Adam Michnik, leader di Solidarnosc nel 1989, partecipa alle tavole rotonde che posero fino al partito comunista in Polonia, è direttore del quotidiano polacco “Gazeta Wyborcza”. Irena Grudzinska Gross è docente presso l’Istituto di slavistica dell’Accademia polacca di scienze e fellow nel 2018 della Guggenheim Foundation. Tra i suoi libri Milosz and the Long Shadow of War (Pogranicze, 2020) e Czeslaw Milosz and Joseph Brodsky: Fellowship of Poets (Yale University Press, 2009).

Negli ultimi anni, un paese democratico dopo l’altro è stato tentato, a volte fatalmente, dal fascino dei populisti autoritari che promettono di difendere la sicurezza economica e i valori “tradizionali” degli elettori. Dalle elezioni generali di ottobre, la Polonia si è mossa nella direzione opposta, anche se è improbabile che il ripristino dello stato di diritto e il rinvigorimento della democrazia liberale dopo otto anni di malgoverno populista di destra siano un processo semplice. Con l’arrivo del 2024, la Polonia ha un nuovo governo di coalizione, ma il partito estromesso Diritto e Giustizia (PiS) non sembra aver fatto i conti con la perdita. Perché?
È molto difficile ammettere la sconfitta quando sei convinto che sarai al potere fino alla fine del mondo. L’arroganza, la megalomania e la mancanza di immaginazione della leadership del PiS sono di nuovo davanti agli occhi di tutti. Il PiS ha registrato un ottimo risultato elettorale, ovvero oltre il 35% dei voti. Dopo quello che hanno fatto mentre erano al potere, non avrebbero dovuto avere un quinto di quei voti. Ma il risultato di queste elezioni è trasparente: hanno ricevuto un cartellino rosso. Non sono riusciti a formare un governo.
Eppure, questo è solo l’inizio del viaggio, perché il PiS cercherà di rompere il più possibile gli equilibri nel tentativo di rovesciare il nuovo governo. Ora tutto dipende dalla misura in cui il nuovo governo riuscirà a cambiare la Polonia e ad attrarre parte dell’elettorato del PiS. Si può dire che il peggio è alle spalle, ma che ci aspetta la parte più difficile.
Quanto è diverso l’attuale cambiamento politico rispetto all’uscita dal comunismo nel 1989?
Profondamente differente. Allora il regime stava crollando; era un momento storico e costituzionale. La dittatura era guidata da persone che sapevano che il progetto del socialismo o del comunismo aveva perso. Si chiedevano come trovare un posto nella nuova realtà ed erano pronti a rispettare le regole del gioco.
Il presidente Jaruzelski all’epoca era pienamente fedele al governo non comunista di [Tadeusz] Mazowiecki. Al contrario, [l’attuale presidente Andrzej] Duda, o, meglio, [il leader del PiS Jaroslaw] Kaczynski, sono completamente sleali nei confronti del nuovo governo che ha un mandato politico.
Nel 1989 volevano un accordo, oggi no. Nel 1989 coloro che servivano il vecchio regime volevano partecipare alla nuova realtà. Oggi le loro controparti la contestano. Desiderano che tutto resti com’era.
Cosa intende concretamente con “ci aspetta la parte più difficile”?
Il fronte di Kaczynski prevedeva due scenari. Il primo era che sarebbe stato rieletto e tutto sarebbe andato per il verso giusto. Il secondo, in caso di sconfitta, era quello di minare il terreno politico in modo tale che i vincitori non potessero governare, ovvero mantenendo il controllo sui media pubblici, sulla magistratura, sui servizi speciali e sulle autorità finanziarie. Hanno cambiato la legislazione e hanno il loro presidente. La Corte costituzionale è completamente nelle mani del PiS.
In questa situazione, il nuovo governo deve evitare il potere di veto di Duda. Qualsiasi cambiamento deve aggirare la legislazione attuale, anche se ciò non significa violarla. Ad esempio, tutte le nomine alle istituzioni europee devono essere effettuate dal presidente, quindi il nuovo governo dice: non possiamo nominare un nuovo ambasciatore, ma possiamo richiamare l’attuale ambasciatore a Varsavia per consultazioni e nominare un ambasciatore “ad interim”. Non c’è altra scelta. È chiaro che questo sarà un anno molto importante per il recupero delle istituzioni e dello stato di democrazia.
Con quanta fermezza Duda ostacolerà il lavoro del nuovo governo?
