Marzia Bisognin ha due figlie, Amaranta (1978) e Laura (1980) e un figlio, Orlando (1994). Vive e lavora a Bologna.

L’altro giorno ho chiamato mio figlio: “Mi passi papà?”, e ho sentito che diceva: “Papà, c’è tua moglie al telefono”. E lui: “Mia chi…?”, al che gli ho detto: “Ma io non sono la moglie di papà, non mi sono mai sposata”; “Sì, lo so che tu non ti sei mai sposata, ma allora tu chi sei per lui?”. Così ho cercato di spiegargli che non c’è un nome. O sono definibile come madre di suo figlio o come sua ex fidanzata, ex moglie, quell’accidenti che è. C’è una parola per tutti i rapporti di parentela possibili e immaginabili, e non c’è una parola che definisca non solo le nuove possibili relazioni di parentela in questo nuovo tipo di famiglia che comincia a diffondersi, ma nemmeno di una cosa scontata e ovvia com’è il legame genitoriale. O sei la moglie o il marito, oppure l’ex. Come se la relazione legata al fatto che si ha un figlio in comune non ci fosse. E’ assurdo.

“Famiglia a catena” è un espressione inventata da mia figlia quando era alle elementari. Le due sorelle sono molto vicine di età, ma una tendeva a non raccontare troppo i fatti suoi, invece la piccola era terribile, raccontava tutto a tutti. Mi metteva anche in imbarazzo: “Allora mamma, tu prima hai fatto l’amore con papà e sono nata io, o prima hai fatto l’amore con Luciano ed è nata Amaranta?”, oppure come saliva in autobus si metteva in mezzo alle due seggiole davanti e iniziava a dire all’autista: “Sai, io sono andata a Roma a trovare mio fratello”, “Ah, perché tu abiti a Roma?”, “No, io abito a Bologna con mia sorella”. “E come mai hai un fratello che vive a Roma?”, “Allora: mio papà prima ha fatto l’amore con un’altra ed è nato mio fratello, poi dopo con mia mamma e sono nata io. Però, poi, prima mia mamma aveva fatto…”. L’espressione “famiglia a catena” le è saltata in testa alle elementari quando si fanno quei compiti tipo: “La mia famiglia”, “Disegna la tua famiglia”, e lei non sapeva mai come fare, nessuno capiva mai niente, malgrado allora la nostra situazione familiare fosse ben più semplice, eravamo molti di meno. Allora lei aveva cominciato a fare lo schemino; anche se faceva un tema, alla fine disegnava lo schemino, una specie d’albero genealogico, questo con quello, questa con quell’altro…, e così ha visto che era un legame di catena: a uno è legato un altro, a cui è legato un altro ancora e così via. Anche perché in questo gruppone ci sono tanti figli, ma nessuno ha lo stesso padre e la stessa madre di un altro. In un certo senso sono tutti figli unici, ma poi hanno tutti dei fratelli.

Volete che vi faccia a voce l’albero genealogico? Non è facile. Io ho tre figli con tre padri diversi. Il padre di mezzo, cioè quello della mia figlia di mezzo, a sua volta ha un figlio, che quindi è il fratello di mia figlia, con un’altra donna, la quale ha altri due figli con altri due uomini.
Questa è la struttura base: tre uomini per lei e tre uomini per me, dei quali, però, uno è in comune, quindi fanno cinque uomini, due donne e sei figli. Adesso la cosa si sta complicando perché il padre della mia figlia maggiore, che aveva solo lei come figlia, sta facendo un’altra figlia con una donna che, a sua volta, ha un altro figlio, già grande, con un argentino. Inoltre mia figlia, nel frattempo, ha fatto un figlio. Quindi sta entrando la terza generazione di questa aggregazione bizzarra.

Sì, li ho allevati tutti i miei figli. La cosa è cominciata normalmente: ho fatto una figlia nel ’78, senza sapere cosa avrei fatto, e mai mi sarei immaginata che sarebbe andata in questo modo. Sì, non mi ero sposata, non avevo idea di fare una famigliola normale, questo è vero, ma erano gli anni del movimento, della contestazione anche della struttura familiare tradizionale. Lì dentro non vedevo una possibilità di… adesso usare il termine felicità fa ridere, insomma, di vitalità, e, devo dire, non la vedo tuttora. Del resto quanti sono in questi ultimi decenni i matrimoni che non hanno funzionato? Finché il matrimonio doveva essenzialmente salvaguardare il benessere dei figli, la famiglia era l’unico microcosmo di riferimento possibile, altrimenti eri una zitella o una disadattata; così nel nome della famiglia si sacrificavano molte cose. Il problema è che noi volevamo anche l’amore, volevamo delle relazioni che funzionassero, che fossero vitali, che dessero delle cose, non volevamo solo “sistemarci”.
Spesso, purtroppo, le separaz ...[continua]

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