Raymond Veriter, belga, psicologo specializzato nella gestione delle risorse umane, è stato per vent’anni presidente dell’associazione "Sos Jeunes”. Vive a Bruxelles.

Puoi parlare dell’associazione "Sos Jeunes”?
Credo sia importante spiegare che il movimento associativo in Belgio riveste un ruolo importante, non solo perché copre molti bisogni della società, ma perché in esso ritroviamo tutte le varianti e le sensibilità della società, anche dal punto di vista linguistico. Nell’ambito delle associazioni che operano con i giovani, ci sono due grandi aree, c’è quella definita mandaté, che si occupa dei ragazzi che sono passati per la giustizia, i cosiddetti "ragazzi dei procuratori” perché hanno fatto qualche stupidaggine,  o perché sono stati tolti alle famiglie per varie ragioni. Quest’area è organizzata a livello statale. Tutta l’area che riguarda invece i giovani che non hanno problemi con la giustizia è lasciata invece all’iniziativa delle varie associazioni, su richiesta dei genitori o dei giovani stessi. "Sos Jeunes” fa parte di questa seconda area. L’associazione è nata quarant’anni fa grazie a un prete e a un gruppo di ragazzi della borghesia che, volendo fare qualcosa per i giovani di Bruxelles in difficoltà, si sono rivolti al Rotary per un finanziamento. Questa origine è ancora presente nel dna, nello spirito dell’organizzazione. Io non facevo parte di quest’ambiente, ma mi sono trovato a condividerne la missione. Nata per aiutare i ragazzi in condizione di bisogno, l’attività si è poi allargata all’aiuto ai genitori e all’accoglienza dei giovani, con una riflessione sui problemi della gioventù in ambiente urbano, a cui sono seguite anche proposte alle istituzioni.
In particolare, "Sos Jeunes” è stata riconosciuta come associazione che offre assistenza ventiquattrore su ventiquattro, quindi anche in situazioni di emergenza, accogliendo e dando un alloggio per qualche notte ai giovani che vivono per strada. Oggi ci lavorano ventisei persone, anche se non tutte a tempo pieno.
Quali attività svolge l’associazione?
Il lavoro di base è rimasto l’aiuto, l’accoglienza e un’attività di consulenza per aiutare i giovani a rimettersi in piedi (abbiamo creato anche un servizio "fughe”, lavorando con i ragazzi sul che fare, cosa dire ai genitori). Nel frattempo è nato "Prospectives Jeunes”, una sezione che a partire dagli anni Settanta ha iniziato a lavorare sul problema delle droghe e sulla prevenzione e che poi è diventata un’associazione autonoma.
Devo dire che per noi, alla fine, l’obiettivo più importante è forse quello di restituire ai giovani la fiducia sul proprio futuro. Voglio raccontare un aneddoto; una delle figure apicali dell’associazione faceva il subacqueo. A un certo punto ha proposto pure ai giovani che frequentavano "Sos Jeunes” di cimentarsi. È così riuscito a coinvolgerli: alcuni hanno preso il brevetto, anche per il salvataggio; qualcuno è diventato perfino istruttore.
La cosa curiosa è che questo direttore, a un certo punto, ha spiegato ai giovani che nel momento del primo soccorso dovevano dire: "Sono un soccorritore e vengo ad aiutarti”. Hanno dunque provato con un manichino. Erano tutti ragazzi di origine straniera. Ebbene, il primo si è rifiutato, poi è arrivato il secondo che l’ha sussurrato appena! Insomma, ci siamo resi conto che questi ragazzi non riuscivano a dire "io sono qualcuno...”; non osavano affermarsi come qualcuno che sta facendo qualcosa di utile, talmente questo era contrario all’immagine che avevano di se stessi. Questo ci ha fatto molto pensare.
Poi un giorno si è presentata una donna che ha detto che li avevi visti nuotare bene e ha chiesto loro un aiuto per la sua associazione di giovani handicappati: i suoi ragazzi, per nuotare, avevano bisogno del supporto di almeno due persone. I giovani sono corsi dal direttore e hanno detto: "È venuta una ‘belga’ (ma sono belgi pure loro!) e ci ha detto che aveva bisogno di noi!”. Non credevano alle loro orecchie.
A quel punto abbiamo capito che la nostra azione era troppo limitata e che dovevamo offrire  qualcos’altro, una prospettiva di più lungo termine, ma soprattutto dovevamo trovare il modo di restituire loro la fierezza di essere quello che sono.
Così è nato "Solidarcité”: di cosa si tratta?
Si tratta di un servizio civile volontario che dura un anno; per un anno i giovani che hanno abbandonato la scuola hanno la possibilità di lavorare su tre assi: un servizio alla società  (accom ...[continua]

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