Sono uno di quelli che non prendono sul serio Duda. Condivido l’atteggiamento del relatore della sua tesi di laurea, Jan Zimmermann: scettico-ironico. Finché Kaczynski sarà il leader indiscusso del PiS, Duda, secondo me, farà quello che vuole Kaczynski.
I suoi interventi a difesa della vecchia squadra alla guida della televisione di Stato non sono stati importanti, dato che già si nota la differenza tra le notizie di oggi e quelle al tempo del PiS. Ora vediamo notiziari onesti, non propaganda filogovernativa, a tratti di tipo stalinista-goebbelsiana come accadeva prima.
Insulso è anche il sostegno di Duda agli ex deputati Mariusz Kaminski e Maciej Wasik. A dicembre sono stati condannati a due anni di carcere da un tribunale legittimo. Duda li aveva graziati nel 2015, ma lo fece prima che le loro condanne fossero definitive. È come concedere il divorzio a qualcuno prima che si sposi. Quando i tribunali hanno stabilito che l’indulto preventivo era nullo, il PiS sperava che il nuovo governo fosse morbido: “Hanno ottenuto una sentenza, ma dopotutto non li metteranno in carcere”. Quando il carcere cominciò a sembrare plausibile, Duda decise di proteggere i due uomini nel palazzo presidenziale, dove supponeva che la polizia non sarebbe entrata. Ma la polizia entrò e li portò in carcere come prevedeva la legge, dimostrando che in Polonia la legge vale per tutti.
Ci sarà stabilità nel nuovo governo? In fondo, i partiti della coalizione hanno posizioni diverse, ad esempio, sull’aborto o sul ruolo della Chiesa cattolica.
Non esiste una risposta semplice alla questione della stabilità. Il paradosso è che quanto più stabile sarà il sostegno popolare al PiS, tanto maggiore sarà la stabilità interna della coalizione di governo. Al momento la coalizione non sta commettendo errori significativi, hanno capito di essere legati gli uni agli altri, per cui se qualcuno volesse fare lo sgambetto all’altro, lo farebbe a se stesso.
Le nozioni tradizionali di sinistra e destra contano quando parliamo della visione del mondo. Ma in queste elezioni non c’è stata alcuna disputa su tasse o benefici sociali. Per tutti i membri della coalizione si trattava di una competizione sulla forma dello Stato polacco e su quale posto occupi la Polonia in Europa. La repubblica è in crisi e ora viene difesa.
L’aborto non è un argomento contenuto nell’accordo di coalizione e non divide fondamentalmente il nuovo governo. C’è un filo di conservatorismo morale anti-PiS nella coalizione: principalmente il Psl [Partito popolare polacco] e una parte della Terza Via. Il primo ministro Donald Tusk ritiene che la legge sull’aborto debba essere allentata e il suo partito preparerà una bozza e la presenterà in parlamento. Resta da vedere se passerà, ma Tusk onorerà i suoi impegni elettorali. Se non dovesse passare, il Psl accetterà un referendum su questo tema. Anche se il PiS sostiene che la legislazione che coinvolge i valori morali debba essere sottoposta a referendum, qui non si tratta di valori ma di soluzioni legali. In ogni caso si sta realizzando un vero progresso sociale; la coalizione di governo è già favorevole alle unioni civili, cosa nuova in Polonia.
Ci sono altre posizioni condivise nella coalizione di governo?
La politica del governo del PiS è stata quasi identica a quella del primo ministro ungherese Viktor Orban, differendo solo nella politica nei confronti dell’Ucraina. La sorpresa per me è stata che in Polonia tutti i partiti, tranne l’estrema destra, sono filo-ucraini. Tutta la forza della propaganda del presidente russo Vladimir Putin è diretta contro l’Ucraina, e lo slogan dell’estrema destra polacca -“fermare l’ucrainizzazione della Polonia”- è la fotocopia della retorica di Putin. Eppure, i radicati risentimenti anti-russi dei polacchi si sono rivelati più forti del loro complesso anti-ucraino. Su questo tema c’è unanimità, ma su tutto il resto la posizione del governo inizia solo ora a essere coerente.
