Serge Latouche, insegna all’Università di Paris XI e presso l’Iedes (Institut d’étude du développement économique et social) di Parigi. E’ autore di vari saggi sulle trasformazioni del mondo attuale, l’ultimo dei quali è La Megamacchina, edito da Bollati Boringhieri.

Nel suo libro lei sostiene che l’evoluzione della società occidentale sta portando alla costruzione di una “megamacchina”...
La definizione della società come “megamacchina” non è mia, ma di Lewis Mumford, il quale, nel libro Il mito della macchina, sosteneva che proprio l’organizzazione sociale è la macchina più fantastica che gli esseri umani abbiano inventato perché, esattamente come una macchina, tende a funzionare con degli automatismi. Mumford vedeva esempi storici di questa megamacchina nella famosa falange macedone, nell’Egitto dei Faraoni, nella burocrazia dell’impero cinese dell’epoca Ming, e a me è parsa una parola fantastica, che bene si adatta a quello che sta accadendo dopo il crollo del Muro di Berlino perché evoca la macchina, ma non è una macchina pura e semplice, un oggetto. Parlando di “megamacchina”, infatti, voglio sottolineare che la logica tecnica si è autonomizzata dalla società e fa sì che, in un modo finora mai accaduto, la società funzioni sempre più come una macchina planetaria, una megamacchina appunto, in cui ognuno è impegnato in qualche ingranaggio ed accetta questo suo essere ingranaggio.
Ma se gli esseri umani accettano l’idea di essere ingranaggi, o non ne sono consapevoli, vuol dire che la loro libertà è minacciata.
Su quali presupposti è stata possibile questa autonomizzazione?
Non mi è chiaro se la razionalità ora imperante sia, in sé, più tecnica o economica, è difficile distinguerle. Quel che tuttavia mi pare chiaro è che quella che attualmente chiamiamo “razionalità” non è più la ragionevolezza, ma la totale trasformazione della ragione in ragione strumentale e calcolante, in una ragione che vede come proprio scopo solo la massimizzazione dei risultati e il cui impegno è tutto rivolto alla scoperta di come meglio combinare i mezzi per ottenere il massimo risultato. Considerando tutto questo, sono portato a pensare che la razionalità calcolante si adatti più all’economia che alla tecnica -non a caso anche lo sviluppo della tecnica subisce la legge economica- ed anche per questo credo che il fondamento di questa trasformazione sia dovuto ai meccanismi economici. Mentre prima del crollo del muro di Berlino questi meccanismi funzionavano dentro il quadro degli stati-nazione, ed erano perciò sottoposti alla loro logica, oggi, con la mondializzazione e la globalizzazione, si sono liberati da questi limiti e funzionano a livello mondiale, senza alcun tipo di regolazione. A questi meccanismi si è poi aggiunto il fatto, tutt’altro che accessorio, che anche la tecnica si è largamente emancipata dal controllo sociale e ciò ha fatto sì che attualmente tutti gli aspetti della vita e della cultura sono diventati trans-nazionali, globali.
L’unione di razionalità economica e di razionalità tecnica, avvenuta all’ombra del perdurante mito del progresso, mette in luce il fantasma che sta loro dietro: la dominazione sulla natura, il controllo su tutto. E’ questo il fantasma che, inconsciamente, muove l’uomo moderno e che ha fatto sì che la moderna ragione distruggesse ogni valore, per cui anche l’essere umano come tale è ormai diventato solo parte del calcolo economico e tecnico. Ormai la logica delle società occidentali è quella dello strapotere, del fare di più per fare sempre di più, la qual cosa, in fondo, altro non è che la piena estrinsecazione del mito del progresso, un mito da cui non sappiamo uscire.
Qualche tempo fa un ministro algerino disse: “L’anno scorso eravamo sull’orlo di un precipizio, ma quest’anno abbiamo fatto un gran passo in avanti”. In fondo, con involontario umorismo, illustrava la nostra condizione: tutti vedono che davanti a noi c’è un precipizio, ma tutti dicono che dobbiamo andare avanti.
Si deve allora abbandonare la tecnologia?
No, non credo si debba abbandonare lo sviluppo tecnologico, anche se penso che sia da combattere la divinizzazione della tecnologia. Insomma, quel che credo è che non bisogna essere tecnofobi, ma neppure tecnolatri. Non esiste società umana senza tecnologia, ma ogni tecnologia è ambivalente, comporta sia effetti benefici che malefici, ed è impossibile distinguerli a priori. Proprio per questo penso che la logica della tecnica, come la logica dell ...[continua]

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