Giampiero ‘Nico’ Berti insegna Storia delle dottrine e dei movimenti politici all’Università di Padova. E’ autore di numerose pubblicazioni storiografiche e analitiche sul movimento e sul pensiero anarchico. La conversazione che pubblichiamo trae spunto da un saggio, I paradossi del relativismo culturale, che Berti, da sempre vicino al movimento anarchico, ha pubblicato sul n. 3/2002 di Mondo Operaio. Alcune delle tesi sostenute da Berti hanno suscitato molte reazioni critiche in ambito libertario, non a caso il n. 2/2003 della rivista Libertaria dedica un ampio dibattito a più voci proprio ad alcuni di questi temi. Con Nico Berti, per Una città, discutono Franco Melandri e Gianni Saporetti.

Nico. Intanto ripeto quello che ho detto su Mondo Operaio: noi conosciamo società capitaliste dove non vi è libertà, ad esempio il Cile di Pinochet, però non conosciamo nessuna società liberal-democratica dove non vi sia anche il capitalismo, o, diciamo meglio, un’economia a libero mercato.
Indubitabilmente laddove ci sono società liberal-democratiche vi è il capitalismo. Questo significa forse che il capitalismo è la causa delle società liberal democratiche? No, significa però che è una condizione necessaria; non sufficiente perché altrimenti non salterebbero fuori i Pinochet, ma necessaria sì. Questo nessuno può negarlo.
Laddove c’è l’una c’è anche l’altro e insieme producono l’unica libertà che finora noi abbiamo conosciuto, che è la libertà liberal-democratica: non la libertà tout court, ma la libertà che storicamente abbiamo conosciuto, che è la forma più compiuta di libertà che la storia abbia prodotto finora. Io non credo che, in tutto questo ragionamento, ci sia alcuna apologia, né che noi dobbiamo accontentarci di questa libertà, c’è semplicemente una constatazione. Ovviamente, lo dico fra parentesi, il ragionamento vale se per libertà intendiamo una serie di cose che rientrano nei parametri della concezione liberale e occidentale della libertà; se partiamo da una concezione diversa, poniamo spirituale, per cui riteniamo che si è liberi quando si è liberi dal peccato, è un altro discorso. Il mio discorso, insomma, vale se riteniamo per libertà quei principi generali, creati a partire dal Rinascimento, che solo la cultura occidentale ha prodotto.
Franco. Nella prima metà dell’800, anche Proudhon, uno dei “fondatori” del pensiero anarchico, diceva che senza la proprietà e senza lo scambio libero, cioè senza il libero mercato, non vi può essere libertà. Ma la proprietà, il capitalismo, cui Proudhon pensava, cioè quelli dell’America del 1776, fatti soprattutto di piccoli proprietari, o quello della società rurale francese, in cui la piccola proprietà era assai diffusa, non è il capitalismo dell’America di oggi. Nell’America della fine del ‘700 lo vedo anch’io il legame fra libertà e capitalismo, ma oggi? Non c’è il rischio che le stesse libertà liberal-democratiche siano messe in crisi dallo sviluppo del capitalismo, non dalla proprietà privata o dal mercato, ma dal monopolio che del capitalismo sembra l’ineludibile sviluppo?
Nico. Possono essere messe in crisi, certo, ma questo cosa c’entra? Il capitalismo intanto è fatto di capitalisti. Nel 1919-’20-’21 in Italia c’era il capitalismo? Sì, allora com’è che è nato il fascismo? Perché dei capitalisti, impauriti dal bolscevismo, hanno finanziato i fascisti. Ma questo cosa vuol dire? E’ la conferma che il capitalismo è condizione necessaria della libertà, ma non sufficiente. Tutto qui. Rispetto a questo, mettersi a discutere del capitalismo degli Stati Uniti alla fine del ‘700, dei piccoli proprietari teorizzati da Washington, mi sembra un almanaccare. Io dico questo: il capitalismo è una condizione necessaria della libertà che conosciamo; noi conosciamo un certo tipo di libertà che è quella che si è venuta formando tra mille travagli in questi ultimi secoli, e questa è legata al capitalismo. Come si fa a staccare una parte? Non si può, l’intreccio è inestricabile. Lo ripeto: questo non significa alcuna apologia del capitalismo, non significa nemmeno che questo benedetto capitalismo non possa essere superato da altre forme di economia più civili e più umane.
Franco. Insisto: è indubbio che le grandi holding americane vivono di un’economia di tipo capitalistico, è altrettanto indubbio che queste, in alcuni momenti, se non sempre, mettono in crisi il libero mercato. Allora come fai a dire: “Quel capitalismo è strettamente legato alla libertà”. Mica tan ...[continua]

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