Questa tua nuova ricerca su cosa verte?
Materiale Umano prende in esame una documentazione inedita, e in particolare tutti quegli italiani che a vario modo si trovavano a lavorare nella Germania nazionalsocialista già dal 1938, in seguito agli accordi tra Hitler e Mussolini; altri che andarono più o meno volontariamente fino all’8 settembre del ‘43, e infine i militari italiani rastrellati, mandati nelle fabbriche e altri deportati dall’Italia, perché antifascisti o anche semplici lavoratori, dato che servivano alla Germania per mantenere alta la produzione durante il periodo bellico. Alcuni di questi riuscirono a rientrare in qualche modo in Italia prima della fine della guerra e furono intercettati dai servizi dell’intelligence militare italiana. Furono interrogati dal Servizio Informazioni Militari (Sim) e poterono raccontare la loro esperienza in Germania nel periodo bellico: sotto le bombe, sotto la sorveglianza delle Ss e costretti al lavoro forzato per fornire armamento e anche produzione alimentare per i soldati al fronte.
In cosa consiste l’interesse di queste testimonianze?
È una documentazione preziosa perché, oltre alla loro esperienza, potevano riferire all’intelligence militare dove si trovavano i centri di produzione, i campi di lavoro e in particolare gli snodi ferroviari per il trasporto delle merci. Queste informazioni venivano poi passate spesso agli alleati, affinché bombardassero questi luoghi nevralgici.
I lavoratori partiti per la Germania nel 1938 erano “volontari”?
“Volontari” in base agli accordi tra Hitler e Mussolini, che prevedevano braccia in cambio di carbone, dato che l’Italia è sempre stata un paese con un esubero di braccia e poche risorse energetiche. Mussolini, a causa delle difficoltà a inviare manodopera oltre oceano o nelle colonie, e per far sì che la disoccupazione apparisse meno grave di quello che di fatto era, colse questa opportunità. All’inizio i lavoratori richiesti dalla Germania nazista erano in genere braccianti e muratori, molti dei quali partirono allettati dagli alti stipendi. Questa situazione mutò dopo l’inizio della guerra, a partire dalla fine del 1941, quando Hitler cominciò a richiedere manodopera specializzata, un primo contingente di 200.000 operai specializzati e tecnici, e non più semplice manovalanza.
Cosa succede dopo l’8 settembre?
A partire da questa data, la situazione sarà sempre meno favorevole per gli italiani. In particolare, il razzismo che già serpeggiava prima, dopo l’armistizio divenne sempre più manifesto. Molti, che erano riusciti a tornare, grazie a delle licenze, prima dell’8 settembre, visto il mutare della situazione decisero di non rientrare in Germania e diventarono renitenti al lavoro, un reato punito con l’internamento. Occorre tuttavia ricordare che, anche durante la Repubblica Sociale, ci furono dei “volontari” che partirono per la Germania.
Si trattò nella maggior parte dei casi di persone che avevano perso tutto o non avevano alternative lavorative e si lasciarono allettare dalla propaganda nazifascista. In ogni caso, dopo quella data, la situazione si era notevolmente deteriorata.
Per quanto riguarda i militari italiani cos’è successo?
L’Italia, dopo l’8 settembre, viene vista dai Hitler come una grande riserva di braccia. In particolare i militari italiani allo sbando ai quali vengono poste dai tedeschi tre opzioni: continuare a combattere al loro fianco, lavorare per loro o andare a finire in un lager, e anche in questo caso essere sfruttati come lavoratori coatti. Questo, fino al 1944, quando furono “civilizzati”, un termine che, come quello di internati militari (Imi), utilizzato dai tedeschi, serviva a non riconoscere loro lo status di prigionieri militari, evitando così di applicare le norme previste dalla convenzione di Ginevra. Molti di essi, circa 450.000 Imi, furono “civilizzati” e andranno a lavorare nelle fabbriche tedesche e negli Stalag. Le loro testimonianze raccolte nel mio libro sono importanti per l’intelligence militare italiana, dato che raccontano quale fu la loro condizione dalla cattu ...[continua]
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