Giovanna Bodrato, Amina El Almi, marocchina di Casablanca, Sara Hanna, egiziana, e Charifa Kbiri, marocchina di Meknes, fanno parte del “Gruppo salute” dell’associazione Alma Terra di Torino.

Come è nato questo gruppo di donne, italiane e straniere, che si occupano di salute?
Sara Hanna. Il nostro è uno dei gruppi di lavoro di Alma Mater. E’ nato da una ricerca svolta dal 1993 al 1995 sul tema della maternità con donne di vari paesi del mondo, in particolare del Maghreb. In questo progetto sono state inserite mediatrici culturali di paesi arabi: Egitto, Marocco e Libano. Il lavoro è stato avviato presso l’ospedale infantile Regina Margherita e la clinica ginecologica Sant’Anna di Torino, e poi in un consultorio familiare pediatrico. Sono stati affrontati tutti i temi della maternità: prima del parto, dopo, la gravidanza, l’allattamento, lo svezzamento dei bambini. Ci siamo informate reciprocamente su come si vivono, in Marocco -perché abbiamo cominciato col Marocco- e in Italia, queste esperienze. Dopo questa ricerca, durata tre anni, alcune figure di mediatrici sono state inserite nei consultori familiari e nei servizi sanitari. Poi le mediatrici sono state inserite anche in ambiti diversi, nei servizi sociali per esempio, ma questo è accaduto solo dopo tre o quattro anni dalla nascita del gruppo. Ora sono passati quasi quindici anni e nel frattempo è nato un nuovo gruppo.
Giovanna Bodrato. L’associazione in questi anni si è mossa su tanti progetti mirati su singoli aspetti riguardanti la vita delle donne nei processi migratori. Due anni fa c’è stato un tentativo di rimettere in discussione gli obiettivi e le caratteristiche dei consultori familiari e pediatrici, un discorso che interessa le donne immigrate come le native. Allora ci siamo dette che occorreva far rinascere un gruppo di donne italiane e straniere, che tornasse a ragionare e confrontarsi sul tema della salute, per progetti mirati all’insieme della popolazione.
Devo dire che, dagli anni di cui parlava Sara quando è iniziata la vita all’associazione, è cambiato molto il quadro dei paesi di provenienza dell’immigrazione. I paesi dell’Est, all’inizio poco presenti, oggi rappresentano i gruppi più numerosi; c’è stato un cambiamento fortissimo. Perciò, a partire dall’immigrazione femminile, siamo ripartite sul tema della salute, prendendo come riferimento l’orientamento dell’Organizzazione mondiale della sanità che parla non solo e non tanto di salute come interventi di servizi sanitari, o interventi riparativi, ma di “promozione salute”. Per il momento stiamo cercando di vedere se siamo sufficientemente motivate a incontrarci, a capire cosa vuol dire mettere in moto un meccanismo che veda le donne non solo come utenti dei servizi ma anche come loro promotrici. Da due mesi Sara Hanna ha assunto la responsabilità di coordinatrice. Hanno aderito al gruppo anche una mediatrice culturale libanese, che dall’epoca del primo progetto lavora al Sant’Anna e al Regina Margherita, e una psicologa che segue un gruppo di accompagnamento alla mediazione interculturale. In quest’ultimo anno e mezzo, attraverso il gruppo sono passate diverse persone. C’è anche un uomo, un mediatore culturale palestinese, che non fa parte dell’associazione ma partecipa.
Ciò che più soffrono le donne immigrate pare essere la mancanza di una rete di sostegno, assenza che può diventare drammatica quando si devono tenere assieme lavoro e cura dei figli. Potete raccontare?
Charifa Kbiri. Posso partire dalla mia esperienza, perché ho avuto tre bambini: due femmine e un maschio. Erano gli anni Novanta, con la prima bimba è andato tutto bene, era tutto facile, non lavoravo per cui la portavo sempre con me. E’ stata con me anche al corso che ho fatto all’associazione. Però, dopo la nascita del mio secondo figlio, visto che io sono qui da sola -certo, c’è anche mio marito ma intendo da sola nel senso che non c’è il resto della famiglia, non ci sono i nonni, gli zii- ho avuto problemi. Il secondo bambino è nato nel 1994, dopo che avevo cominciato a collaborare al consultorio familiare. Fra i principali problemi c’è stato il fatto che non ho trovato posto all’asilo nido, anche se lavoravo. Ho fatto domanda per un posto, ho portato i bambini da un’amica, da un’altra, ho preso una babysitter, ma non andava mai bene, continuavo ad avere problemi e penso che quello dell’affidamento dei figli durante il lavoro sia ancora uno dei principali problemi delle donne.
Devo dire, inoltre ...[continua]

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