Jeffrey C. Isaac è James H. Rudy Professor di Scienza Politica all’Università dell’Indiana, Bloomington. È autore di numerosi libri e articoli, tra cui Arendt, Camus, and Modern Rebellion (Yale University Press), Democracy in Dark Times (Cornell University Press) e #AgainstTrump: Notes from Year One (Or Books). È co-coordinatore e collaboratore del centro di studi Democracy Seminar e da tempo collabora con la rivista “Dissent”. Cura un blog dal titolo “Democracy in Dark Times” (jeffreycisaacdesign.wordpress.com).

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha visto aprirsi una spaccatura all’interno della sinistra in tutto il mondo. Cosa pensi di quanto sta accadendo?
Ne sono sconvolto, si tratta sicuramente di un’invasione ingiusta e brutale. Ho un legame diretto con quel paese, dato che la mia nonna materna era ucraina, emigrata negli Stati Uniti dalla città di Cherkasy nel 1914. Ho amici ucraini, amici nell’est Europa, specialmente in Romania, che sento come la mia seconda casa, per cui sto prestando molta attenzione al conflitto, per motivi personali ma certamente anche perché sono uno scienziato politico, oltre che un essere umano. Ritengo che questa guerra rappresenti un’indicibile devastazione e che ciò che l’Ucraina è costretta a subire sia un atto criminale. C’è anche molto da temere riguardo le future implicazioni, il rischio di un’ulteriore escalation che porti il conflitto anche al di là dell’Ucraina. Credo sia davvero importante che Stati Uniti e Nato continuino a sostenere il governo ucraino, costretto a resistere all’invasione, e però sono anche convinto che vadano operate scelte caratterizzate da un certo grado di moderazione. Per esempio, non sono favorevole all’imposizione di una no-fly zone sul paese, né ad altre forme di intervento diretto che potrebbero trascinare Stati Uniti e Nato in uno scontro frontale con la Russia, cosa estremamente pericolosa per la possibilità di una guerra nucleare.
Comunque, ci sono tutti i motivi di ritenere che si andrà a negoziati, ma attualmente Putin sembra interessato solo a infliggere distruzione e questo richiede una resistenza militare. Se però nel momento in cui Putin accettasse un cessate-il-fuoco rivendicando magari di poter restare in qualche modo nel Donbass, Zelensky continuasse a dire che “l’Ucraina deve lottare fino alla morte”, beh, credo che penseremmo che abbia perso il senno. Zelensky alla fine potrebbe vedersi costretto a compiere scelte davvero difficili. Ma ora non siamo ancora a questo punto.
Oggi Putin non gli sta lasciando altra scelta se non quella di resistere alla distruzione e all’occupazione del suo paese, oltre che alla decapitazione della  democrazia liberale ucraina, per quanto imperfetta e fragile.
Zelensky sembra auspicare una reazione più forte da parte occidentale. Cosa credi si possa fare di più rispetto a quanto già è stato fatto?
Prima di tutto, penso che sin qui Zelensky abbia operato saggiamente. Come ex uomo di spettacolo, la sua intera carriera si è centrata sulla sua capacità di performance in un contesto mediatico, e se pensiamo che anche personaggi davvero sinistri come Trump possono giungere al potere tramite i media, credo che l’uso fatto da Zelensky dei mezzi di comunicazione sia stato finora molto corretto.
