Vorremmo parlare con te del dibattito che si è aperto sull’uso delle lavagne interattive multimediali, le Lim, e in generale di computer e tablet in classe...
Ci tengo a premettere che io non ho competenze specifiche di multimedialità, sono un’autodidatta totale, una cosiddetta "migrante digitale”, per di più anche un po’ goffa. Sono arrivata a questa riflessione anche grazie a un percorso di ricerca sul curricolo per competenze in atto nel mio Istituto. La didattica per competenze costringe a un approccio all’insegnamento che sposta il fuoco dalle conoscenze alle abilità. Ma, soprattutto, mi sono imbattuta in questa tematica proprio confrontandomi con i bambini della mia classe.
Io insegno alle elementari. Per diversi anni non ho avuto i piccolini, tendenzialmente li prendevo dalla terza e li portavo in quinta. Invece tre anni fa mi è arrivata questa prima di venti bimbi e sono andata in crisi: non riconoscevo nel loro modo di fare molti degli elementi che nel mio immaginario dovevano corrispondere a quello che un bambino fa quando apprende. Io insegno dal ’78, con una pausa di attività sindacale, quindi da molti anni. La mia storia professionale inoltre è stata segnata dall’aver insegnato per molti anni nel tempo pieno, dall’appartenenza alla Cgil scuola e al Movimento di cooperazione educativa; tutte esperienze che mi hanno aiutato a maturare un approccio alla professione molto attento alla didattica partecipativa, a un approccio non trasmissivo del sapere, ecc.
Tutto questo armamentario però non mi è bastato per affrontare quello che mi sono vista succedere davanti. Il primo dato è che mi sono trovata davanti venti bambini che non sanno ascoltare. Gli esperti dicono che questa è una delle caratteristiche tipiche dei bambini nati nell’era digitale. Scherzando, all’inizio dicevo: "Le orecchie sono rimaste nella pancia della mamma”. Non poter più contare sull’ascolto, sul dialogo, come attività intrinseche della didattica, mi ha molto messa in crisi. Un po’ per curiosità, un po’ per necessità, ho cercato di capirne di più. Se uno fa questo mestiere non può non tener conto che chi ha davanti è profondamente cambiato. Quindi il limite nella capacità di ascolto è il primo indicatore del cambiamento radicale avvenuto nel modo di apprendere. Il secondo elemento -una cosa molto vera, che ho sperimentato- è che questi bambini imparano molto l’uno dall’altro, quasi per contaminazione. Oggi non devi più fare un percorso intenzionale per costruire il gruppo perché loro, forse per via dei videogiochi, sono già abituati allo scambio, a far conto l’uno sull’altro, alla collaborazione e, anche il più fragile, quello che di solito rimaneva indietro, viene coinvolto. Si tratta proprio di un atteggiamento spontaneo e questa, secondo me, è una cosa importante. Nella mia classe i gruppi si formano ogni due settimane; sono gruppi liberi perché si impara dalle persone con cui si sta bene; l’unico vincolo è che si mescolino un po’ maschi e femmine. Già solo quattro-cinque anni fa non era così. Loro sono proprio connessi, interconnessi, sono abituati a scambiare tutto e questa mi sembra una bella novità.
Tu usi il computer in classe?
In classe abbiamo un solo un computer vinto a un concorso molti anni fa e nel mio plesso non c’è un’aula di informatica che possa dirsi tale. Fin dalla prima li ho dunque portati nell’aula multimediale delle medie, prima una volta al mese, poi ogni quindici giorni per abituarli un po’. Loro acquisiscono velocemente una certa manualità e rilevo che a casa non hanno una frequenza al computer importante; non sono bambini che stanno ore davanti al monitor.
Abbiamo fatto quindi un piccolo percorso di familiarizzazione, per cui adesso sanno usare Word, hanno tutti un indirizzo e-mail e i compiti me li spediscono per mail o, in alternativa, li salvano sulla pennetta e poi li scarichiamo sul pc in classe. Sempre sulla pennetta poi si salvano materiali che utilizzo per affrontare questo o quell’argomento. Ho fatto un lavoro sui verbi utilizzando, su suggerimento di una collega "La Fiera dell’Est” di Branduardi, e poi ho fatto loro ascoltare "Il cielo d’Irlanda” di Bubola per le metafore; avevo trovato dei video interessanti e divertenti e allora se li sono voluti portare a casa. Non è un’attività ossessiva: occorre anche molto rispettare il loro percorso. Ad esempio c’è un tempo definito per spedirmi il testo corretto, chi ha piacere e ...[continua]
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