al punto di partenza,
con le spine del ricordo
E non sono più tornati.
Mahmoud Darwish
Nel 2004, quando il Primo Ministro Ariel Sharon cominciò ad evacuare gli 8000 coloni israeliani da Gaza, le speranze di pace erano alle stelle. Mentre i giornali di tutto il mondo occidentale raccontavano la situazione dei coloni israeliani, che si sentivano traditi, disperati, in attesa dei sussidi governativi che avrebbero alleviato il loro trasferimento da Gaza, l’evacuazione veniva accolta da un consenso quasi unanime. Sembrava proprio il primo passo verso la creazione dello Stato palestinese. Solo un anno dopo, quelle speranze erano svanite. Israele manteneva il controllo sulle strade, lo spazio aereo, il rifornimento di elettricità, e i confini di Gaza. Con il beneplacito statunitense, altri 12.000 israeliani si erano insediati nella West Bank, così di fatto congelando il processo politico che avrebbe dovuto condurre alla creazione di uno Stato indipendente di Palestina. I palestinesi non si erano fatti imbrogliare: il ritiro da Gaza non era un preludio all’accordo di pace con l’Autorità Palestinese, ma a un’ulteriore espansione sionista e alla ridefinizione dei confini della “Grande Israele”.
Oggi la pace sembra più lontana che mai. I media occidentali hanno sposato la visione israeliana degli eventi: non c’era altra scelta se non quella di invadere Gaza in risposta alle continue violazioni del cessate-il-fuoco di Hamas; un cessate-il-fuoco che quest’organizzazione “terrorista” si era rifiutata di mantenere; Israele agiva nel solco della lotta internazionale al terrorismo. In realtà l’accordo era che se Hamas avesse interrotto il lancio dei razzi, Israele avrebbe allentato l’embargo. Tuttavia Hamas ridusse radicalmente il lancio dei missili, mentre Israele intensificò il blocco; Hamas si dichiarò disponibile a rivedere le negoziazioni, Israele chiuse la porta.
Ora, Hamas può aver agito più per audacia o per un proprio cinico interesse che per un calcolo razionale, ma va detto che anche i leader israeliani erano più preoccupati di sottrarre voti ai partiti di destra in vista delle elezioni di febbraio1, che di rispondere alla preoccupazione della comunità internazionale riguardo la lotta al terrorismo e il perseguimento della pace.
Con l’attacco aereo su Gaza del dicembre 2008, seguito alla chiusura dei confini, si è verificata una tale crisi umanitaria che in molti hanno ritenuto definitivamente compromessa la possibilità di una “soluzione a due stati” al conflitto israelo-palestinese. Sono stati uccisi 1.300 cittadini di Gaza, tra cui 200 bambini, a fronte di 13 soldati e tre civili tra le fila israeliane. Oggi un milione e mezzo di cittadini di Gaza vive intrappolato in una striscia costiera di 363 Kmq deprivata di risorse e infrastrutture. Il 49% degli abitanti di Gaza è disoccupato, il World Food Programme stima che una percentuale compresa tra il 35% ed il 60% dell’agricoltura locale sia stata distrutta. L’80% degli abitanti della Striscia guadagna meno di due dollari al giorno; in 100.000 hanno abbandonato le proprie abitazioni, mentre sono 22.000 gli edifici distrutti. Secondo l’Unicef, i danni ammonterebbero a circa 2 miliardi di dollari. Le scorte di elettricità, cibo, carburante, acqua, materiale sanitario e i servizi igienici, sono stati drammaticamente compromessi. Gaza è in rovina, e i suoi cittadini vivono in quella che ormai è sempre più una prigione a cielo aperto2.
Non c’è bisogno di soffiare sul fuoco chiamando in causa analogie storiche improprie che vorrebbero paragonare quanto sta accadendo a Gaza con l’ “Olocausto”. Le cose vanno già abbastanza male, e sicuramente molti gazani avvertono un senso di dejà vù.
La maggior parte di loro, infatti, discende da coloro che sperimentarono la catastrofica espulsione (naqba) da Israele nel 1947-48. Fu quella la prima volta che Israele invase Gaza: accadde di nuovo nel 1956 e poi nel 1967 e, più recentemente, nel 2006.
Ma il presente è diverso dal passato. Oggi, la Palestina è divisa sia geograficamente che ideologicamente. Le elezioni volute dal Segretario di Stato americano Condoleeza Rice e da Abu Mazen, il cui partito, Fatah, controllava la West Bank, hanno finito per consegnare il potere ad Hamas con il 43% dei voti. Nel marzo del 2007, Hamas e Fatah hanno formato un governo di unità nazionale pronto a negoziare una tregua di lungo periodo con Israele; ma, a quanto pare, i gazani avevano “sbagliato” a ...[continua]
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