Sicuramente sceglie bene come presentare le sue richieste ai vari interlocutori e in generale mi sembra molto efficace. Capisco e comprendo la sua ricerca di sostegno. Penso che desidererebbe venisse imposta una no-fly zone, ma ciò che più gli serve è che prosegua il sostegno militare e che si inaspriscano le sanzioni energetiche ai danni della Russia, l’unico tipo di pressione politica che potrebbe spingere Putin a un qualche tipo di negoziato. Non credo che riuscirà a sconfiggere l’esercito russo, che nel frattempo continua a bombardare le città, ma sono sicuro che può tenere il fronte molto a lungo e rendere l’operazione bellica molto dispendiosa per il suo avversario. Comunque, ritengo che alcune cose che Zelensky ha detto circa la necessità della no-fly zone e sulla possibilità che se Putin non accettasse di negoziare si scatenerebbe la Terza guerra mondiale siano alquanto pericolose. Finora va rilevato che si è registrata una notevole unità tra gli alleati Nato, una sorta di consenso riguardo le sanzioni, ma anche un certo senso del limite. La Nato è un’alleanza molto complessa; molti membri europei non possono tagliare del tutto i legami con la Russia per via della loro dipendenza energetica. Nell’Europa orientale poi la questione è ancor più complicata, perché anche lì molti -in particolare nei paesi Baltici- vorrebbero la no-fly zone e un confronto militare diretto con Putin nel timore di ulteriori invasioni future, ma sono sicuro che nemmeno loro vogliano una guerra condotta con testate nucleari tattiche. Per cui, sì, tutte le parti avvertono il bisogno di considerare il senso del limite -anche se c’è già chi dice che ci troviamo in piena “Guerra mondiale 2.5” e che non ci possiamo sottrarre a una risposta militare diretta alla Russia. In generale penso che la Nato stia svolgendo un buon lavoro nell’osservare questo limite, pur continuando a sostenere l’Ucraina, compito molto difficile; una no-fly zone, d’altro canto, sarebbe qualcosa di estremamente più semplice: consisterebbe nell’abbattere gli aerei, i missili russi, nel bombardare la loro contraerea, insomma, nel condurre una guerra aperta.
Sicuramente le sanzioni potrebbero essere inasprite, e personalmente lo auspico; se domani scoprissi di non poter più letteralmente fare rifornimento alla mia auto, o che in casa mia non ci fosse più elettricità, beh, mi piace pensare che sarei ancora solidale con l’Ucraina, ma temo che per molte persone questo non sia vero e posso capirle. È una questione politica e le opinioni pubbliche dei paesi membri della Nato hanno un loro peso nelle decisioni dell’organizzazione, anche se questo può disturbare le élites della politica estera.
Per quanto riguarda Zelensky, il suo problema è fino a dove potrà spingersi nei negoziati pur mantenendo la legittimità di rappresentare il proprio paese. Sono sicuro che in questo momento ci sono consiglieri e membri del suo governo che, anche senza dirlo pubblicamente, gli fanno pressioni perché si impegni a ritornare allo status quo ante, a permettere ai russi di restare nel Donbass, dove peraltro sono presenti da almeno otto anni. Ma ci saranno anche altri consiglieri che invece gli suggeriscono di non cedere nulla a un invasore che li ha attaccati e ha portato la devastazione nelle loro città. La situazione è politicamente molto complessa, ma è anche un disastro umanitario, e non so se in questo momento il fatto che Biden abbia accusato Putin di essere un criminale di guerra abbia aiutato. Voglio essere chiaro: Putin è un criminale di guerra, ma ora il nostro obiettivo dev’essere fermarlo e temo che accusarlo in questo modo non sia il modo migliore per farlo. Negli ultimi giorni Biden si è spinto oltre, concludendo il suo forte discorso di Varsavia dicendo, in quella che sembrava essere un’osservazione “a braccio”, che cioè non faceva parte del discorso preparato, “Dio mio, quest’uomo [Putin] non può certo restare al potere”. Ritengo questa un’escalation estremamente pericolosa nella retorica della guerra, e la Casa Bianca, che ha immediatamente diramato una smentita anonima, sembra pensarla come me. Di nuovo, certo che possiamo sperare che il potere di Putin vacilli in Russia, ma questo non può essere un obiettivo di politica estera enunciato da un presidente Usa, e più la retorica si farà infiammante, meno probabile sarà una rapida risoluzione di questa guerra.
