Karadzic ha visto nientemeno che gli Stati Uniti hanno riconosciuto il suo legittimo mostro, la repubblica serba di Bosnia. E adesso, davanti a tutti -davanti alla comunità internazionale, davanti ai serbi, davanti ai suoi stessi figli- può dire: "avevo un motivo per essere un criminale di guerra!" Adesso tutti i massacri, gli esodi, gli stupri, i campi di concentramento sono giustificati. Questi sono i vincitori.
Gli sconfitti sono ammassati dentro il cerchio serbo. L’intera Bosnia Erzegovina è ridotta ad una zona protetta, ristretta fra Serbia e Croazia. Una zona a cui la comunità internazionale non lascia molte strade per il futuro: o si scioglierà nella Croazia, scomparendo in un modo un po’ più civile di come le stava accadendo, o si arrenderà ai suoi vicini per essere brutalmente smembrata. A Sarajevo sono echeggiati i risultati dei negoziati di Ginevra e dolore e amarezza sono i due sentimenti dominanti. Tre anni di tragedia hanno lasciato tracce profonde nella popolazione: è difficile da sopportare l’idea di vivere vicino allo stato di Karadzic.
Probabilmente quest’ondata di emozioni non consente ancora a tutti di vedere bene cos’altro porta con sé questo piano di pace. La più grande trappola è lo stato, nel senso di sistemazione, di Sarajevo. Di questo ancora nessuno parla, ma gli osservatori più attenti noteranno che il piano americano prevede l’apertura di un corridoio per Sarajevo. Qui sta la trappola più grossa, perché l’apertura di un corridoio altro non significa che la città rimarrà com’è adesso -divisa, con Trebevic, Grbavica, Vrace, una parte di Dobrinja, Ilidza occupate dal nemico. Il corridoio andrà verso Visoko passando da Rajlovac ed Ilijas. L’insostenibilità di una tale proposta non risiede nel fatto che un viaggiatore che parta per il sud, per Mostar, debba andare per trenta km a nord, poi una decina verso ovest a Kiseljak e infine verso sud. L’insostenibilità è dovuta al fatto che le postazioni serbe rimangono dov’erano fino ad oggi. Questo significa in pratica che il confine della Serbia è al fiume Miljacka, al ponte di Bratstvo Jedinstvo, che i cecchini serbi rimangono ancora sui grattacieli di Grbavica, nel cimitero ebraico, sui pendii di Trebevic. In questo modo le uccisioni non cesseranno mai. Ogni volta che un macho serbo di Pale sarà sconfitto nel suo sport preferito -il lancio della pietra come sfida fra coetanei- verrà a Grbavica a sfogarsi nel tiro a segno su qualche bambino. Hanno fatto così fino ad oggi e il piano americano lascia loro la possibilità di continuare così per i prossimi 400 anni. Clinton ha così tanta fretta di chiudere il caso Bosnia che non gli interessa la qualità dell’accordo, ma solo la velocità con la quale sarà concluso. E in questa fretta c’è anche la piccola chance per la Bosnia. In questi tre anni e mezzo di guerra il mondo ha dimostrato, per nostra sfortuna, un grande rispetto per il metodo serbo di comportamento politico: mantenere le proprie posizioni senza cedere mai un millimetro. Ogni volta che i serbi si sono comportati così l’Europa s’è piegata e loro hanno ottenut ...[continua]
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