Porto Alegre, 1.3 milioni di abitanti, è la capitale dello stato del Rio Grande do Sul, il più meridionale del Brasile. Con la vittoria del Fronte popolare (una coalizione di sinistra che ha come elemento forte il Pt, il partito dei lavoratori) nelle elezioni del 1988, è iniziata una nuova esperienza amministrativa. Punto centrale è il cosiddetto bilancio partecipativo, un complesso metodo di democrazia partecipata, considerata un vero e proprio laboratorio politico non solo in Brasile, ma anche in tutta l’America latina. All’esperienza di Porto Alegre sono stati dedicati numerosi saggi, inchieste e articoli, pubblicati in vari paesi dell’America del Sud. Dal 1998 la sinistra è al governo anche nell’intero stato del Rio Grande do Sul (il cui governatore è l’ex sindaco di Porto Alegre, Olivio Dutra) e si sta tentando un’esperienza analoga, a livello più esteso. Il caso di Porto Alegre è segnalato anche nelle “Best Practices” dell’Onu. Oggi la città ha il più alto tasso di qualità della vita del Brasile, il reddito medio più elevato (circa 9 milioni di lire pro capite all’anno) e un tasso di analfabetismo del 7.19%, il più basso del Paese.
Porto Alegre ha ospitato dal 24 al 31 gennaio il Forum sociale mondiale, che ha raccolto oltre 15 mila rappresentanti di organizzazioni non governative provenienti da 120 Paesi, chiamati a ragionare sul tema: “Un altro mondo è possibile”.
Cezar Alvarez è assessore del Comune di Porto Alegre.

Che cos’è il bilancio partecipativo? Quando è nata l’esperienza?
Nel 1988, quando è andato al governo locale il raggruppamento di sinistra; sapevamo di entrare a far parte di un potere locale limitato, ma per la gente del popolo quel tipo di potere era un mistero. Era abituale per i partiti tradizionali fare scambio di consenso: tu mi dai il voto, io ti consegno un servizio. La mancanza di informazione e di trasparenza era un elemento centrale del vecchio tipo di governo. Il nostro era un partito di sinistra, nuovo, laico, non dogmatico; ci facevamo portatori di un’esigenza di trasparenza e di democrazia. Quindi era indispensabile per prima cosa aprire la “scatola nera” della pubblica amministrazione. Quali sono le entrate? Da dove derivano? Come si spendono i fondi? Tutte queste domande all’epoca restavano senza risposta. E’ vero, avevamo una visione assembleistica, un po’ sovietica forse, per decidere cosa fare. Comunque è stata molto dura, soprattutto all’inizio, perché di soldi a disposizione non ce n’erano e la gente nelle assemblee ci chiedeva tutto. Quindi è stato un lungo processo di apprendistato. Il senso era: scoprire come si organizza una città partendo dalle risorse disponibili e discutere poi come spendere i denari a disposizione. Ci è parso subito evidente che occorreva invertire le priorità. Storicamente sono i posti dove vive la grande borghesia e il commercio, il centro cittadino, ad attirare la gran parte delle provvidenze pubbliche; il primo punto diventò invece riorganizzare la sanità di base.
Oggi come funziona questo sistema?
Ci sono 16 assemblee popolari aperte, dove la gente elegge i delegati, che si riuniscono in un’ulteriore assemblea comunale. Da lì parte un consiglio, oggi sono 78 i componenti. Ma attenzione: non c’è una legge. Ogni anno si concertano le regole da capo, non è un processo lineare. Alle spalle abbiamo dodici anni di lavoro, con scontri anche molto aspri. Dal ‘98 la sinistra è al governo anche in tutto lo Stato del Rio Grande do Sul, e il sistema si è esteso a quel livello. Qui il discorso si fa un po’ più complesso, perché se è vero che ci sono sempre le assemblee dirette, ai vari livelli intervengono sempre anche le istituzioni.
Cinque anni fa ci siamo resi conto che l’aver diviso il territorio comunale in 16 assemblee aveva fatto emergere un po’ troppo il fattore localistico; ci sembrava opportuno che il confronto prendesse in esame anche temi più generali. Sono state lanciate allora cinque assemblee tematiche: urbanizzazione; sviluppo locale; cultura; sanità e assistenza sociale; lavoro. Questo metteva insieme sia la gente dei quartieri più poveri, sia chi operava all’Università o nei servizi. Le assemblee sono così diventate 21. Ogni anno si riparte partendo dai mezzi a disposizione. Esempio: c’è un miliardo? Bene, vediamo allora quali sono le priorità e votiamo. Alla questione ritenuta più importante dalla gente si danno 5 punti, alla seconda 4 e così via.
Può fare un esempio pratico?
In dodici anni abbiamo investito ...[continua]

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