Se non ci fossero potenze nucleari coinvolte, sarei certamente a favore di un intervento diretto degli Stati Uniti in questo conflitto, proprio come ero favorevole all’intervento in Kosovo. Ma la situazione è diversa. Adam Michnik, che è un amico, oltre che un mio eroe personale, una volta mi disse una cosa che mi rese tutto molto chiaro. Eravamo insieme a un convegno a Budapest quando cominciarono i bombardamenti Nato in Serbia e stavamo discutendo di questo: “Perché intervenire in Serbia e non in Georgia, o in Cecenia?”. Adam rispose semplicemente: “Perché in Kosovo si può”. Non perché ciò che Milosevic stava facendo in Kosovo fosse peggiore di quanto accaduto in Cecenia; la differenza è che la Cecenia non si poteva bombardare, mentre la Serbia sì. Ci sono forme di ingiustizia cui ti puoi opporre e ce ne sono altre in cui il prezzo sarebbe troppo alto. Dobbiamo sempre fare i conti con i limiti della possibilità. Certo penso che i confini della Nato siano importantissimi, per cui se il conflitto dovesse travalicarli, allora sì, ci sarebbe necessariamente un’escalation che condurrebbe alla devastazione globale.
Prima dell’invasione russa, molti commentatori in Europa si dicevano sicuri che Putin stesse bluffando, che non si sarebbe mai spinto fino all’invasione, e che Biden, che invece dava credito a quella possibilità, fosse solo paranoico o, peggio, che volesse usare questa “scusa” per rafforzare la Nato ed espanderne i confini. I timori di Biden si sono tragicamente rivelati corretti; cosa ne pensa del presidente Usa? Uno dei suoi primi atti eclatanti è stato il ritiro dall’Afghanistan, e ora sembra alla guida della coalizione contro Putin, spingendosi fino a definirlo “criminale di guerra”. È diventato più “falco”?
No, non direi che Biden sia diventato un “falco”. Ha assunto la carica in un momento incredibilmente precario, con molti repubblicani accodatisi a Trump nel non riconoscergli la vittoria e nel cercare di minare alle fondamenta gli stessi meccanismi del sistema elettorale democratico e, a parte questo, non è che abbia vinto con un gran margine. Quella situazione di precarietà persiste tuttora; credo che gli Stati Uniti si trovino in una situazione molto complicata, in cui la democrazia liberale sopravvive a malapena, appesa a un filo. In un certo senso, quanto sta accadendo ora in Ucraina è una distrazione da tutto ciò; Biden non è mai stato una figura politica energica, capace di ispirare le folle, ma credo che parte del motivo per cui è riuscito prima a conquistare la nomination democratica e poi la presidenza, sia proprio perché non era fatto così, perché incarnava il desiderio diffuso di un ritorno alla normalità, un’alternativa netta al cinismo e all’imprevidibilità di Trump. Ma tutti i presidenti, per quanto audaci, o energici, o dotati di grande carattere e moralità, quando assurgono alla carica scoprono che il mondo è in preda al caos, che tutto è complesso e che gli Stati Uniti devono operare considerando gli impegni già presi, i limiti all’azione politica. Insomma, che non si può fare tutto ciò che si vuole! Per cui ogni presidente si ritrova a dover improvvisare e Biden, di sicuro, sta improvvisando molto.
Non mi è piaciuto il modo in cui ha gestito il ritiro dall’Afghanistan; certo doveva ritirarsi, ma avrebbe potuto farlo in maniera più misurata, ponendo maggiore attenzione nel soccorrere più afghani che negli anni avevano lavorato con il governo degli Stati Uniti, o avevano collaborato all’intervento militare, o si trovavano a rischio. Questo è sicuramente vero, ma è altrettanto vero che ogni modalità di ritiro avrebbe riportato i talebani al potere e in qualsiasi modo avessimo lasciato il paese ci sarebbero stati effetti e ripercussioni negative -era da capire solo quanto negative.
Certamente la Nato è importante per la politica estera statunitense, così come lo è per quella europea.
Le cose stanno così. In quel campo, credo che Biden abbia gestito molto bene la situazione e sia riuscito a far recuperare un bel po’ di credibilità alla politica estera degli Stati Uniti, riuscendo nel difficile compito di fornire aiuti all’Ucraina senza spingersi troppo oltre.
