Teresa Centro è psicologa e psicoterapeuta al Sert dell’Asl Napoli 1, distretto 52, Ponticelli.

Su che cosa è basato il potere di attrazione del modello criminale?
Partirei dal concetto di “identità sociale forte”: una persona si distingue fortemente per un connotato polarizzante, tale che gli altri ne hanno subito una chiara rappresentazione legata a un potere, a un controllo, ad un modello di forza, di capacità di gestire il sociale. Nell’ottica delle persone, quell’individuo, o quel gruppo, ha una leadership che incute paura e rispetto. Ciò accompagna molte figure del sociale: dire “sono un cardiochirurgo”, o un prete, un magistrato, indica chiaramente l’appartenenza, così come dire “sono un camorrista” indicherà un’appartenenza. Il “peso” del gruppo di riferimento sarà collegato a quel particolare momento storico, in quel particolare contesto sociale.
Perché le funzioni analoghe esercitate dallo Stato ispirano invece avversione (vedi l’odio per lo “sbirro”)?
Queste figure rappresentano lo Stato come insieme che ci contiene: se il tutore dell’ordine è garante della collettività e nel rapporto individuo-società si alternano movimenti e oscillazioni tra individuazione e socializzazione, posso sentire lo Stato contro di me, quindi tendo a tirarmi fuori, a sviluppare oppositività…
Quindi questo accresce il fascino del criminale come anti-Stato, potere alternativo….
Certo, e il tirarsi fuori come individuo lo si sperimenta tutti i giorni. Un sociologo americano, Chapman, in un vecchio studio sullo stereotipo criminale, mette in parallelo tutta questa costellazione legata alla trasgressione e alla invulnerabilità con l’universo dell’adolescente, dicendo che in un certo senso questo coincide con quello dei trasgressori: è una esasperazione, però è vero che se l’adolescente, nel suo viaggio verso l’individuazione, ha la necessità di opporsi all’autorità genitoriale e alla norma, è chiaro che tutto quello che è trasgressione lo affascina ed entra nei suoi meccanismi identificatori. Un movimento analogo di “tirarsi fuori” e sviluppare oppositività è quello del creativo, dell’artista, che realizza e propone un suo modello originale, innovativo e antagonista a ciò che è consolidato.
Può esserci questo alla radice della “simpatia” per il criminale presente in tante forme artistiche?
Un primo aspetto è la legge di mercato, di cassetta: andare a colpo sicuro su ciò che affascina e attira un voyeurismo, una morbosità. Poi c’è il problema del rapporto dell’arte con la morale: io credo che l’artista non si ponga la questione del modello buono o cattivo. Considererei, invece, un altro vertice: prendiamo ad esempio una persona molto spaventata dalla violenza, che tenda ad identificarsi con l’aggressore come strategia per affrontare il problema, e dominare, controllare quello che fa paura. “Prendere il toro per le corna”: analizziamo questo detto: da dove lo prendo il toro? Da dietro, di lato? Mi metto davanti? E allora lo devo guardare negli occhi, sento il respiro, mi devo avvicinare e devo familiarizzare con lui; ma perché faccio tutto questo? Perché penso che poi lo controllo, capisco come funziona il toro, quando aggredisce, quando carica! E’ l’idea di un dominio e di un controllo su una cosa che mi affascina e mi perturba: il che, al di là dell’espressione artistica, è un meccanismo molto più generale. Sutherland, uno psico-sociologo, parla di “associazioni differenziali”: tutti quei passaggi che aiutano la persona a categorizzare, a fare distinzioni rispetto ai ruoli e al potere. Criminalità e devianza verrebbero apprese in associazione diretta o indiretta con altri, e sarebbero il risultato di un comportamento reiterato attraverso processi di interazione, di comunicazione con individui o gruppi favorevoli al crimine o che attribuiscono significati positivi ad azioni criminali. La persona è permeata, a livello familiare e sociale, e ciò crea apprendimento giorno dopo giorno.
C’è anche il fatto che in questi contesti la figura del padre anche quando non è implicata direttamente è totalmente soggetta al potere dominante, incapace di dare protezione…
Quindi è una figura impaurita, gregaria, subordinata alla figura forte, per cui l’adolescente non si può identificare con lui.
Noi abbiamo un ragazzo, il figlio del signor R., che se ne vuole andare da Napoli per salvarsi, però è chiaro che se gli ammazzano il padre sa che dovrà assumersi il ruolo della vendetta, non c’è scampo; infatti è una corsa con ...[continua]

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