Sembra che le democrazie parlamentari siano in crisi, che non siano più adeguate ai compiti dell’oggi.
La sfiducia nella democrazia parlamentare non è una novità e ritorna periodicamente.
Lo si vede oggi in Italia, un paese che è un permanente laboratorio, dove tutto quello che succede in Europa è anticipato e ingigantito: una reazione di scetticismo e quasi fastidio per i sistemi parlamentari spesso denotati con disprezzo come "democrazie assemblearistiche”; lo scopo è di avviare una ristrutturazione del sistema istituzionale in senso apicale, esecutivista. Le critiche alla democrazia parlamentare sono nate con essa, a partire dal Settecento. Ricordiamo che la democrazia rappresentativa ha fondato la legittimità del sistema decisionale sul consenso per via elettorale e sulla centralità dell’assemblea rappresentativa (il bicameralismo è stato adottato a preventiva correzione dei rischi di maggioritarismo) la quale si pensava dovesse filtrare gli interessi e le idee della società per rappresentarli nelle istituzioni e formare una maggioranza. La lotta per estendere e contenere la partecipazione, a partire dal Settecento, si è svolta sul terreno del suffragio e della rappresentanza, ovvero del Parlamento e anche oggi torna a fondarsi sul rapporto tra esecutivo o legislativo, poiché nella democrazia parlamentare il primo è espressione (e quindi dipendente) del secondo. Ora, in un sistema che si basa sul consenso elettorale, la lotta sul suffragio (la sua estensione, ma anche l’intensità rappresentativa e la rispondenza del sistema elettorale rispetto al pluralismo delle opinioni e degli interessi) è al centro della politica democratica. Dalla rivoluzione parigina del 1830 in poi, abbiamo assistito a periodiche rivoluzioni o rivolte per l’estensione del suffragio (memorabile quella inglese del 1832) e contro i vari tentativi di limitarlo fondandolo per esempio sulla proprietà o sull’alfabetizzazione. Infine, una volta ottenuto il suffragio universale, le dispute si sono spostate sulle forme della rappresentanza, sul problema se si vota per formare una maggioranza o anche per essere rappresentati.
Diciamo che è possibile fare la storia europea di duecentocinquant’anni di democratizzazione considerando i destini che il Parlamento, o le democrazie parlamentari, hanno registrato.
L’ultimo grande attacco al sistema parlamentare è avvenuto col fascismo…
Mussolini disprezzava il Parlamento (lo chiamava bivacco) così come gli autoritari che in quegli anni in altri paesi europei (la Germania in primo luogo) accusavano il governo liberale di fare dello Stato un luogo di trattativa e di mediazione. Né Mussolini né i suoi contemporanei autoritari volevano eliminare il Parlamento tuttavia. Ciò che volevano era invece trasformarlo in un’assemblea-megafono del leader, una cassa di risonanza plebiscitaria del capo dell’esecutivo. Per far questo, i fascisti trasformarono la rappresentanza da individuale (o dei cittadini) a corporativa. Il Parlamento divenne il luogo delle corporazioni, non più arena di lotta tra maggioranza e opposizione e anche di trattativa tra partiti per determinare la maggioranza su una legge o una proposta; diventò invece la sede di rappresentanza degli interessi corporativi (agrari, artigiani, industriali, burocratici), il luogo dove i conflitti erano ricomposti e la società partecipava al governo politico con armonica e indotta unanimità. La propaganda faceva il resto: mobilitava i sudditi illudendoli di essere i veri protagonisti della politica, senza più distinzioni ideologiche e politiche.
La nazione-una, fatta di corporazioni e con un leader che tutti univa e rappresentava. La "massa” era il popolo sovrano, non i cittadini con diritto di voto, liberi, nella segretezza dell’urna, di scegliere chi eleggere. Il fascismo trasformò il voto in plebiscito e il parlamento in sede delle corporazioni sociali. Rese così l’esecutivo libero da lacci e controlli della rappresentanza politica.
La rinascita della democrazia dopo la Seconda guerra mondiale ristabilì e riorganizzò la democrazia parlamentare, questa volta su una base sicura di suffragio universale, libertà di associazione e opinione, ovvero pluralismo partitico: il suffragio divenne finalmente un diritto fondamentale, dissoci ...[continua]
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