Il presidente sa bene che è probabile che alle elezioni di mid-term di novembre i repubblicani riusciranno a riconquistare la Camera, un pensiero che certo lo spaventa, come spaventa me, e che il suo consenso resta basso, anche se sono convinto che dall’inizio del conflitto la situazione sia leggermente migliorata.
Credo che la possibilità di una rielezione, o comunque di una vittoria democratica alle presidenziali del 2024 siano davvero risicate e, naturalmente, c’è anche il problema della riforma delle leggi elettorali a far da sfondo a tutto questo; i repubblicani si stanno coordinando per modificare le leggi elettorali a livello dei singoli stati al fine di ridurre l’accesso al voto e consentire a forze di parte di decidere quali voti conteggiare, e i democratici non sono riusciti a reagire a questa offensiva con leggi nazionali. Dunque dobbiamo tenere conto che Biden come presidente si ritrova a essere molto limitato da questi problemi, molto vulnerabile e, anche se non mi ha mai entusiasmato, certamente spero che riesca a prevalere sui repubblicani alle elezioni di quest’anno e alle presidenziali del 2024.
Torniamo alla guerra: in molti, anche a sinistra, incolpano la Nato per quello che sta succedendo.
Ho letto critiche da politologi realisti, come John Mearsheimer e Steve Walt, ma anche da sinistra, che concordano nel ritenere la Nato responsabile dell’esito della crisi russo-ucraina e che tutti i discorsi di Biden sul rafforzamento della Nato l’avrebbero di fatto esacerbata. Ma queste considerazioni partono dal presupposto che la Nato sia semplicemente ciò che gli Stati Uniti vogliono che essa sia; ebbene, non è così che funziona la Nato!
C’è un motivo se i liberali democratici, ma anche quelli di sinistra di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e degli stati baltici vogliono un posto nella Nato, e quel motivo ce lo sta dimostrando apertamente Putin ora. Tutti quei paesi si erano liberati dell’egemonia sovietica e ora vivono a fianco di un regime autoritario che porta avanti la sua agenda imperialista eurasiatica, e per farlo è disposto a condurre guerre brutali, cosa di cui siamo ora tutti testimoni. I critici dicono che la Nato è un’imposizione occidentale, un mero strumento del Fondo monetario internazionale; certo, l’Fmi è importante, e ovviamente il capitalismo tende all’espansione su scala globale, e si è effettivamente espanso in quei paesi post-comunisti, ma questi ultimi -e non solo le loro élites finanziarie- hanno guardato a Occidente per un motivo. E ora che si trovano a dover scegliere tra il capitalismo e la liberal democrazia, da un lato, e il putinismo, dall’altro, beh, direi che non si tratta di una scelta ardua.
Dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria del 1956, Albert Camus disse: “Se la scelta è tra sostenere un quarto di verità o una bugia, scelgo il quarto di verità, e quel quarto di verità è l’Occidente”. Credo sia l’approccio giusto per comprendere ciò che sta accadendo ora. La Nato non è un’utopia che condurrà alla pace e alla libertà nel mondo, né il capitalismo neoliberale è un sistema meraviglioso per tutti i popoli del mondo; certo che no. Certo che le democrazia liberali che si sono sviluppate nell’ex blocco sovietico, e anche alcune altre occidentali, sono molto fragili e corrotte. Tutto vero. Ma credo che una democrazia liberale vera, per quanti difetti possa avere, sia sempre meglio delle alternative disponibili, come il sistema del partito unico cinese, la Russia di Putin o le idee illiberali promosse da leader come Orban e Trump.
Non tutti sono favorevoli a dare armi agli ucraini. Cosa pensa dell’atteggiamento dell’area pacifista?
