Sei una studiosa e un’appassionata della lingua e cultura yiddish. Puoi parlarcene?
Per me è molto importante iniziare col dire che lo yiddish è una lingua europea, così come va considerata una lingua europea l’ebraico moderno, almeno fino alla nascita dello stato di Israele.
Provo sempre un po’ di dispiacere quando mi accorgo che tra i vari volumi di letteratura comparata ci sono quella francese, tedesca, inglese, ma regolarmente mancano la letteratura ebraica e quella yiddish, che invece sono profondamente europee.
A partire dal Dopoguerra c’è stato un tentativo di trasformare la letteratura yiddish in una lingua come tutte le altre, che potesse essere studiata a livello accademico. Ma ne siamo ancora lontani, infatti sia in Israele che in Italia spesso mi capita di sentirmi chiedere: "Ah! Studi yiddish! Ma come mai? Cosa? Si studia yiddish in Università?”.
Certo siete in pochi a studiare yiddish…
E’ vero. D’altra parte ormai tutti pensano allo yiddish come alla lingua delle barzellette, o alla lingua della Shoah, perché era la lingua parlata da molti di quelli che perirono nei campi di concentramento. Ma lo yiddish non è solo questo, è molto di più.
Lo yiddish è una lingua che ha circa mille anni, e quindi vanta una letteratura molto ricca. Le prime attestazioni risalgono al dodicesimo secolo, come tante altre lingue di cui abbiamo recuperato le prime testimonianze scritte nel Medioevo. Esiste anche un bellissimo manoscritto trovato al Cairo, in una ghenizà. La ghenizà è una sorta di stanzino di solito posto in una sinagoga o adiacente ad una sinagoga, dove vengono posti tutti i libri ebraici in qualche modo difettosi, con delle lettere cancellate o con delle pagine mancanti, ma che in quanto scritti in caratteri ebraici, potevano contenere il Nome divino, e quindi non potevano essere buttati, dovevano essere conservati anche se non potevano essere usati. E’ un precetto che viene osservato anche oggi, ed è importante perché grazie ad esso si sono conservati testi che altrimenti sarebbero andati perduti.
Ebbene, in un’antica sinagoga del Cairo, nel XIX secolo hanno trovato questo enorme tesoro di manoscritti, appartenenti a tanti secoli e a tante lingue, costituito da testi filosofici, contratti di mercanti e altro ancora. Ma soprattutto hanno scoperto molto materiale in yiddish e, in particolare, un importante manoscritto che chiamiamo "manoscritto di Cambridge”, dal luogo in cui è conservato, datato 1382. In questo manoscritto ci sono diversi testi, appartenenti a vari generi letterari. Questo testimonia l’esistenza già all’epoca di una letteratura vera e propria.
Di solito, quando parliamo di yiddish, pensiamo innanzitutto alla lingua parlata nel XIX e nel XX secolo a Varsavia, a Odessa o in qualche shtetl in Europa orientale, ma in realtà -questo per lo più non lo sa neanche chi parla yiddish- si tratta di una lingua e di una letteratura molto più antica. Lo yiddish è stato parlato anche in Italia per circa due secoli, durante il Rinascimento.
In quello stesso periodo gli ebrei ashkenaziti parlavano, scrivevano e stampavano in yiddish, e produssero una letteratura molto interessante, di cui si sa poco, o pochissimo, ma sulla quale ci sarebbe invece tantissimo da dire.
Eppure la percezione dominante resta quella di uno yiddish che comincia nel XIX secolo. Non solo: anche tra chi ha lo yiddish come madrelingua, che viva in Israele o in altre parti del mondo, è diffusa la convinzione che lo yiddish sia fondamentalmente una lingua parlata, una sottolingua, la lingua della comunicazione personale, non una lingua "di cultura”. La cultura parla tedesco, russo, ebraico, inglese, ma non yiddish.
In realtà, nel XX secolo esistevano delle scuole in cui si ...[continua]
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