Tu vedi il passaggio del congresso del Pd come un momento decisivo per capire cosa potrà succedere nei prossimi mesi nel panorama politico più generale…
Nel congresso del Pd si confrontano due modi di riproporre un’alternativa al centrodestra dominante: da questa scelta congressuale del Pd dipenderanno le fortune dei partiti d’opinione (di estrema sinistra, di centro e ispirati al giustizialismo) che cresceranno o caleranno secondo le fortune del partito maggiore.
Alla base delle due posizioni vi è una interpretazione errata e di comodo, che entrambe le parti in conflitto, nel Pd, hanno interesse a mantenere e cioè che i guai elettorali del Pd sono stati originati dagli errori tattici e di comunicazione di Veltroni, a partire dall’idea sciagurata di allearsi con Di Pietro.
Non lo dice nessuno, per non perdere il congresso, ma la sconfitta deriva invece dall’irrealizzabilità del sogno che Veltroni ha proposto: tenere assieme, in un’unica e unitaria forza politica, i riformismi socialisti, laici e cattolici. Per superare le ovvie perplessità di coloro, nei Ds e nella Margherita, che ritenevano la cosa impossibile e comunque inopportuna, egli ha promosso le primarie e il popolo delle primarie ha risposto con passione alla crociata antiberlusconiana, dove tutti stanno assieme, dandogli il mandato a realizzare quella che è un’utopia.
Solo una forte sconfitta elettorale poteva allora convincere il popolo delle primarie a una marcia indietro, e le dimissioni improvvise di Veltroni e la successione dell’incolore Franceschini erano la premessa per questa auspicata sconfitta. Che però, nonostante le liste prive di tutti i big, impegnati a perdere più che a vincere, è stata meno disastrosa del previsto. Cosicché oggi le due parti (anche quella che la pensava all’opposto) devono far finta di credere al disegno originario di Veltroni per non risultare impopolari fra le file dei democratici.
Parli di due parti e quindi di due tesi a confronto. Puoi spiegare chi appartiene a tuo giudizio alle due parti?
Da un lato c’è chi, sia di parte cattolica che di parte diessina, costruisce il consenso sul lavoro nelle sezioni, nelle piazze, sui luoghi di lavoro, nell’associazionismo, cercando con la realtà del Paese un dialogo non emotivo e superficiale, ma denso di contenuti e di concretezza. Costoro sono ben rappresentati da Bersani, sia per le sue qualità personali, sia per la sua esperienza di governo delle cose.
Dall’altro lato restano quelli che pensano che si possa costruire un consenso duraturo e vincente sulle emozioni e sul dato della differenza etica dall’avversario, cioè la linea politica che continua a portare alla sconfitta la sinistra italiana da quando per l’Italia esistono le condizioni internazionali perché la sinistra possa andare al governo.
Vincerà Bersani ed eviteremo così di trovarci nel 2013 davanti all’alternativa fra Berlusconi e Di Pietro, ma sarà difficile per lui guidare un partito nato su un’idea diversa da quella che lui condivide.
Alla vittoria di Bersani potrebbe seguire comunque una fase di rapporti più stabili e costruttivi a sinistra e una perdita di consensi nel mondo cattolico a favore del centro rappresentato dall’Udc. L’Udc, che già ha visto mutare la natura del suo elettorato al momento dell’uscita dal centrodestra, riceverà un’ulteriore spinta a crescere e, contemporaneamente, a guardare verso il centrosinistra. Dalla scelta che farà l’Udc, verso l’alleanza con uno dei due schieramenti maggiori o, al contrario, nella costruzione di un’alternativa autonoma di centro, si giocherà il futuro del sistema politico italiano.
Secondo te, il sistema non è ancora stabilizzato. Tu in effetti già in passato denunciavi la mancanza di una riflessione sul sistema politico italiano.
Siamo passati da un proporzionalismo rigoroso a varie forme di maggioritario (per collegi, per liste e coalizioni, con premi e con sbarramenti), sulla base di un input derivante dai primi referendum di Mario Segni. Tutte le variazioni di sistema elettorale che si sono introdotte dal ’90 in poi sono state la risposta all’evidente inadeguatezza dei successivi risultati prodottisi, una volta sconvolto il sistema sul quale si era retta l’Italia per 45 anni circa.
La semplicistica premessa era la seguente: i governi del proporzionale hanno vita breve e forza ridotta, i governi del maggioritario sono invece stabili e ...[continua]
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