In queste settimane sto tenendo un corso sulla politica del New Deal negli anni Trenta e Quaranta negli Stati Uniti, con riferimento ai fatti globali, e naturalmente il corso è stato immaginato molto prima che accadesse tutto quello che vediamo ora. Lo scopo del corso era di analizzare le possibilità di Biden di realizzare un programma del tipo New Deal. Ma la misura globale di quanto sta accadendo, i sinistri presagi di una Terza guerra mondiale, certo, nulla di tutto ciò era nel programma, ma naturalmente ci è finito dentro. Ho presentato alla classe un discorso tenuto da Norman Thomas nel 1937, in uno dei momenti più difficili della Guerra civile spagnola. Thomas, leader del Partito socialista statunitense, era un pacifista che si era opposto all’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale e in seguito sarebbe stato contrario anche all’intervento nella Seconda, e in questo discorso del 1937 aveva criticato quel Neutrality Act che poneva grossi limiti alla possibilità da parte degli americani di contribuire alla causa della Repubblica spagnola nonché la decisione di Roosevelt di imporre un embargo all’invio di armi in Spagna, dicendo, di fatto: “Dobbiamo lottare per bloccare i fascisti subito”.
Negli anni Trenta la sinistra americana riteneva fosse necessario opporsi al fascismo. Non credo che Norman Thomas e gli altri pacifisti interventisti avrebbero mai sostenuto qualcosa di simile alla Nato, piuttosto erano per le brigate internazionali e auspicavano la venuta della rivoluzione spagnola; ma per ciò che mi pare di capire della cosiddetta “area pacifista”, ora, sento una forte retorica anti-imperialista che rischia di sfociare nel giustificazionismo delle guerre più brutali, come la Siria o l’Ucraina. Dire cose come “Che altra scelta ha Putin? Che poteva fare Assad?”, beh, questo non è pacifismo, è qualcos’altro, che credo cinico, moralmente e politicamente. Quando alcune settimane fa in un incontro in Indiana si parlava di quanto fosse importante sostenere la resistenza ucraina, una studentessa mi ha domandato cosa pensassi della posizione sulla guerra dei Dsa, i Democratic Socialists of America, una posizione di estrema sinistra, che se la prende con la Nato, insomma, una posizione da “area pacifista”, se vogliamo definirla così. Io facevo parte dei Dsa, sono stato prima studente e poi amico del loro fondatore, Michael Harrington, ma ora, a dire la verità, non sono interessato alla loro posizione. Oltretutto, non rappresentano chissà che forza nel paese.
Certo che la Nato ha giocato un ruolo nell’evolversi della situazione! Ma se potessimo tornare indietro e rifare un mondo in cui Gorbaciov fosse rimasto al potere qualche anno in più o le idee di Vaclav Havel sulla “terza via” avessero avuto un impatto politico maggiore, avremmo un’Europa diversa, forse migliore, forse no (è sempre più facile immaginare che la strada non intrapresa sarebbe stata tutta rose e fiori) ma non è quello il mondo in cui viviamo. Per cui, sì, la Nato non ha le mani pulite, ma nel mondo in cui viviamo nessuna entità politica le ha. Ciò comunque non significa che la Nato sia responsabile del fatto che Putin sta bombardando Mariupol fino a polverizzarla.
I pacifisti vengono oggi accusati di “neneismo”, cioè di non schierarsi né con la Nato né con Putin, così come vent’anni fa non si vollero schierare né con Bin Laden né con la Nato...
Ogni situazione ha la sua specificità. Credo che l’area pacifista avesse basi morali e politiche più forti nell’opporsi alla guerra in Iraq, comunque diversa da quella in Afghanistan, e certamente  molto diversa dai bombardamenti Nato in Serbia nel 1999. Ho sostenuto questi ultimi due interventi, mentre credo che il mondo sarebbe potuto essere diverso se la guerra in Iraq non fosse mai stata combattuta. Sicuramente Saddam Hussein era un dittatore pericoloso, ma non c’erano possibilità che da quella guerra venisse qualcosa di buono, e infatti ne è venuto solo altro male: morte, distruzione, risentimento, eccetera. E tuttavia, e so che ciò che sto per dire mi attirerà molte critiche, non credo che la strategia militare americana in Iraq sia mai stata quella di radere al suolo le città e produrre deliberatamente stermini di massa tra la popolazione civile.