Per quanto riguarda l’economia, la Piattaforma Civica di Tusk [che, insieme al partito Nowoczesna (Moderno), forma la Coalizione Civica, il partner senior della coalizione] ora capisce che il liberalismo intransigente del mercato porta alla sconfitta elettorale. Sulle questioni sociali c’è una grande spinta, soprattutto da parte delle generazioni più giovani, per un’opzione filo-europea, filo-occidentale e di orientamento liberale su aborto, marijuana e altre questioni. Anche qui ci sono differenze nella coalizione di governo tra gruppi di sinistra e gruppi conservatori-cattolici, ma anche per queste persone la resistenza contro la devastazione dello Stato di diritto da parte del PiS è più importante degli avvertimenti di molti vescovi secondo cui un voto per la coalizione sarebbe un voto a favore della depravazione. Per ora ci sono motivi per un cauto ottimismo.
A proposito di vescovi, qual è stato il ruolo della Chiesa nelle elezioni di ottobre?
Nessuno. La Chiesa è stata molto cauta. Già bruciata dalla politica, la sua autorità non è più quella di una volta. Certo, nelle province, prevalgono le simpatie per il PiS nella Chiesa, ma non c’è stato un chiaro appello a votare a suo favore. La Chiesa era divisa.
Qual è il ruolo e qual è la situazione dei media statali e del vostro giornale, “Gazeta Wyborcza”?
Al “Gazeta Wyborcza” avevamo una posizione molto chiara: eravamo anti-PiS. Non abbiamo una piattaforma politica chiara e i nostri giornalisti certamente non votano allo stesso modo. Ma un obiettivo era comune: difendere la repubblica. Questa linea politica ha prevalso oggi in Polonia, lo si sente in ciò che dicono il primo ministro e i ministri. Questo è il linguaggio della democrazia che condividiamo tutti.
La situazione economica di “Gazeta Wyborcza” migliorerà ora? Dopotutto, il boicottaggio pubblicitario da parte delle istituzioni statali finirà.
Non so se migliorerà. Il boicottaggio finirà, così come i sussidi ai piccoli giornali pro-PiS, e non avremo così tanti casi giudiziari come abbiamo avuto finora. Ma il ruolo dei giornali diminuirà, il che vale ovunque poiché Internet diventa la principale fonte di informazione delle persone.
Molto dipende anche da quale sarà la situazione nel mondo, da cosa accadrà all’Est, negli altri paesi europei, da come andranno le elezioni europee e infine da ciò che ci preoccupa incredibilmente, quale sarà il futuro in Russia e negli Stati Uniti. Perché se Trump vincesse, metterebbe il mondo sottosopra. Tutto ciò potrebbe influenzare le prospettive economiche dei giornali in modi imprevedibili.
La Polonia è stata recentemente teatro di una serie di atti pubblici antisemiti. Mi riferisco all’incidente avvenuto nel palazzo del parlamento in cui il deputato Grzegorz Braun ha spento le candele di una menorah di Hanukkah. Su Gazeta Wyborcza il giornalista Witold Mrozek ha scritto che grazie, tra le altre cose, all’attività costante di padre Tadeusz Rydzyk, l’antisemitismo è passato dai margini alla corrente principale in Polonia.
Non direi questo. Se mai l’antisemitismo è diventato mainstream, lo è stato qualche anno fa. Considerando quello che è successo con Braun, e prima ancora durante la marcia per l’indipendenza a Kalisz nel 2021 [che prevedeva discorsi violentemente antisemiti], non avrebbe senso affermare che non esiste antisemitismo in Polonia. Ma il fatto è che queste sono state le prime elezioni polacche dal 1989 in cui non si è giocata la carta dell’antisemitismo, etichettando gli oppositori politici come ebrei. Prima quella carta c’era; questa volta non era nemmeno nel mazzo.
La Confederazione [di estrema destra] ha nascosto Braun per le elezioni e ha messo in luce candidati giovani e intelligenti che parlavano di tasse. Il loro approccio sembrava essere: antigermanismo sì, ma antisemitismo no, almeno non ad alta voce.
Penso che l’antisemitismo in generale si affievolirà, fatta eccezione per la frangia che crede che gli ebrei governino il mondo. Se vivremo una crisi profonda, può darsi che il capro espiatorio non siano gli ebrei, ma i liberali che, così diranno i populisti, ci dicono di mangiare vermi invece di carne e insegnano ai bambini come masturbarsi. Ma questo oggi non conta.
La stupidità è immortale, ma quando leggo alcuni discorsi di Trump, non ho alcuna ansia per la Polonia. Un candidato presidenziale polacco che dicesse cose così stupide non avrebbe alcuna chance.
Esiste il pericolo di un dominio della destra dopo le prossime elezioni del Parlamento europeo. E poi cosa potrebbe succedere?
