche Hannah Arendt e Charles W. Mills. Tornato in Italia, fu a fianco di Ignazio Silone nell’ultimo decennio della sua vita, dirigendo la rivista “Tempo Presente”. Letterariamente ammirevoli le sue recensioni teatrali raccolte nel volume La situazione drammatica (1960). Ora il Meridiano Mondadori Lo spettatore critico (2021), a cura di Raffaele Manica, è per ogni aspetto esauriente.
Modello esemplare di saggista e giornalista sempre ai più alti livelli per originalità di pensiero e chiarezza di stile, Chiaromonte è stato un filosofo dell’attualità che ha cominciato a ricevere l’attenzione da sempre meritata solo a fine Novecento. Tra i suoi saggi migliori e più rappresentativi c’è La situazione di massa e i valori nobili (1956). Chiaromonte apre il suo discorso con una citazione di Ortega y Gasset tratta dal suo famoso libro La rivolta delle masse uscito nel 1930. Dice Ortega: “Per l’uomo massa, vivere significa non incontrare nessun tipo di limite, dunque abbandonarsi tranquillamente a se stesso. Per un tale uomo, non c’è praticamente nulla di impossibile né di pericoloso, e il suo principio primo è che nessuno è superiore a nessun altro”. A un tale tipo di uomo si oppone, secondo Ortega, l’uomo nobile “caratterizzato dalle esigenze che impone a se stesso e non dai diritti che rivendica e si attribuisce”. Mentre l’uomo massa è un “miscuglio di confusione, arroganza e soddisfazione di sé, in contrapposizione Ortega pone “l’ideale classico dell’aristocratico e del filosofo: l’uomo cosciente, ragionevole, libero perché padrone di sé”. Si tratta di un’eredità che deriva da Platone, che è, dice Chiaromonte, “il solo filosofo che abbia dato una definizione rigorosa, anzi, ben più che una definizione, un’immagine limpida, di quell’esigenza intellettuale che noi usiamo vagamente circoscrivere col termine di ‘umanesimo’. La forza dell’ideale platonico viene dal meraviglioso accordo che esso riesce a mantenere fra il dubbio socratico e l’assolutezza delle Idee in sé e per sé, fra l’infinita contingenza delle opinioni e l’incontrovertibile realtà del Vero”.
Ma il libro di Ortega ha, secondo Chiaromonte, un punto debole decisivo: le élites infatti si sono massificate insieme alle masse con l’inizio del Ventesimo secolo:

È comunque evidente che, di per sé, l’avvento delle masse quale lo descrive il grande intellettuale spagnolo non significa la sconfitta di Platone, di Spinoza e di Voltaire, ma sicuramente una crisi radicale della tradizione umanistica sulla quale, fino al 1914, era ancora lecito credere che fosse fondata la vita morale dell’Europa. Il problema delle masse è per l’appunto il problema dell’impotenza, reale o apparente, dell’intellettuale e dell’educatore nella società di massa.
(tutte le citazioni vengono da Lo spettatore critico, Meridiani Mondadori 2021, pp. 307-334)

Riprendendo una considerazione di Hannah Arendt, viene stabilita un’ulteriore interruzione nella storia e nel pensiero politico. Mentre quello tradizionale ha inizio con Platone e Aristotele, quello moderno nasce con Marx, “secondo il quale la filosofia e la verità, lungi dal trovarsi fuori dagli affari umani e dal mondo reale, sono situate precisamente dentro di essi, e non possono essere realizzate che nella sfera della vita collettiva, mediante la formazione dell’uomo socializzato”:

Per Marx, l’intellettuale ha l’obbligo di non pensare che dei pensieri di tal sorta: dei pensieri efficaci. Quello che, insomma, Marx dice è che il filosofo non è filosofo se non in quanto egli pens ...[continua]

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