Anna Soru, ricercatrice economica e fondatrice di Acta (www.actainrete.it), Associazione dei freelance, si occupa di lavoro, imprenditoria, professioni autonome, partite Iva, maternità e paternità.

Vorremmo rifare un po’ il punto sulla situazione del lavoro autonomo tra libertà, autonomia e tutele. Bruno Anastasia, in una recente intervista, segnalava una continua “asciugatura” del lavoro indipendente.
Il lavoro autonomo tradizionale, quello dei commercianti, degli artigiani, degli agricoltori, va riducendosi da decenni. Quello cosiddetto professionale in realtà non sta subendo riduzioni, però sta cambiando faccia, più passa il tempo e più comprende persone che non sempre scelgono questa modalità di lavoro. Sono cioè sempre di più gli ambiti in cui il lavoro autonomo è l’unica opzione. Perché? Perché non ci sono regole né compenso minimo, i contributi sono pagati dal lavoratore e quindi è più facile realizzare un risparmio sui costi del lavoro.
Quando è nata Acta, chi lavorava come autonomo era nella maggior parte dei casi qualcuno che aveva compiuto una scelta di autonomia, di indipendenza. Molto spesso erano persone che venivano da precedenti esperienze da dipendente: diventavano autonomi per sfruttare delle competenze consolidate e non ottenevano solo maggiore autonomia ma spesso anche redditi più alti.
Vent’anni fa un committente riconosceva al lavoratore autonomo un compenso superiore a quello previsto per il dipendente perché costui gli garantiva grande flessibilità e la possibilità di ricorrere a professionalità specifiche nel momento in cui ne aveva bisogno, senza farsi carico di costi fissi. Adesso invece ci troviamo facilmente in situazioni in cui un lavoratore autonomo percepisce meno di quello che percepirebbe se fosse dipendente, anche al netto delle agevolazioni fiscali della Flat Tax, che sono importanti solo per i redditi medio-alti, mentre  abbiamo una diffusa situazione di redditi bassi. Essendo un mondo che si distribuisce su tante gestioni previdenziali, è molto difficile darne un quadro complessivo. Gli ultimi dati disponibili sulla gestione separata dell’Inps evidenziano un calo del reddito. Considerando i lavoratori che svolgono un’attività autonoma come esclusiva, la metà circa sono sotto i diecimila euro lordi all’anno. Stiamo parlando di working poor.
Quali sono le ragioni di questa tendenza all’impoverimento?
La mia opinione personale è che essendo un ambito deregolamentato è diventato la scappatoia per chi vuole pagare di meno. In Italia si parla tantissimo del tempo determinato come lavoro precario, ma il tempo determinato garantisce una serie di tutele, ivi compresi dei compensi minimi. Il vero problema sono quelle forme di lavoro che non hanno alcuna regolamentazione. Quando parlo di lavoro autonomo non parlo solo di partite Iva; qui dentro ci sono anche tutte quelle modalità che tecnicamente non sono neppure lavoro, come le collaborazioni occasionali, la cessione del diritto d’autore e lo stage.
Se parli con i professionisti che tipicamente operano in regime di diritto d’autore, autori di immagini, vignettisti, traduttori, tutti ti confermeranno che i compensi sono bassissimi. Infatti il vantaggio fiscale previsto da questo particolare regime non è andato a favore del lavoratore ma è stato fatto proprio dal committente. Lo stage ha una dimensione tale che non puoi non considerarlo, ed è uno degli altri elementi che ritarda l’ingresso nel mercato del lavoro come lavoratore vero.
C’è prima tutto il percorso di studi, poi lo stage, poi le collaborazioni occasionali, che anche quelle non sono lavoro... alla fine entri nel mercato del lavoro come lavoratrice che sei già nell’età della menopausa!
Una parte del sito actainrete.it è dedicata a orientare i freelance nella negoziazione delle proprie tariffe. Esiste una difficoltà, da parte del lavoratore o lavoratrice, a misurare il valore del proprio lavoro e a individuare un compenso equo?
Questo è in effetti un grosso problema, che è legato a tanti aspetti. Un primo dato è che per molti quello autonomo è il primo lavoro. Questa è una novità. L’assenza di precedenti esperienze lavorative comporta il non avere parametri di riferimento. Vent’anni fa uno approdava a questa situazione dopo un percorso, adesso invece esci dall’università e fai il lavoratore autonomo, per cui non sei in grado di capire come valutare il tuo lavoro. Non solo, tipicamente non vieni pagato a tempo, bensì a prestazione. Ora, se per fare un ...[continua]

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