Se ciò accadrà, parleremo di altri argomenti e da un altro luogo. Ma non si può negare che il problema esista. Le elezioni sono andate male in Slovacchia e nei Paesi Bassi; i populisti in Europa, un tempo marginali, sono diventati mainstream.
Le elezioni polacche hanno un valore enorme in questo momento perché hanno fermato la putinizzazione della Polonia: l’attuazione strisciante di un modello autoritario, di “democratizzazione”, o di democrazia Potemkin, che cambia l’essenza dello Stato. Gli americani hanno conosciuto questo fenomeno con Trump. La Polonia ha dimostrato che è possibile fermarla, il che è particolarmente importante nel contesto europeo.
Ma Orban,  di cui hai parlato, sta diventando più forte. Adesso è un giocatore importante in Europa.
Per fare da blocco, perché nell’Ue esiste ancora il diritto di veto. Ma sì, il suo caso è terribile. Non so a chi paragonarlo, forse al presidente nicaraguense Daniel Ortega. Dal prediletto dei liberali al cripto-fascismo! Ma ciò che è interessante è che non c’è spazio per l’antisemitismo.
Ma continua a parlare di Soros come di un ebreo che governa il mondo!
Orban  non si preoccupa di un ebreo se l’ebreo è a favore di Orban. È infastidito da un liberale. Non pratica politiche antisemite, non ci sono iniziative in Ungheria che discriminino gli ebrei. La riabilitazione dell’ammiraglio Miklós Horthy [dittatore ungherese della Seconda guerra mondiale], il riferimento alla vecchia destra degli anni della guerra sono un segno del vecchio elettorato, un segno distintivo della destra. Questo entra in gioco quando si mette in mostra la propria identità di destra. In questo Orban è simile a Kaczynski, è un gioco cinico.
Quindi, lei separa l’atteggiamento personale di Orban dalla sua politica? Quanto conta che la politica antisemita sia radicata nel cinismo o nella convinzione?
La politica di Orban riabilita la tradizione della destra ungherese, che presenta elementi di antisemitismo. Per gli ebrei ungheresi, che hanno memoria di ciò che ha fatto l’antisemitismo ungherese durante la guerra, questo è traumatico, e lo stesso vale in Polonia. Ma oggi in Ungheria non esiste alcuna espressione istituzionale di antisemitismo, nessuna campagna contro gli ebrei in quanto ebrei. È una campagna contro i liberali. Da questo punto di vista, se Soros fosse un ungherese “puro”, lo sarebbe anche in quanto ebreo.
Questo si vede chiaramente nella questione di Gaza. Non è necessario essere antisemiti per criticare [il primo ministro israeliano Binyamin] Netanyahu ed essere filosemiti per condannare Hamas. Le due cose possono andare di pari passo, ma non necessariamente.
Sì, Netanyahu è alleato con antisemiti come Orban e Kaczynski.
Nemmeno Kaczynski è un antisemita e non lo è mai stato. Era contrario al liberalismo nel senso più ampio e in questo vedeva una minaccia all’identità polacca. Ma [lo scrittore ebreo-polacco] Bronislaw Wildstein, per esempio, lavora molto bene in questi ambienti, e non è l’unico.
Questo non è antisemitismo, questo è antiliberalismo, antiintellettualismo. E da questo punto di vista per Kaczynski è uguale avere a che fare con Jacek Kuron o con Adam Michnik; per lui siamo un solo diavolo, anche se abbiamo origini diverse.
Le elezioni in Polonia, pur essendo così importanti, sono state un’inversione della tendenza di destra a cui assistiamo nel mondo?
No, una battuta d’arresto, non un’inversione, che non sono la stessa cosa. La Polonia è divisa. È arrivata una nuova generazione, la questione dei diritti delle donne è stata posta con forza, il che spiega l’elevata affluenza alle urne, 13 punti percentuali in più rispetto alle elezioni precedenti. Nessuno se lo aspettava, compreso il PiS, che dava per scontato che l’affluenza alle urne sarebbe stata inferiore, facilitando il loro cammino verso la vittoria.
Mettiamoci anche il risultato elettorale della Terza Via, oggi membro della coalizione di governo. Temevo che non avrebbero superato la soglia dell’8%, che avrebbe potuto consentire al PiS di formare un governo. Alla fine, hanno ricevuto più del 14%. Ma la tendenza populista è stata fermata, non invertita. Come ho detto, ora ci attende il lavoro più difficile.
Come vede il futuro della guerra in Ucraina?
