L’11 settembre ha segnato pesantemente la sinistra americana, provocando anche spaccature interne. Qual è oggi il suo stato di salute?
Premetto che la sinistra non era in buona forma già prima dell’11 settembre, avendo scontato un lungo periodo di declino, a mio avviso iniziato negli anni ’70 e segnato da due fenomeni di lunga durata. Uno è l’indebolimento del movimento dei lavoratori, il declino dei sindacati; l’altro è la comparsa nella politica americana di un gruppo che perlopiù era vissuto ai margini, ovvero i cristiani evangelici, che sono entrati in scena con dei programmi precisi, mobilitati dai loro pastori, dai loro ministri e preti.
Noi non abbiamo avuto risposte utili né verso la smobilitazione del movimento operaio, né, tantomeno, per il revival religioso. Siamo stati relativamente passivi, confusi, di fronte a entrambi questi fenomeni.
In questo contesto si è poi aggiunta l’adesione a un programma che si è allontanato dalla sinistra tradizionale. Il dibattito scoppiato sulle coppie gay è sintomatico: anche se la maggior parte di queste persone appartengono alla classe operaia o alla lower middle class, e sicuramente trarrebbero quindi beneficio dalla politica economica e sociale della sinistra, è però venuto meno quel senso di appartenenza, legato al fatto di avere gli stessi bisogni e interessi.
Ecco, questi fenomeni già avevano mostrato un indebolimento della sinistra e un allontanamento dalla vita quotidiana dell’americano medio.
E poi è arrivato l’11 settembre, quel tipo di evento che nella maggior parte dei paesi avrebbe fatto spostare la gente a destra. Il terrorismo infatti esercita sempre una spinta a destra, perché la gente cerca protezione in un governo forte.
Credo che molta gente a sinistra -uso questo termine per designare una costellazione che si estende “da qualche parte” dei democratici, ai gruppi marxisti e trotzkisti- non abbia risposto con intelligenza all’11 settembre.
Peggio, la sinistra, una sua parte, non è stata in grado di rispondere nemmeno moralmente. Cioè, non siamo stati capaci di simpatizzare con le vittime. E questo è molto grave perché una delle caratteristiche fondanti della politica di sinistra è proprio quella di stare dalla parte della gente in difficoltà. E qui avevamo gente in condizioni disperate, con cui non siamo stati in grado di identificarci.
Lei accusa la sinistra anche di non aver voluto farsi carico della questione della sicurezza.
E’ così. Non siamo stati capaci di rispondere alla domanda che il terrorismo pone sempre, quella appunto della sicurezza. Qui si trattava di persuadere i nostri concittadini di essere più capaci di George Bush di difendere la loro vita.
Ma questo comporta che tu prima di tutto sia convinto che è importante difendere la loro vita. Ecco, questo è qualcosa che la sinistra non ha voluto affrontare. E così quando è stato emanato il Patriot Act, che noi tutti sapevamo di dover contrastare, si sono presentate due modalità di opposizione. Una era quello di puntare il dito su Ashcroft e gridare “fascista”. L’altra era dire: “Guardate, noi possiamo difendere la vostra vita all’interno della cornice democratica; non c’è bisogno di fuoriuscire dai suoi confini; non dobbiamo rompere i limiti del sistema costituzionale”. Ma dovevi porre questo argomento ed essere capace di persuadere la gente. Invece c’è stata grande riluttanza a farlo. Bisognava anche accettare il fatto che in quel momento stava a noi l’onere della prova. Forse non logicamente, ma certo politicamente.
La destra infatti in situazioni del genere è tradizionalmente meglio attrezzata, tant’è che non ha esitato ad annunciare: “Noi siamo pronti a tutto per proteggervi, anche a infrangere dei limiti”.
Ripeto, la sinistra avrebbe dovuto ribattere: “Noi possiamo farlo senza fuoriuscire dalla cornice costituzionale”. Ma non l’abbiamo fatto.
Questo credo abbia contribuito a un ulteriore indebolimento della sinistra. Ciò che è avvenuto il 2 novembre 2004, a mio avviso, è stato quindi la conclusione di un processo di erosione di lungo periodo. A quel punto c’erano ancora meno lavoratori iscritti ai sindacati e più cristiani evangelici; questo è certamente vero, ma io credo che le elezioni siano state decise dall’11 settembre. Ovvero dalla paura.
E uno dei segnali chiave di tutto questo è ...[continua]
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