Due stanze in un vecchio caseggiato, alle pareti i poster e le foto del Tibet fatte dall’amico alpinista morto, una stampante impostata per il 740, appoggiata a un tavolino, e un gran via vai di operai della Beloit-Italia, di insegnanti, di esponenti di comunità di base. E’ la sede dell’Alp (Associazione lavoratori pinerolesi, ndr), di Pinerolo, un originale tentativo di rifare una camera del lavoro legata al territorio, intercategoriale, orizzontale, che svolge attività culturali, dà ospitalità all’associazionismo e un domani, forse, riuscirà pure a riprendere la tradizione mutualistica che ha caratterizzato la storia della classe operaia di Pinerolo. Hanno partecipato all’intervista il segretario di Alp, Enrico Lanza, gli operai Beloit-Italia Mauro Aimar, Ginetto Gilardi e Adriano Picco, poi Beppe Pavan del Gruppo Uomini di Pinerolo; erano presenti anche insegnanti e un esponente del collettivo poste.

Com’è nata l’associazione?
Enrico Lanza. La nostra associazione è nata nel ’95, dopo il famoso accordo sulle pensioni, quello, cioè, per cui si regalò a Dini ciò che era stato negato a Berlusconi. Qui a Pinerolo quell’accordo mise in moto una vera ribellione: molti consigli di fabbrica, soprattutto delle fabbriche metalmeccaniche, dichiararono autonomamente uno sciopero, manifestarono sotto le sedi del sindacato, e dopo alcune settimane di discussione per decidere se continuare a fare un’opposizione radicale dentro il sindacato o fare un sindacato alternativo, abbiamo optato per la seconda ipotesi. Così è nata questa esperienza di base territoriale e intercategoriale.
In questi anni le battaglie più grosse sono state in primo luogo quelle per farci riconoscere; a differenza di altri sindacati di base, per esempio la Cub, noi avevamo come obiettivo di partecipare alle elezioni della Rsu, proprio per non stare fuori, nonostante gli accordi attuali penalizzino chi non è del sindacato confederale, perché garantiscono il 33% comunque alle confederazioni. Abbiamo passato tanto tempo a partecipare alle elezioni e a farci escludere da sindacati, aziende e Confindustria insieme (poi la Cgil ha cambiato un po’ atteggiamento nei nostri confronti); in secondo luogo noi abbiamo tentato di sensibilizzare su questo tema della concertazione, idea che noi rifiutiamo perché non solo porta a un peggioramento delle condizioni della gente, ma perché si afferma un ragionamento di subalternità; in terzo luogo ci siamo impegnati in difesa di situazioni di fabbriche dove c’erano licenziamenti.
Il nostro lavoro è basato sulla presenza dei collettivi; la nostra organizzazione è la classica organizzazione sindacale: c’è un direttivo che viene eletto nell’assemblea che facciamo tutti gli anni, che si riunisce mediamente una volta al mese. Nota che ci si trova sempre fuori orario, perché appunto, non avendo i diritti, i nostri militanti o si prendono le ferie, o si prendono due ore di permesso. Quindi c’è il direttivo che gestisce praticamente la vita e la linea politica della organizzazione, e i collettivi che fanno il lavoro sindacale nei vari luoghi di lavoro. Abbiamo diversi collettivi di fabbrica fra cui quelli della Beloit-Italia e della Skf. Abbiamo il collettivo della scuola, nel quale c’erano già alcuni iscritti alla Cub, quello delle Poste. Insomma, la nostra vita, tra una tribolazione e l’altra, va avanti un po’ così, sapendo che viviamo in un tempo in cui la militanza non è che sia molto a portata di mano. La maggior parte dei nostri militanti sono ex militanti del sindacato, il nucleo portante della Fim-Cisl, gli insegnanti vengono dalla Cgil-scuola; ci sono anche un po’ di giovani, non molti, ma qualcuno c’è.
E in fabbrica?
Mauro Aimar. Alla Beloit-Italia la maggioranza di noi arrivava dall’esperienza dell’ultra-sinistra degli anni 70, a cui seguì un lungo periodo di "morta", di disgregazione. Si facevano cose solo sporadiche, anche con l’aiuto di Enrico che era nella Fim, ma che non ci forzava tanto la mano.
Quindi per noi il distacco dal sindacato tradizionale non è stato assolutamente un trauma, non siamo mai stati legati. Logicamente entrando a far parte di una organizzazione abbiamo incontrato una serie di difficoltà, perché quando parli a nome di una organizzazione, devi garantire una continuità, senza la quale non puoi riuscire a spuntarla su chi ha deciso che il sindacato di base non deve esistere; in secondo luogo il problema del riconoscimento. La gente all’interno dell’azienda ci diceva: "Non s ...[continua]

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