Nel 1950 l’Unrra (United Nations Relief and Rehabilitation Admistration) ha avuto i fondi del Piano Marshall da cui è seguita la nomina dei due rappresentanti americani in consiglio di amministrazione: Adriano Olivetti e Guido Nadzo, funzionario dell’ambasciata americana, un simpatico signore che aveva fatto l’attore a Broadway e l’obiettore di coscienza. Da qui probabilmente nasce il suo ruolo nell’Unrra come seguito dell’impegno di guerra con compiti come distribuire le coperte. Il governo italiano aveva ereditato l’Unrra-Casas (Casas significa Comitato amministrativo soccorso ai senza tetto), eredità che consisteva in una flotta di autocarri. Questo era il patrimonio dell’ente con una burocrazia "romana”, fatta di colonnelli scappati dopo l’8 settembre e che si erano imbucati. Non avendo più coperte e latte in polvere da distribuire, hanno cominciato a utilizzare gli autocarri per trasportare materiale edile a chi voleva ricostruirsi la casa da solo, in particolare nelle zone isolate del Mezzogiorno più disastrato. Dal materiale edile sono passati a costruire casette standard, neanche male. Usavano come ufficio tecnico una parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche che stava pubblicando il Manuale dell’architetto.
Dato che stavano nascendo altre iniziative, la principale era la Riforma agraria, ma anche il Piano Fanfani Ina-casa e i progetti delle grandi infrastrutture, Olivetti pensò, coerente con i principi comunitari, che una parte degli investimenti dell’Unrra-Casas fosse destinata a progetti da coordinare a monte. Un programma unico di tutti i vari interventi sulle aree territoriali definite, in modo da costituire quella che immaginava essere una comunità. Per far questo fece costituire all’ente un centro studi. Il centro studi doveva agire, per volere di Olivetti, al di fuori della burocrazia romana e aveva un capitolato di due articoli. Chi partecipava doveva: 1) aver fatto il partigiano; 2) aver studiato al Politecnico di Milano e di Torino. Olivetti si rivolse ad Albini e a Belgiojoso, che avevano lavorato con lui al Piano regolatore della Valle d’Aosta e ad altre iniziative, per avere un nome e loro indicarono il mio.
Olivetti mi convocò a Roma e mi raccontò il progetto del centro studi. Io rimasi di sasso. Olivetti aveva modi quasi timidi, sembrava un po’ impacciato. Guardava uno dritto negli occhi e, anche per il prestigio di cui già godeva, la conversazione era impegnativa. Quando mi spiegò il progetto, chiedendomi di metter su e dirigere il centro studi, la mia prima reazione fu: "Ingegnere, io non ho mai fatto niente di simile. Non so da che parte cominciare. Ho studiato urbanistica al Politecnico di Milano, ma questa è pianificazione territoriale”. La sua risposta fu: "Perfetto. È proprio quello che voglio.
Gli unici in Italia ad aver fatto pianificazione territoriale sono i fascisti dell’Ente di colonizzazione della Cirenaica e quello è il tipo di persona che io non voglio nel Centro studi”. Si fece portare un mucchio di libri alto così, me li mise in mano e mi disse: "Si legga questi libri e torni tra un mese per dirmi se accetta”. Erano tutti libri sul New Deal di Roosevelt e, in particolare, sulla Tennessee Valley Authority. Andai a casa a studiare per l’esame di Olivetti. Alla fine, cosciente di fare un gesto temerario, a cui però non mi sentivo di rinunciare, accettai. Nel frattempo aveva assunto quattro persone. Tre corrispondevano al suo capitolato: giovani ingegneri del Politecnico di Torino: Sepe, Noto e Martoglio, quello che ebbe poi il compito più importante. Il quarto, irregolarmente, era Paolo Volponi. Io nel frattempo avevo individuato le zone d’intervento: la Calabria del profondo latifondo con base a Crotone e a Cutro, Matera, anche perché c’era stato Cristo fermato a Eboli e lo scandalo dei Sassi.
Quindi è lei a fare per primo il nome di Matera?
Direi insieme a Olivetti e al suo b ...[continua]
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