In una recente presentazione televisiva del suo ultimo film, Bernardo Bertolucci rilevava, per sottolineare l’attualità del messaggio del Buddha, il grande cambiamento di valori in atto nella nostra società, che dalla “trasgressività” è passata alla scoperta della “compassione”. Veramente, con tutto quel che si sente dire proprio in questi giorni -qui da noi, nelle nostre città dove si fa violenza alle donne in pieno giorno, si ritorna ai pestaggi politici, si aggrediscono gli immigrati “perché sono violenti”, per sorvolare poi sulle novità del gergo elettorale- non pare proprio che lo spirito della tolleranza buddista abbia fatto scuola nel nostro tempo. Al più, c’è estraneità e indifferenza; non proprio l’amorosa compassione verso il prossimo; ma “badare a se stessi” è più la lezione di don Abbondio che di Siddharta.
“L’Europa è felice come un Buddha”, intitolava un mese fa un nostro quotidiano, con la spiccata gentilezza che caratterizza la nostra stampa quando si tratta delle religioni degli altri popoli. A parte la mitezza e la tolleranza buddista, è comunque un fatto che, anche religiosamente, stiamo cambiando: pluralismo e scelta personale subentrano all’omogeneità e alla tradizione del passato. In Francia, i buddisti raggiungono il mezzo milione; anche qui da noi in Italia, ormai toccano i cinquantamila. Moda? Può essere; ma è più probabile che si tratti proprio del contrario della moda: una ricerca di autenticità umana e spirituale, a cui il nostro modello occidentale non ha offerto risposte adeguate. Certamente, in questo genere di fenomeni ci si infiltrano anche tanti motivi di superficialità; dalla religione ci si può aspettare igiene della vita fisica, una suggestione emotiva, o una tecnica antistress. Vero. Qualcuno ha già ricordato però “Guai a voi ipocriti, che ripulite il piatto dal moscerino ed ingoiate il cammello”. Non sarà che critichiamo facilmente, perché non vediamo il bisogno dell’uomo del nostro tempo? L’interesse religioso può essere segno dei tempi; l’apertura alle grandi religioni degli altri popoli come ricerca autentica di nuove dimensioni dell’uomo. Buddha ha qualcosa da dirci: ha parlato del dolore dell’esistenza, ha rivelato l’interiorità dell’uomo, ha praticato il silenzio e vissuto l’ascesi, ha insegnato la compassione universale per ogni senziente. Ha fatto gli uomini più buoni. Voce di uno che grida da un altro mondo. Del resto, già cinquant’anni fa, Romano Guardini, uno tra i migliori teologi cristiani, preannunciava che il vero confronto spirituale si sarebbe svolto tra Cristo e il Buddha: il Dio crocifisso o l’uomo che si libera dal dolore del mondo; l’annuncio della grazia di Dio o l’appello alla libertà dell’uomo; l’amore tragico per il prossimo o la riconciliazione interiore dello spirito. Due mondi religiosi diversissimi, eppure misticamente così vicini: un confronto fecondo. Non siamo preparati al dialogo religioso; ci intendiamo piuttosto di polemica. E nel vuoto, la gente si rifugia più facilmente nelle corpose sette apocalittiche dove trova moralismo e pessimismo, oppure nelle facili dolcezze della “new age”, nella consolazione dell’Acquario. Fatichiamo a distinguere tra le grandi religioni della storia e le religiosità disperse dei tempi di crisi; tra i grandi, originali movimenti, ricchi di mistici e di pensiero e le deviazioni che ne sono derivate, come loro fenomeni parassiti; tra chi ha contribuito alle civiltà dell’uomo e chi si esclude dalla storia.
Un motivo in più per conoscere e valorizzare islàm, buddismo ed ebraismo e per prevenire il suicidio del pensiero dei gruppuscoli religiosi.
Sergio Sala