La procedura definita dalla legge costituzionale, che ha dato vita alla Bicamerale, prevede le ordinarie quattro letture (due alla Camera e due al Senato, a distanza di almeno tre mesi di tempo, le seconde delle quali, per ogni camera, adottate a maggioranza assoluta del componenti) e un obbligatorio referendum popolare al quale dovrà partecipare, per la sua validità, la maggioranza degli aventi diritto.
Il testo predisposto dalla Bicamerale, in dieci mesi di lavoro molto intenso, risponde a tutte le sollecitazioni pervenute, ma in modo a volte compromissorio e scoordinato.
Se in tema di garanzie le ben note e numerose bozze Boato hanno gradualmente fatto emergere un disegno riformatore, gradito o no, ma comunque sufficientemente delineato e coerente, negli altri tre gruppi di lavoro (forma di stato, di governo e bicameralismo), lo scontro è stato confuso e mutevole nei contenuti, fino alla fine dei lavori, cosicché gli articoli predisposti non possono essere considerati una stesura definitiva.
E’ del tutto probabile che le prime letture assembleari, sia di Camera che di Senato, vedano numerosi contrasti anche su questioni centrali, con il risultato che, ottimisticamente, solo alla seconda lettura di una delle due, sarà possibile concordare un testo idoneo ad ottenere la maggioranza assoluta dei voti in entrambe le assemblee. Oltretutto, temi quali: la riduzione del Senato a seconda camera o a camera federale, i poteri delle regioni in uno stato di tipo federale, i rapporti fra Presidente della Repubblica eletto dal popolo e Capo dell’esecutivo, la separazione delle carriere dei magistrati non si potranno mai dichiarare definitivamente acquisiti. Ogni lettura potrà quindi essere costellata di trabocchetti.
Un iter di probabili almeno sei letture (forse di più) e una conclusione con un referendum a maggioranza degli aventi diritto sono una procedura terrificante per un articolato complesso, con molti punti contesi. Ben diverso sarebbe stato l’iter di una Assemblea Costituente, che dopo una sola, unica approvazione del testo, avrebbe visto un analogo referendum popolare confermativo.
Viene spontaneo domandarsi se il gioco valga la candela.
Un anno fa le riforme erano giudicate un passaggio ineliminabile, non per i singoli contenuti, sui quali non v’era accordo, quanto per mantenere un quadro di credibilità istituzionale nel temuto caso che l’ltalia fosse stata esclusa dall’unione monetaria.
La Riforma doveva ricompattare il Paese sulle sue istituzioni democratiche, anche nell’ipotesi che la situazione finanziaria continuasse a destare gravi preoccupazioni. Altre motivazioni non c’erano, tant’è che poi, quanto ai rimedi, ognuno aveva la sua ricetta. Per qualcuno il menù, al primo piatto, prevedeva presidenzialismo, per altri semipresidenzialismo, per altri ancora cancellierato, per alcuni infine nulla.
Per secondo, qualcuno voleva il federalismo (ordinario o a geometria variabile), altri la confederazione (in vista di referendum secessionisti), altri un regionalismo più spinto dell’attuale, altri infine il "federalismo delle autonomie locali". Per terzo, qualcuno voleva una sola camera, qualcuno due camere con poteri diversi, qualcun altro una camera delle regioni o delle autonomie. Sulla giustizia, qualcuno voleva uno stravolgimento totale dell’esistente (elezione diretta dei magistrati, tanto per dire), qualcuno riteneva che non fosse nemmeno da comprendere l’argomento nella riforma generale. Difficile dire che il bisogno di riforma fosse qualcosa di più di un gioco di società.
Dopo dieci mesi, tempo davvero brevissimo, poche posizioni si sono ammorbidite. Il più delle volte si sono cercate soluzioni molto ambigue e compensazioni ad extra (vedi ordine del giorno sulla futura legge elettorale). Se guardiamo alle posizioni di ogni singola forza politica, quasi nessuna ha interesse a far procedere la riforma sugli equilibri finora raggiunti; i pro non superano i contro; e alla fine il nulla è meglio del qualcosa.
Proviamo invece a pensare per un momento chi si avvantaggerà da un nulla di fatto. Quasi tutti!
Rifondazione Comunista non ha fatto mistero della sua contrarietà pregiudiziale a riformare la Costituzione; la Lega potrebbe demonizzare l’inconcludenza romana; i ...[continua]
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