Tu hai insegnato letteratura per tanti anni; sei autore anche di un manuale. Che senso ha insegnare la letteratura oggi?
Si potrebbe partire da un libro di Edgard Morin, La testa ben fatta, in cui, parlando della riforma dell’insegnamento e della necessaria ristrutturazione dei saperi nella scuola per rispondere alle sfide del presente, Morin riserva alla letteratura uno spazio molto importante perché, dice, ha a che fare con la dimensione estetica. Questo è tanto più interessante per il fatto che quando da noi si parla di curricula, di materie scolastiche, si fa un discorso di tripartizione in campo linguistico, scientifico e storico, e la letteratura sta un po’ nel campo linguistico, in quanto modo di usare la lingua scritta, e un po’, ovviamente, nel campo storico.
Ma se, invece, pensiamo ai bambini, alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze che vanno a scuola adesso, e ora è Armellini che parla, la dimensione estetica non è affatto secondaria o minore nella loro esperienza, è fondamentale. Il modo in cui i ragazzi costruiscono i loro modelli di valore, la loro visione del mondo, il loro immaginario, è strettamente connesso a esperienze estetiche e se non si vuole considerare la scuola soltanto come un posto dove si trasmettono delle credenze universalmente condivise, obbligatorie, bensì dove i ragazzi s’impadroniscono di queste credenze facendole diventare proprie, non si possono ignorare i loro orizzonti, valori, il loro immaginario. Questo è tanto più vero oggi, quando la dimensione dell’esperienza estetica sta dilagando, al punto da investire sempre più la realtà stessa; adesso si contempla come fosse uno spettacolo anche la vita vera (diciamo: un po’ vera e un po’ non vera) di persone chiuse in un appartamento, oppure guardiamo in tv il papà che non vede la figlia da tre anni e va a piangere in diretta. C’è una sovrapposizione, sicuramente inquietante, tra mondo reale e spettacolarizzazione. Ma il tipo di fruizione che se ne ha è estetica. Una volta se tu vedevi uno piangere era perché era lì, vicino a te, altrimenti era in un film, il che introduceva una distanza che ti consentiva di dialogare con questo evento dicendo a te stesso: “è vero”, ma contemporaneamente: “è una finzione”. Adesso questa distinzione si è molto confusa. Una ragione in più perché la letteratura continui ad avere uno spazio rilevante.
Secondo: viviamo in un periodo in cui la frattura culturale, estetica, etica, fra le generazioni adulte e quelle giovani è particolarmente forte. Raffaele Simone parla d’intelligenza simultanea contrapposta ad intelligenza sequenziale. Comunque gli insegnanti conoscono bene il problema: c’è un’enorme difficoltà a “trasmettere” un sapere perché i presupposti impliciti che gli studenti hanno sono veramente molto diversi dai nostri. Quindi c’è bisogno di costruire, di trovare un terreno comune praticabile e quello dell’immaginario, dell’esperienza estetica, è fondamentale.
Un terzo motivo ce lo suggerisce di nuovo Morin: le scienze umane, spezzettando l’uomo, finiscono per non parlare mai degli esseri umani rispettandone l’individualità e la socialità, la culturalità e la naturalità, cioè l’essere umano concreto che vive la sua vita. Invece la letteratura, il cinema, le arti, rappresentano l’unitarietà della condizione umana, con tutte le esperienze e i problemi che un essere umano incontra: gli amori, gli odii, la fortuna e la sfortuna, la morte, tutte le cose più grandi e piccole della vita. Effettivamente, allora, in una scuola che, come dice Morin, “formi alla vita”, il campo dell’esperienza estetica diventa fondamentale.
Mi viene in mente Cesare Moreno, che in un’intervista alla radio raccontava di come avesse letto il canto del conte Ugolino a una classe di bambini figli di camorristi e di vittime di camorristi e di come questa lettura li avesse calamitati. Questa trasposizione nell’immaginario dell’esperienza dei bambini vittime delle beghe degli adulti ha avuto un’efficacia straordinaria; se lui avesse parlato di assassini e di vittime della camorra sarebbe stato troppo vicino all’esperienza di quei bambini; se avesse parlato in generale dell’assassinare e dell’essere assassinati sar ...[continua]
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