Non è una cosa che fa parte della dottrina militare Usa. Ciò che Putin sta facendo in Ucraina, ciò che ha fatto in passato in Siria, o a Grozny, è tutta un’altra cosa, molto più brutale. Ora so con certezza che la guerra in Iraq era sbagliata, ma penso anche che un pensiero politico sempre intento a cospargersi il capo di cenere assegnandosi tutte le colpe sul passato sia meramente moralistico; avrà anche uno scopo, ma non è uno scopo costruttivo.
Credi ci sia un’area filoputiniana a Occidente?
Se Putin non avesse invaso, come invece ha fatto, se fosse rimasto solo nel Donbass, magari anche solo stabilendo un corridoio con la Crimea, se avesse fatto solo questo, probabilmente gente come Viktor Orban o Jaroslaw Kacynsky ne starebbero ancora tessendo le lodi, così come molti repubblicani Usa che ora si dicono sostenitori dell’Ucraina starebbero ancora a prendere in giro Zelensky e a tifare Putin, come hanno fatto fino a qualche mese fa.
Il putinismo conserva ancora in Occidente e nell’Europa orientale un appeal importante per l’estrema destra, per i nazional populisti e i critici della democrazia liberale. Ma credo che, con le sue azioni, Putin abbia fatto un gran favore a tutti i liberali d’Occidente rendendo estremamente difficile per un conservatore essere ancora putiniano. Se si eccettua un pugno di radicali estremisti, tutti coloro che fino a ieri erano putiniani in America oggi non possono più professarsi tali, perché nessuno di loro gioisce del vedere le città ucraine completamente distrutte; sì, gli piaceva l’autoritarismo di Putin, non avevano problemi con il pugno di ferro esercitato sul paese, e magari ne avrebbero voluto vedere un po’ all’opera anche negli Stati Uniti, in Polonia o in Ungheria, ma certo non auspicano la devastazione di interi stati sovrani. Credo che Putin non goda più della popolarità che aveva un tempo; è interessante notare come Orban, ora, sia convintamente schierato con la Nato e che addirittura si sia detto pronto ad accogliere i profughi ucraini! Certo non ha cambiato la sua politica illiberale, ma almeno non sta più con Putin; e chi avrebbe mai immaginato che Marine Le Pen avrebbe dovuto mandare al macero i pamphlet contenenti le foto che la ritraggono al fianco di Putin? Eppure lo ha fatto.
Nel tuo blog hai scritto di alcuni segnali di resistenza che stanno venendo avanti in Russia, in particolare di una petizione avanzata da insegnanti contro la guerra in Ucraina. L’Occidente spera sempre che scoppi una rivoluzione in Russia, cosa che appare improbabile...
Sì, c’è una resistenza in Russia, e uno dei motivi per cui ritengo sia importante parlare degli insegnanti è per esprimere una solidarietà con queste persone. Un altro motivo è che ci aiuta a rendere più evidente a chi vive in Occidente cosa significhi essere un accademico, un cittadino che si impegna ad assumere importanti posizioni morali, così magari da ispirare simili comportamenti anche qui da noi. Naturalmente il movimento composto da questi coraggiosi insegnanti russi è politicamente del tutto marginale, e a Putin non costa nulla isolarli, o arrestarli, perché la maggior parte dei russi non ha idea di ciò che sta realmente accadendo. Si informano tramite media controllati dallo Stato, che nella maggior parte dei casi divulgano vere e proprie menzogne. Credo che l’opposizione democratica, come il movimento pacifista russo, siano cause nobili: sono sì marginali, ma perlomeno sono un fenomeno che in qualche modo potrebbe accendere un cambiamento. Per il cambiamento, però, c’è bisogno che intervengano delle dinamiche nelle élites oligarchiche russe. Ciò che finì per far cadere il comunismo in Europa dell’Est non fu Charta 77, né gente come Havel: per quanto quelli fossero importanti, servì una combinazione di quella resistenza con le tipiche contraddizioni del comunismo sovietico, e poi con la sbandata sovietica in Afghanistan, con la capacità di Gorbaciov di attuare riforme, con delle fratture in seno all’élite comunista… un processo molto complesso. È auspicabile che si verifichino incroci di questo tipo tra il movimento pacifista russo, l’ancora debole movimento per la democrazia e un contesto in cui il costo morale, economico e militare della guerra diverrà insostenibile, e in cui parte dell’élite russa si sarà stancata di perdere i propri patrimoni e il proprio status di celebrità costruito in Occidente. Forse allora questa élite potrà cominciare ad auspicare un altro leader, corrotto, sì, autoritario, sì, ma magari più umano, qualcuno che non sia un pazzo, o che non sia talmente germofobico da non volersi avvicinare a più di 15 metri da loro… Se dieci o venti di questi esponenti dell’élite entrassero nel suo ufficio e gli dicessero che “è ora di fermarsi”, magari li farebbe giustiziare, ma a un certo punto non potrà giustiziare tutti i componenti della sua cerchia di potere -anche se Stalin, a dire il vero, riuscì a farlo per un bel po’ di tempo!
