Melandri. Io mi chiedo se queste elezioni siano veramente quel momento cruciale che tutti, anche Valerio, sembrano credere. Mi chiedo se questo insistere sul pericolo delle Leghe o sulla crisi della sinistra sia dovuto al fatto che tutto questo si è rivelato nella sua drammaticità solo con le elezioni o se, invece, queste vengano in qualche modo drammatizzate per trovare, magari inconsciamente, una ragione per partecipare ad un rito. Un rito che, in fondo, non ha più tanto significato, ma che alla gente piace perché così si sente protagonista. A me sembra che la situazione di oggi non sia meno grave di un anno fa: è già da un pezzo che le Leghe sono all’attacco, che il razzismo è sempre più diffuso e sfacciato, che la maggioranza della gente, soprattutto quella di sinistra, blatera spesso senza sapere quel che dice o vuole, che la sinistra è confusa.
La drammatizzazione elettoralistica, invece di farmi saltare sulla sedia, all’opposto mi fa sentire molto distaccato. Chi ci chiede di schierarci, soprattutto adesso perché ci sono le elezioni, in fondo si adegua al clima imperante; mi sembra che voglia la “linea” invece di cercare di capire. Noi, di fatto, ci siamo schierati più di una volta: del razzismo, dell’importanza della memoria, di quanto sia importante chiedersi che rapporto avere col diverso e chi sia il “diverso”, parliamo da sempre; è su queste tematiche che è nato il giornale. Quello che ci viene chiesto da varie parti è, in fondo, di schierarci per la squadra. Ma se a me della squadra in quanto tale non interessa nulla?
Fabbri. L’altro giorno incontro un vecchio amico che mi fa “cosa fai domenica?”. Un po’ perplesso, perché qualsiasi proposta mi sarebbe parsa oltremodo strana, gli dico che tornava mio figlio dalla gita scolastica e stavo con lui. L’altro mi fa, “no, cosa fai alle elezioni”. Ma a quel punto non c’era più bisogno di rispondere. Il più era stato detto.
C’è stato un periodo per noi, e lo è per molti anche adesso, in cui il risultato elettorale aveva un’influenza diretta sulla nostra vita, in questo senso: uno è impegnato in un partito e buon parte della sua vita è spesa a lavorare in quel partito; come va il voto lo influenza in maniera diretta, il giorno dopo avrà difficoltà con i colleghi o gli avversari; sarà più felice, più contento; tutta una serie di rapporti personali vengono influenzati dal voto, e così è stato per noi quando eravamo impegnati in politica, quando ci interessava il voto o la riuscita di una manifestazione. Questo per dire che a noi interessano ancora le elezioni, ma quasi per forza di inerzia, però non c’è quasi più attinenza con la nostra vita sociale: che la sinistra vada bene o vada peggio non ha influenza diretta sulla nostra giornata quotidiana, ciò nonostante, è una scadenza politica che ci troviamo a seguire con interesse e con tifo. La questione del tifo secondo me andrebbe esaminata, perché a me capita, per esempio, di guardare casualmente un avvenimento sportivo e di fare il tifo non fregandomene assolutamente niente dei concorrenti. Mi piacerebbe capire quanta parte c’è di questo tifo oggi, quanta inerzia dal passato e quanto bisogno, invece, di fare di nuovo i conti con la politica, quanto è razionale un atteggiamento nei confronti di una scadenza che comunque ha delle conseguenze sul piano politico. Rispetto a questo, uno ha detto che l’ha sentito dire tutte le volte che le elezioni erano le più importanti, ad ogni elezione. Ed è vero. Un altro però ha ribattuto: attenzione, perché “attenti al lupo, attenti al lupo”, ma poi il lupo arriva davvero. E anche questo è vero. Sono due cose vere, però non chiariscono il problema. Questo mi piacerebbe capire: quand’è che arriva il momento in cui a uno, se si considera cittadino della co ...[continua]
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