È difficile prevedere cosa accadrà. Tutto dipende dai conservatori americani. Non è chiaro se siano più preoccupati di cacciare la Russia o Biden. Finché si trattava di conservatori sullo stampo di George W. Bush, John McCain o Mitt Romney, anche se non ero d’accordo con loro, sapevo che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Trump ha posseduto il Partito Repubblicano. Sotto la sua influenza, i repubblicani hanno smesso di pensare in modo razionale, hanno smesso di cercare di capire il mondo.
L’Ucraina è una ferita aperta. Ora c’è una situazione di stallo e il Cremlino vuole colloqui di pace che ratifichino lo status quo territoriale. Ma l’Ucraina non ha scelta. Sta giocando per il suo futuro, e per il nostro futuro, e non si tirerà indietro, perché quando Zelensky dice che stanno combattendo per difendere il mondo, sta dicendo la verità. Stanno anche combattendo per difendere la Polonia. Ho già detto che in Polonia ci sono gruppi che, grazie al denaro russo, sfruttano i passati conflitti polacco-ucraini, il risentimento nei confronti di Lviv e di altre città ex polacche. Ma questo non è nel mainstream.
Non puoi annunciarlo, proprio come con l’antisemitismo. Quello che hai nell’anima è un’altra questione, ma in pubblico c’è unanimità.
Putin offre colloqui, ma alle sue condizioni. E sta inasprendo la repressione interna, esiliando Alexei Navalny in Siberia.
Sì, questo è crudele. Ma non mi aspettavo nient’altro da Putin. Si sta già avvicinando al punto in cui può essere definito fascista. Non ancora un nazista, ma proprio come i nazisti ordinarono agli ebrei di indossare una stella gialla, i critici di oggi della guerra in Russia vengono etichettati come agenti di uno stato straniero. Ho un libro dello [scrittore russo] Dmitry Bykov su cui è stampato “innostrainyi agient” (agente straniero). In confronto, il mio paese è una democrazia britannica!
E poi c’è la guerra tra Israele e Hamas…
Affronto questa situazione completamente impotente; mi sento impotente. Guardo cosa sta succedendo con orrore. Ho vissuto troppo a lungo per non capire cosa abbia significato per Israele l’invasione di Hamas del 7 ottobre. Non riesco a immaginare come sarebbe se un’orda del genere arrivasse a Varsavia, uccidendo a destra e a manca.
D’altra parte, quando vedo che Gaza viene trattata come Varsavia dai tedeschi dopo la rivolta [del 1944], non so cosa pensare. Capisco il crescente odio dei palestinesi perché i loro cari vengono uccisi davanti ai loro occhi -non gli hamasnik, ma il falegname, il calzolaio, il fornaio, il farmacista. Naturalmente capisco gli israeliani che si chiedono perché avere uno Stato se possono essere attaccati, assassinati, violentati e presi in ostaggio. E l’Iran è pronto a combattere Israele fino all’ultimo palestinese…
Usando il buon senso, ovviamente non a oggi, dovrebbe esserci una soluzione a due Stati. Uno Stato unito è impossibile: Israele non lo accetterà mai, almeno per i prossimi cinquant’anni. Gli israeliani vogliono uno Stato ebraico, e in questo caso non è chiaro cosa fare, soprattutto perché Netanyahu, a giudicare da quello che voleva fare con la magistratura, per me è un Orban ebreo.
L’anno è appena iniziato. Intravede alcuni elementi di ottimismo?
Nel 1989, anno del grande cambiamento in Europa, le tessere del domino iniziarono a cadere in senso democratico, a cominciare dalla Polonia, il primo paese in cui i comunisti si sedettero per negoziare con l’opposizione. E poi si diffuse nella Germania dell’Est, in Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria, Romania e Albania. Questo non era l’unico scenario possibile. Il 4 giugno 1989 i comunisti abbandonarono il potere in Polonia. Ma quella non fu la prima notizia nei media mondiali.
Sì, la prima notizia fu Tiananmen, il massacro nella piazza principale di Pechino.
Esatto, Tienanmen. Quindi, c’erano diversi scenari e uno buono si è verificato in Polonia. Ma per realizzare questo potenziale è necessario mettersi al lavoro e svolgere ostinatamente il proprio lavoro, rifiutando di arrendersi. Noi in Polonia abbiamo dimostrato ciò che è possibile.
(a cura di Irena Grudzinska Gross. Traduzione di Simona Polverino. Copyright: Project Syndicate - project-syndicate.org)