Vedi un ritorno del mondo bipolare?
No, perché al momento ci sono almeno tre “superpotenze”. Una è sicuramente la Cina; un’altra gli Stati Uniti, che ritengo essere ancora una superpotenza, anche se non nello stesso modo in cui lo sono stati 25 o 50 anni fa; per quanto riguarda la Russia, è dubbio se lo sia, perché sicuramente non lo è economicamente, e come vediamo ora non lo è militarmente, però ha le armi nucleari. In più, ha le risorse energetiche. Tutto ciò ci fa pensare che non ci sia un bipolarismo, piuttosto un tripolarismo, ma credo che su questo triangolo Biden stia lavorando bene. D’altra parte la Cina sta guardando con molta attenzione all’evolversi della situazione in Ucraina, con Taiwan in mente.
Ci sono molti paralleli che si possono tracciare tra l’Ucraina e Taiwan; come la Russia, anche la Cina rivendica Taiwan come parte del proprio territorio, ma ci sono differenze che renderebbero più facile un’ipotetica occupazione cinese di Taiwan di quella russa dell’Ucraina; fra queste, la prima, e fondamentale, è che Taiwan sta al largo delle coste cinesi e non a fianco di paesi Nato! A questo proposito segnalo le analisi di Yvonne Chiu, una collega che lavora allo Us Naval War College di Monterey, California. Dunque Pechino starà molto attenta a come si evolveranno le cose e non credo guardi a quanto accade in Ucraina come a un modello positivo. Questo ci dà speranze circa il ruolo cinese nella crisi ucraina, anche se la Cina è una potenza molto opportunista e faranno sempre ciò che può indebolire gli Stati Uniti. Quel che è sicuro è che dopo questa guerra gli equilibri geopolitici saranno molto più complicati, ma è altrettanto sicuro che Putin non riuscirà a resuscitare il blocco sovietico, né l’impero russo. Questo non accadrà.
Quindi, per concludere, che fare?
A parte tutte le complessità e gli aspetti vari di cui abbiamo parlato, resta il fatto che le forze militari russe stanno devastando l’Ucraina, uccidendo migliaia di civili e costringendo milioni di persone a fuggire dal proprio paese, a nascondersi, a dormire nelle stazioni della metropolitana, nelle cantine o nei bunker. Tutto questo è una terribile catastrofe umanitaria, un crimine contro la morale -e un crimine anche contro il diritto internazionale. Il popolo ucraino merita il sostegno di chiunque nel mondo ritenga di essere contrario ad atti barbarici come forma elementare di solidarietà umana. Inoltre, il governo ucraino ha bisogno del sostegno continuo della Nato e degli Stati Uniti. A Putin non può essere concesso di conquistare l’Ucraina. Per quanto la situazione sia politicamente complessa, ho bisogno di concludere sottolineando come l’invasione dell’Ucraina sia un atto criminale e come il governo dell’Ucraina e il suo popolo meritino il nostro sostegno morale e politico.
(a cura di Stefano Ignone)