Samia Kouider, algerina, sociologa e ricercatrice, vive a Milano.

Come vedi la situazione algerina dopo le elezioni?
Una situazione molto complessa e molto difficile, venutasi a creare in parecchi anni di gestione pessima degli affari economici, sociali, culturali, una situazione aggravata e resa ancor più complicata da tre anni di terrore quotidiano, non può migliorare da un giorno all’altro. D’altra parte non c’è dubbio che il fatto che, per la prima volta, tantissima gente sia andata a votare e l’abbia fatto, per di più, malgrado le pressioni contrarie e le minacce di tutti i gruppi terroristi, è stato un segnale molto importante. La popolazione ha detto: "Basta, non vogliamo più la morte, non vogliamo più le armi, vogliamo la tranquillità, vogliamo la pace, vogliamo poter andare a passeggiare come facevamo prima, poter tardare la notte prima di rientrare a casa". La popolazione algerina ha votato, come per l’indipendenza, per dire: "Quello che c’è in questo momento non lo vogliamo più". E andando a votare anche nei quartieri feudi del terrorismo, gli algerini hanno dimostrato che l’immagine di una maggioranza di algerini integralista, favorevole alla violenza, era falsa. Dopodiché pensare che Zeroual cambi da un giorno all’altro la situazione è poco serio. Può essere una speranza, però io credo che i tempi non saranno né quelli dei due mesi né dei due anni. Per di più i morti e gli attentati ci sono ancora, e programmi seri, politici, economici, sociali, culturali, li dobbiamo ancora vedere. Il processo più difficile inizia ora.
Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale in questa resistenza, hanno difeso la normalità della vita quotidiana quando questo poteva costare la vita.
Vorrei fare una premessa: la violenza sulle donne nel mio paese c’è sempre stata. In questi ultimi anni siamo passati da una violenza verbale, non dichiarata, più sottile, a una violenza fisica vera e propria, addirittura ad attentati alla vita delle donne. Ma i primi attentati alla vita delle donne non sono nati con l’integralismo nouvelle vague di questi tre anni, il primo attentato fu compiuto nel 1989 quando una donna fu bruciata viva con i suoi figli. Ma all’epoca, quando si diceva: "Attenzione adesso uccidono le donne", come sempre si rispondeva: "Non è la priorità del paese".
Per una donna in Algeria la vita non è mai stata facile. Ognuna di noi ha dovuto conquistarsi faticosamente degli spazi, un ruolo, uno status che non era quello che le veniva conferito dalla cosiddetta tradizione. Ora, io sostengo che quello che è successo negli ultimi tempi, quando si è arrivati a violenze, stupri, rapimenti di donne perché andassero ad accudire i soldati dell’integralismo, trova la sua origine nella posizione che la donna occupa nella mentalità dell’uomo algerino. Noi donne abbiamo sempre dovuto conquistarci tutto. Negli anni ’70 abbiamo approfittato del fatto che la politica ufficiale predicava la lotta contro i valori feudali e l’arretratezza e siamo andate a scuola gratis, siamo andate all’università. Ciò avveniva grazie a una politica populista, non perché veramente venivano riconosciuti i diritti delle donne e l’uguaglianza con gli uomini. Ma a livello del quotidiano -uscire da casa, recarsi al lavoro, a scuola, ottenere un posto di lavoro, camminare per la strada tranquillamente- le molestie ci sono sempre state. Io ero una privilegiata, avevo la macchina, ma non ci pensavo nemmeno a prendere i mezzi pubblici, perché significava subire molestie ogni momento. E se qualcuna andava dal poliziotto al commissariato si sentiva dire: "Non mi rompere le scatole! Abbiamo altro da fare, se non ti va sta a casa".
Oggi, in un contesto ancora più difficile, la capacità di mediazione tipica delle donne è lo strumento efficace per strappare degli spazi. Diverse donne ritengono, per esempio, che la loro istruzione è importantissima e quindi non ci rinunciano a costo di portare lo hidjab (il velo islamico). Questa è una mediazione fra restare chiusa fra quattro mura o andare all’università.
La mia generazione, anche se ha avuto accesso allo studio, era controllatissima. Io per esempio sono andata all’università blindata con mio padre, mia madre e anche parenti che mi controllavano. Le compagne di mia sorella che venivano da un paese sperduto e portavano lo hidjab, vivevano da sole ed erano più libere di me. Loro, in realtà, avevano operato una frattura nel sistema patriarcale, che noi non avevamo fatto. Noi avevamo l’autorizz ...[continua]

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