Roberto Balzani insegna Storia contemporanea all’Università di Bologna. Dal 2017 al 2020 ha presieduto l’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali dell’Emilia-Romagna. È direttore del Museo Storico della Liberazione di Roma. Per il Mulino ha pubblicato, fra gli altri libri, La Romagna. Storia di un’identità (2001), Cinque anni di solitudine. Memorie inutili di un sindaco (2012), Memoria e nostalgia nel Risorgimento (2020) e l’ultimo Andare per i luoghi del Risorgimento (2024), di cui si parla in questa intervista.

In un suo recente articolo per “Il Sole 24 Ore” ha sostenuto che quello di quest’anno è stato, probabilmente, il primo 25 aprile senza testimoni diretti degli avvenimenti del ’45. Ma se la Resistenza è lontana, il Risorgimento lo è ancor di più: un capitolo dimenticato in fretta, dopo averlo studiato sui manuali scolastici. Visitare i luoghi del Risorgimento può aiutare a riattivare una memoria di quegli avvenimenti?
L’origine del libro è esattamente questa. Normalmente, i collegamenti biologici sono quelli che rendono possibile il trasferimento della memoria alle generazioni successive. L’esaurimento di questi collegamenti pone un problema urgente, che avverto con più forza da quando sono diventato direttore del Museo storico della Liberazione. Nel caso del Risorgimento, questa cesura è ancora più evidente, perché nel corso degli ultimi sessanta-settant’anni, non c’è stata soltanto la fine dei protagonisti del Risorgimento e dei loro figli o nipoti, ma è avvenuta anche la completa storicizzazione di quei fenomeni, che hanno finito per far parte di un’informazione perlopiù manualistica e non collegata a occasioni celebrative particolari. Così, pensando ai ragazzi che incontro in università, mi sono detto che per riuscire a ricollegare questa memoria ai giovani, bisogna partire dal presupposto che questi luoghi siano percepiti come dei cantieri di scavo archeologici, ovvero, come luoghi dove non è più assolutamente scontato che quello che si vede sia immediatamente compreso o che si iscriva all’interno di una cornice di senso, data dalla famiglia, dall’educazione, dall’opinione pubblica. Bisogna fare uno sforzo per riuscire a riconnettere questi documenti a una curiosità che non deve essere mai data per scontata.
Ho pensato che il paesaggio potesse essere una di queste chiavi. Nelle mie pagine ci sono anche i musei, è ovvio, ma non sono loro i protagonisti: i protagonisti sono i luoghi, è l’elemento paesaggistico. Perché? Primo, perché gran parte degli eventi del Risorgimento sono avvenuti in luoghi che in Italia non sono molto noti; e, secondo, perché hanno conservato una loro integrità. Possono essere vettori di una curiosità istintiva, epidermica, immediata, alla quale puoi agganciare il racconto della storia. Per questo motivo ho cercato di proporne di varie tipologie, nel tentativo di delineare un rapido percorso del Risorgimento attraverso i suoi luoghi. Non sono tutti, ovviamente, ma solo alcuni dei più importanti. C’era l’esigenza di semplificare, tenendo conto della diversa natura dei luoghi: alcuni sono urbani, altri sono spazi della campagna, altri ancora sono dei piccoli lacerti perduti all’interno di città o di strade; altri ancora sono luoghi tutt’oggi poco accessibili o difficili da raggiungere, come Caprera.
Per fare tutto ciò ho portato con me, in alcuni di questi viaggi, mio figlio, in una specie di remake di “In viaggio con papà”, con Alberto Sordi e Carlo Verdone. Devo dire che ha funzionato, in tempi omeopatici... Non bisogna abusare dell’indulgenza dei propri figli! La sua presenza è stata utile e preziosa per il suo sguardo. Uno dei posti che lo hanno colpito di più è quello fra San Martino della Battaglia e Solferino, un luogo preservato nel paesaggio, in cui i luoghi fisici sono stati conservati anche in virtù di un associazione nata già dall’Ottocento. Gli ossari, i musei, il paesaggio che si staglia sotto la torre: tutto riesce a funzionare come una specie di “Stargate”, una porta del tempo che ti rimanda a un contesto veramente remoto. Un altro luogo magico è Forte Marghera, a Venezia, collegato a una realtà che non si prevede possa offrire ancora luoghi di questo genere: a pochi passi dal ponte della ferrovia e dai cantieri navali, in una Mestre industrializzata e trasformata dall’economia dei servizi, si entra in questa specie di landa in mezzo alla laguna. Ancora oggi si vede la traccia di questo forte, disegnata dall’acqua, che rimane lì com ...[continua]

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