Professor Ranchetti, vorrei cominciare dall’inizio e chiederle se ricorda come lei e don Pierre vi siete conosciuti.
Non ricordo bene come e quando ci siamo conosciuti, ricordo che questo incontro mi fu suggerito da padre Riboldi che me ne aveva parlato come di un giovane che valeva la pena di conoscere. Non ricordo con precisione l’anno, ma era certo subito dopo la guerra. A Milano io ero in contatto con padre Riboldi, perché egli conosceva un amico comune anche di Pierre che si chiamava Filippo Ponti, morto poi tragicamente in un incidente d’auto. Padre Riboldi teneva allora delle conversazioni in alcune case milanesi, parlando soprattutto di cristianesimo e spiritualità in modo straordinariamente efficace. Lì incontrai questo giovane, quasi mio coetaneo, e diventammo amici. Assieme abbiamo anche fatto qualcosa che per me ha avuto una rilevanza straordinaria, cioè la lettura del testo di filosofia che lui mi portò, che era il Trattato di Wittgenstein. Io non sapevo nulla dell’esistenza di questo filosofo e grazie a Pierre cominciai a leggerlo e a cercare di capirlo, cosa che non è avvenuta in realtà, in quanto la mia conoscenza filosofica è sempre rimasta molto parziale, dato che non ho nessuna disponibilità al pensiero speculativo. Però la figura di Wittgenstein, che era stata molto importante anche per Pierre, è diventata centrale nel mio universo conoscitivo e morale; divenni sempre più seguace di questo filosofo per me immaginario.
Così con Pierre diventammo amici. Era allora presente alla nostra amicizia una figura femminile molto importante, Franca Magistretti, in religione suor Agnese. Ero molto amico di Franca e con lei avevamo fatto anche qualche attività comune, come l’insegnamento nella scuola popolare da noi fondata in via dei Cinquecento che era un albergo degli sfrattati, lì insieme inventammo una scuola per i ragazzi. Andavamo a insegnare la sera, portando la candela per illuminare le stanze devastate. Eravamo molto amici. Poi Franca conobbe Dossetti e questo determinò una svolta radicale nella sua vita. Divenne una seguace e un’amica di Dossetti -una specie di Santa Chiara rispetto a San Francesco. Pur non seguendola in questa sua attività rimase una specie di solidarietà affettiva e religiosa tra me, Franca, Dossetti sullo sfondo e Pierre.
Pierre era venuto da me anche perché voleva informarsi della filosofia che si praticava in Italia e della storia della filosofia che si studiava, una filosofia, in particolare quella dello storicismo, del tutto diversa da quella che lui aveva appreso dall’insegnamento diretto di Wittgenstein. Io gli diedi qualche suggerimento e mi pare che lo mandai a parlare con una figura per me molto significativa, che era professore di filosofia e si chiamava Umberto Segre, non molto noto purtroppo, il quale dovette praticare più il giornalismo che la filosofia anche se ha insegnato all’università di Trento e di Milano. Mi pare di ricordare che indirizzai Pierre da lui e che Pierre ne ebbe un’impressione favorevole, e non poteva essere altrimenti, ma non favorevole alla cultura filosofica dello storicismo italiano e anche a un modo di fare filosofia totalmente diverso, estraneo e forse anche un po’ ostico.
Come poi si sia passati da questo alla sua conversione non ho alcuna idea, non ho alcun elemento. Come si sia strutturata la persuasione in lui di accedere al battesimo, ai sacramenti e poi di fare di questo accesso privilegiato alla verità di fede la pratica della sua esistenza non lo so. Mi ricordo solo di aver saputo di questa sua decisione, e di averla evidentemente salutata con rispetto. Non so se l’ho condivisa, nel senso che non potevo condividere altro che con il rispetto una decisione che riguardava solo lui e le ragioni più profonde di lui. Poi ricordo un intervallo in cui non ci siamo ...[continua]
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