Paolo Feltrin, già docente di Analisi delle politiche pubbliche all’Università di Trieste, ha insegnato presso le Università di Firenze e Catania e presso la Scuola superiore di pubblica amministrazione di Roma. È coordinatore dell’Osservatorio elettorale della Regione Veneto.

Dicevi che vuoi fare una premessa...
Sì, voglio dire che quello che dirò riguarda la prima ondata del Covid e le sue risposte politico-istituzionali che, come sappiamo, sono state nel nostro paese molto più efficaci rispetto ad altre parti del mondo. Ora siamo nel mezzo della seconda ondata, nelle sue dimensioni in parte inattesa e imprevedibile. Proprio per questo è urgente una maggiore consapevolezza delle ragioni del successo nell’azione collettiva di fronteggiamento al Covid nei primi sei mesi del 2020, non fosse altro per evitare che la dea fortuna ci abbandoni e le risposte diventino oggi, nella seconda ondata, casuali, inefficaci e improduttive. Tutta la mia analisi riguarda il ‘metodo di governo’ anche perché, sotto molti profili, il ‘come’ si fanno le cose è la questione decisiva, in particolare nei momenti di crisi acuta, quando ci si trova in situazioni di emergenza.
Da fine febbraio, inizio marzo il nostro paese è entrato in un terreno inesplorato, per descrivere il quale si è spesso fatto ricorso all’espressione “stato di eccezione” o “stato di emergenza”. Di cosa si tratta?
In effetti, lo stato di eccezione, che sembrava una categoria del passato, una cosa morta e sepolta nei libri di storia romana (i commissari...) è tornato prepotentemente sulla scena.
Il primo punto da mettere in evindenza è che nella storia ci sono eventi imprevisti e imprevedibili. Si tratta di un fatto che quasi d’istinto tendiamo a sottostimare, preferendo al suo posto un’idea della storia come un susseguirsi di progressi continui, lineari, sospinti dalle “magnifiche e progressive sorti” su cui irride Leopardi quando scrive “La ginestra”. Invece la storia, per così dire, va su e giù, è priva di una qualche direzione lineare. Peraltro noi lo abbiamo già visto accadere tre o quattro volte in questi ultimi dieci anni: nel 2008-2011 con gli effetti della crisi finanziaria; poi con l’avanzata prima e la parziale ritirata, dopo l’elezione di Trump nel 2016, della globalizzazione; adesso con la pandemia.
Nel caso dell’epidemia, del tutto casualmente, l’Italia è stato il primo paese occidentale a esserne colpito e al momento sembra essere quello che l’ha affrontata meglio. Tanto che, dopo le iniziali derisioni, abbiamo ricevuto riconoscimenti da parte di tutto il mondo. Riconoscimenti fondati su un’evidenza empirica: l’Italia, che era il primo paese per morti per milione di abitanti, oggi, mentre parliamo, è sceso al tredicesimo posto.
La prima domanda allora è: come mai l’Italia ce l’ha fatta, tra lo stupore generale degli osservatori internazionali? Tra parentesi: è curioso osservare come l’Italia dia sempre il meglio di sé nelle situazioni tragiche e nelle emergenze. Noi non sappiamo bene quale sia stato il processo decisionale che ha portato alla scelta dello strumento dei Dpcm e al blocco totale dell’8-9 marzo, saranno gli storici a ricostruire il percorso. Alcune cose però possiamo già dirle.
La prima: Conte, uno che non aveva mai fatto il consigliere comunale, il consigliere regionale, che non era mai stato in Parlamento, quindi il classico “uomo della strada”, a un certo punto ha preso una decisione che avrebbe potuto far gridare al colpo di Stato! Adesso esagero, ma se nelle settimane successive al 9 marzo l’infezione da Covid-19 fosse risultata una banale influenza, Conte sarebbe finito al Tribunale dei ministri e infine cacciato in esilio con ignominia! Con un Dpcm si sono infatti sospese quasi tutte le libertà della prima parte della Costituzione: la libertà di movimento, di riunione, per non parlare del rinvio delle elezioni di assemblee legislative scadute. Il tutto con la blanda copertura di un Decreto legge di fine gennaio e degli indirizzi dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Qui una riflessione da proporre è che spesso gli uomini di governo si vedono alla prova. Ognuno ha il suo tetto. Ecco, Conte sembra avere un tetto molto alto. Ovviamente ha contato anche la fortuna: se ci fosse stato un incapace o anche solo uno dubbioso che tardava a prendere decisioni... Pensiamo a com’è andata all’America di Trump o all’Inghilterra di Boris Johnson. Nei momenti eccezionali la fortuna conta, parlo della fortuna latina, un ...[continua]

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